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mercoledì 24 agosto 2016

RAGIONEVOLE (SI SPERA…) DIFESA DI UNA CULTURA UMANISTICA VIVA E ADEGUATA AI TEMPI, di Gualtiero Via

I pensieri che seguono sono rivolti innanzitutto a colleghe e colleghi, amici educatori, di vecchia data e del Mattei di San Lazzaro di Savena, la scuola in cui insegno. Abbiamo da poco cominciato a ragionare criticamente sul rapporto fra cultura umanistica e cultura scientifica. A questo stimolo si aggiunge ora l'occasione della imminente Scuola estiva dell'ADi, associazione di cui faccio parte, che dedicherà un suo focus proprio al tema della crisi della cultura umanistica.
Immagino e spero che quanto andrò dicendo possa interessare molti insegnanti, molti educatori, molti adulti.

Il tema

Personalmente non sono interessato, non certo in modo decisivo, né a discussioni sull'utilità o meno del liceo classico, né su quella dello studio del latino (o del latino e del greco). Non che non si siano lette anche cose sensate a questo proposito: se ne sono lette di sensate, di appassionate e di motivate. Ma la mia impressione di insegnante - e vorrei aggiungere, di adulto e di genitore - è che quando parliamo di "crisi della cultura umanistica" dobbiamo fare uno sforzo di ridefinizione.
Se restiamo a discutere avendo come termine di paragone i licei classici faremo poca strada. Dovrebbe essere chiaro a tutti (o almeno, a tutti quanti hanno condiviso il cammino e l'esperienza dell'ADi, a tutti quanti hanno cognizione della crisi di motivazione e senso di cui soffre tutta la scuola superiore), dovrebbe essere chiaro, dicevo, che il liceo classico non è affatto esente dalle tante pecche, gravi e annose, di tutto il resto delle scuole superiori. Prevengo una critica: a scanso di equivoci, non sto dicendo che tutti i licei classici di tutta Italia sono da buttare. Sarebbe una stupidaggine. Ma il fatto che possano esistere licei classici di buon livello - o anche di eccellenza - non basta per poter dire che il classico oggi può essere confermato, com'è, come modello. Volendo potremmo trovare scuole buone e anche di eccellenza pure negli altri licei, nei tecnici e perfino nei professionali. E saremmo al punto di partenza, a dividerci fra chi vede solo bicchieri pieni - o al più mezzi pieni - e relega fra le eccezioni i bicchieri vuoti, e chi fa l'opposto. Se siamo qui, siamo tutti convinti che di cose da rivedere su come facciamo scuola ce ne devono essere.
Lasciati da parte allora le troppe cautele e i preamboli, chiediamoci: è concepibile, oggi, un senso forte, riconoscibile, non di nicchia, per la cultura umanistica? È concepibile una missione per gli insegnanti dell'area umanistica nelle nostre scuole, oggi e negli anni a venire?
È ovvio che la risposta non potrà che dipendere dal senso che vogliamo dare alla scuola in quanto tale e alla missione che crediamo vada attribuita agli insegnanti in quanto tali. Se siamo qui - se dedichiamo energie a un argomento del genere - è perché in una missione della scuola ci crediamo - almeno, così è logico supporre. Ebbene, se la scuola ha e continua ad avere una sua missione - magari che abbisogna di essere molto precisata, ma ce l'ha - che posto ha o deve avere in questa missione la cultura umanistica? La scuola come la conosciamo, la scuola com'è fatta, diciamo mediamente, fornisce agli studenti un'idea, delle basi sufficienti di qualcosa che sia sensato chiamare oggi "cultura umanistica"?
Dobbiamo essere molto onesti, e rispondere a questa domanda. Immaginiamo il miglior liceo possibile coi migliori professori, immaginiamo una classe di questo liceo, immaginiamo che dei bravi insegnanti di italiano, latino, greco, filosofia e storia dell'arte svolgano, tutti, l'intero programma ministeriale: avremmo ragionevoli garanzie del fatto che i loro studenti escano con una reale base di "cultura umanistica"? Avanzo questa domanda perché è da un po' che me la sto ponendo. Non vi anticipo la mia risposta.

Un'asimmetria (da non rimuovere)

Prima di azzardare una risposta è necessario fare qualche considerazione sulle specificità delle varie aree disciplinari. C'è una sorta di asimmetria forte tra area scientifica e area umanistica. Le varie discipline dell'area scientifica, oltre che "depositi di sapere" sono anche linguaggi, procedure e metodologie, spesso molto o moltissimo formalizzati. La matematica, la fisica, la chimica hanno i loro fondamenti, i loro simboli e i loro strumenti - anche di laboratorio: cultori di queste discipline di paesi diversissimi e senza una lingua di comunicazione potrebbero comunque intendersi molto sulla loro disciplina. Per le discipline umanistiche, è vero, in certa misura si può far valere la stessa cosa, ma con delle limitazioni fondamentali. Intanto, non c'è mai stato e non c'è UN linguaggio né della poesia, né della letteratura o della filosofia, ma ci sono state cose, tutte fondamentali e decisive, pensate o dette in determinate lingue: in greco antico, in latino, in volgare medievale, e poi via via nelle altre lingue, fino ai moderni francese, russo, tedesco, inglese ecc. Se io voglio concepire l'eredità umanistica - stiamo parlando infatti anche di un'eredità che va trasmessa, o parliamo di nulla - se la voglio concepire, dicevo, come qualcosa di sensato e ricco, io devo trasmettere, far vivere qualcosa di questa sorta di polifonia diacronica.
Non è assolutamente necessario, perché si dia questo passaggio di testimone, che il giovane sappia alla perfezione i classici latini e greci, men che meno che li sappia leggere in originale; è però necessario che ne abbia una cognizione non superficiale, che ne abbia, diciamo, frequentato e meditato almeno qualcuno, che abbia ri-pensato almeno un pensiero con Parmenide e con Eraclito, e certo con almeno i maggiori fra i loro eredi.
Uno potrebbe obiettare che queste considerazioni, anche concedendo che siano fondate in se stesse, stando a quel che si può intendere come cultura umanistica, non dicano ancora nulla del perché questa "cultura umanistica" dovrebbe restare come tale nelle preoccupazioni e nei programmi della scuola pubblica, "generalista" come si dice oggi. Non è un anacronismo? Non stiamo difendendo la pretesa, anacronistica e forse snob, di rendere obbligatori un gusto, degli interessi che ormai sono di fatto già di nicchia? È possibile. L'impressione - almeno personalmente - è che le persone che credono questo siano più di quelle che lo dicono apertamente.
Diciamolo: è del tutto probabile che si stia parlando di una "battaglia di minoranza", a fronte di un mare magnum di "opinione", superficiale o no, che non solo va da tutt'altra parte, ma nemmeno vuole stare a sentire. Ammettiamo pure che sia così. Ebbene: la cosa, lo dico papale papale, è del tutto irrilevante. Filosofi, storici, educatori adulti e responsabili si è o non si è. Punto. Se lo si è - ed è il nostro caso - non si pensa, non si osserva, non si studia quello che ai più sembra conveniente pensare, osservare ecc. Quando tutti pensano, osservano ecc. così, il pensiero e la cultura umanistica - quella rettamente intesa - sono già belli che morti - o meglio, vivono, ma come in clandestinità (ed è avvenuto spesso, nei secoli e nei millenni). Di questa natura è anche l'eredità di cui parliamo. Quindi, spero sia chiaro, parliamo di argomenti serissimi. Decisivi. Parliamo di argomenti per cui non pochi fra i migliori dei nostri predecessori hanno sacrificato tutto: beni, affetti, casa, la vita stessa (spero non ci sia troppo bisogno di fare esempi, ma diciamo che da Empedocle, e certo Socrate e Diotima, a Mandel'štam, Virginia Woolf, Pasolini, Solženicyn, stiamo parlando di grandi che è nostra responsabilità far conoscere ai giovani - e se così non fosse, sarebbe più serio cassare del tutto dai programmi la letteratura, la filosofia, la storia in quanto tali).

La posta in gioco

Questa piccola tirata ci aiuta a venire al cuore della faccenda, credo. C'è modo di definire questa benedetta missione della cultura umanistica, e di collocarla nel qui e ora? Io credo di sì. Credo che si possa dire, sostenere che il cuore della cultura umanistica è nel dare, cercare, esprimere, manifestare SENSO.
-Prego?
-Ehm, mica staremo parlando delle vecchie, polverose, trite domande di sempre? Chi siamo, dove andiamo, c'è qualcosa che abbia senso fare? La risposta è: sì, parliamo di quello. Non c'è epoca che non abbia avuto, secondo la temperie e lingua e latitudine, i suoi filosofi, o poeti, o pastori (o scienziati, o medici, talvolta: Galileo, Wilhelm Reich…) che si sono posti domande siffatte, magari rischiandoci anche parecchio. Tacciamo di questo e saremo degli insegnanti omertosi, pavidi, reticenti. Il padre che taccia di cose importanti, decisive ai propri figli, è destinato all'alternativa se avere figli ignoranti e sprovveduti o figli dai quali un giorno si sarà disprezzati o compatiti. Vale anche per gli educatori. Se la vita è anche dubbio, rischio, tragedia - e lo è: non solo, vivaddio, ma è anche questo - i giovani devono essere accompagnati da noi anche a questa consapevolezza. Come? Non c'è un solo modo, ce ne sono infiniti, potenzialmente, ma per non smarrirci abbiamo i nostri filosofi, poeti, narratori, maestri: i nostri umanisti (che tratteremo ognuno con le sue predilezioni e idiosincrasie: non è un dramma, entro limiti ragionevoli). Non poco delle loro opere è anche l'elaborazione di questo ordine di questioni, inerenti all'esistenza.
Se qualcuno è davvero convinto che tutti i problemi di senso - individuale e collettivo - siano stati sviscerati e risolti una volta per tutte è libero di crederlo. Beato lui! Ma chi pretenda che una premessa simile debba guidare la definizione degli scopi dell'istruzione, dovrebbe venire a dimostrare:

- come e dov'è che il vivere associato sia assestato su basi condivise e soddisfacenti;
- come e dov'è che siamo garantiti in modo accettabile di ciò che mangiamo e respiriamo, come ci spostiamo;
- come e dov'è che tutto ciò che produciamo, usiamo e smaltiamo non abbia costi tali da comportare il deterioramento del nostro stesso habitat comune.

Taccio poi delle tensioni internazionali (termine del cui eufemismo un po' mi vergogno) e del dubbio se i governi del mondo siano più distratti o complici o cos'altro in merito al sangue crescente che scorre.
Se vogliamo essere educatori degni, di tutto questo non possiamo tacere. Se tutto ciò lo vogliamo affrontare senza affidarci solo al volontarismo individuale, e senza rischiare di fare dell'attualità per l'attualità, potremo affidarci alla nostra cultura di umanisti - magari, anzi certamente, aggiornandola e aggiornandoci. Potremo cioè affidarci alle nostre sensibilità e rigore storico e filosofico, alle nostre conoscenze - e capacità di documentazione - letterarie e poetiche, e così via. Possiamo farlo, quindi dobbiamo farlo.
Un nostro classico del passato non troppo remoto disse una volta: «la storia è sempre contemporanea». Ecco, io credo che potremmo dire oggi: «la cultura umanistica è sempre contemporanea». Certo, a patto che ci crediamo, che sia una nostra passione e che lavoriamo onestamente, non solo ognuno per sé, ma come "comunità scientifica" (è mia convinzione che abbiamo molto da imparare dalle materie scientifiche), per rendere la cultura umanistica all'altezza di questi compiti.

Piccola lista: tre specifici problemi/argomenti

Quanto detto fin qui non rappresenta più che una dichiarazione di intenti e una (sorta di) professione di fede, se vogliamo, ma mi sembrava necessario farla.
Fra i punti più specifici che credo sia necessario discutere - possibilmente per precisare e condividere direzioni operative - sento di indicare le seguenti:

- il problema, mai risolto - almeno in Italia - e infatti tuttora fonte di guasti, della cattiva (nulla, talvolta) comunicazione fra cultura letteraria (e umanistica in senso lato) e cultura scientifica (su questo l'idealismo italiano, e Croce e Gentile in modo particolare, ebbero responsabilità capitali). Un solo dato: fra le convinzioni di Croce vi era quella per cui la scienza era inferiore alla filosofia, perché quelli della scienza sono solo "pseudoconcetti", mentre è della filosofia sviluppare i veri e propri concetti. Va sottolineato che Croce era, praticamente, contemporaneo di Einstein (solo tredici anni li separavano), fece in tempo a vedere gli sviluppi scientifici incredibili da fine Ottocento a metà Novecento (morì nel '52), e non risulta - a meno che io mi sbagli - che abbia mai ricusato questa sua convinzione. È importante aggiungere che prima dell'affermarsi dell'idealismo italiano e del suo dominio culturale, l'Italia vantava una tradizione scientifica e matematica di rilevanza internazionale. Non che i matematici (e gli altri scienziati) si siano mai lasciati convincere da Croce, ma nella cultura italiana alta, di fatto, le scienze si vennero a trovare sempre più come specialismo poco "attraente" rispetto alla società in quanto tale (di questa deriva antiscientifica furono corresponsabili molti fattori, che vanno visti anche in questa luce: il futurismo, con il forte portato di irrazionalismo-volontarismo soggettivistico; D'Annunzio e il dannunzianesimo, con tutti gli aspetti di epigonismo e provincialismo, oltre all'irrazionalismo, sia pure non in salsa futurista).
- l'eredità "classica" (nel senso del liceo classico gentiliano) portava con sé un'idea e un pregiudizio che assolutizzavano e ipostatizzavano in un ruolo centrale, esemplare, possiamo dire "egemonico", le civiltà classiche greca e latina, relegando a contorno le altre civiltà. Ho l'impressione che questo macroscopico pregiudizio sia solo stato addolcito e addomesticato, per così dire, dando più un colpo al cerchio e uno alla botte (e via a dare più spazio alla Mesopotamia e all'Egitto, poi alla storia ed etnogenesi ebraiche, e da ultimo alle storie e civiltà extraeuropee: sempre in aggiunta, ovviamente, e mai operando scelte). Credo che andrebbe sottoposto a critica severa e puntigliosa il "pregiudizio classico" (che non mi pare affatto scomparso) e introdotto il concetto di "unità fondamentale del mondo antico". Unità di un mondo policentrico, ricca di diversità, e purtuttavia unità. Non posso dilungarmi ora, ma una ricognizione fra fatti e testi di area greca, mesopotamica, siriaco-giudaica, egizia, potrebbe facilmente fornire le prove della fecondità e fondatezza di questa idea. Solo per cenni: archetipi e luoghi come il rapporto/conflitto fra generazioni, il rapporto fra l'umano e il divino, fra il fato e la scelta umana, il senso e il ruolo della legge, sono tutti temi che potremmo trattare discutendo brani omerici, biblici, cuneiformi, egizi, riscontrando aspetti comuni estremamente significativi. Questo è rarissimo che sia fatto nei manuali, mentre sarebbe prezioso e non difficile.
- L'estetica a scuola è, probabilmente, più di ogni altra branca filosofica la Cenerentola della formazione umanistica: e questo è paradossale, se consideriamo quanto negli ultimi decenni si è ripetuto, da ogni parte, che siamo nell'epoca "dell'immagine". I nostri studenti attratti dalla musica in particolare rappano, quelli attratti dal ballo fanno hip hop, quelli attratti dalle arti taggano e graffitano. Piaccia o no, le cose a grandi linee stanno così. Se non vogliamo essere tagliati fuori da tutto questo (cosa che ci renderebbe omertosi e reticenti), e se non vogliamo nemmeno limitarci a tollerare e consentire, ma senza capire e senza dialogare (che sarebbe per un verso opportunistico e demagogico, per l'altro mortificante), chi non ne sia già in possesso necessita di dotarsi di categorie, criteri, strumenti propri dell'estetica. Lo dobbiamo fare, altrimenti restiamo ciechi e muti, e in balia di molto di ciò che ci circonda, che va avanti per la sua strada e veicola senso (a prescindere dal fatto che noi lo percepiamo oppure no).

Certamente altro si potrebbe dire, ma forse ho già messo anche così molta carne al fuoco (spero non troppa). Si dia il via alla discussione.

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