Di recente - dopo le ultime sanguinose gesta dei jihadisti in Europa - l'attuale Papa ha detto e ripetuto che non è in atto una guerra di religione, perché
«tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri».
Ovviamente si è subito levato un coro di plauso a queste parole, eccezion fatta per i media di destra o centro-destra. Analogo entusiasmo ha salutato la partecipazione, la scorsa domenica, di imam e di talune migliaia di musulmani a messe cattoliche in paesi europei, tanto da far dire che siamo a una svolta nei rapporti col mondo islamico.
Cominciamo dalle parole papali.
Che tutte le religioni vogliano la pace implica per lo meno l'esistenza di tre elementi: a) che sotto il nome di "religioni" siano individuabili realtà strutturate efficacemente e capillarmente, alla maniera delle sette per intenderci, talché le azioni dei membri non sfuggano al controllo e non ci siano iniziative di segno difforme, individuali o di gruppo; b) che nel corpus teologico-ideologico delle religioni - cioè nei loro libri sacri - non esistano passaggi suscettibili di essere utilizzati dai violenti per imporsi all'interno come all'esterno; c) che nella storia delle religioni non ci siano mai stati episodi, o periodi, in cui il massacro degli "infedeli" fosse presentato come altamente meritorio agli occhi di Dio e che quindi il vessillo della "fede" non abbia mai costituito la giustificazione per il disfrenarsi dei peggiori istinti.
Sul punto c) la smentita della Storia è radicale. Nei parametri del punto a) non rientrano né le Chiese cristiane né il mondo islamico nel suo complesso. Riguardo al punto b), solo il Nuovo Testamento non contiene alcunché del genere dianzi detto, ma negli altri sacri testi delle religioni monoteistiche abbondano eccome i passi suscettibili di venir utilizzati per incitare al massacro di chi la pensa diversamente. Ne sono immuni i testi buddhisti, ma i massacri di segno buddhista in Birmania a danno della minoranza musulmana attestano che tutto sommato è indifferente quanto nei sacri libri ci sia o non ci sia scritto.
La conclusione è una sola: la frase del Papa oltre a essere bella non ha senso alcuno. Avrebbe fatto meglio a dire che non c'è una guerra di religione col mondo musulmano in quanto tale, ma semmai che essa è in atto con le frange radicali e jihadiste di quello stesso mondo. Poiché è lungi da noi l'intento di mettere in dubbio l'intelligenza papale, si deve affermare che si è trattato di mera propaganda, oppure di diplomazia lessicale. Tuttavia ancora una volta è rimasto disatteso l'ammonimento evangelico del Cristo sull'esigenza di strutturare i discorsi attraverso lo schema "sì, sì, no, no".
Non sappiamo cosa abbiano pensato i cristiani del Vicino Oriente che hanno avuto stretti congiunti e amici sgozzati dagli islamisti solo perché cristiani, magari dopo che le porte delle loro case erano state contrassegnate dalla lettera ن (l'iniziale di nasrani, «cristiani»), per indicare dove colpire con sicurezza: avranno davvero ritenuto, dopo l'esternazione del Papa, che alla fin fine era solo apparenza l'uccisione dei loro cari per odio religioso?
In termini più generali si deve quindi escludere che wahhabiti, salafiti e jihadisti vari non usino l'odio religioso per attirare nelle loro fila fanatici pronti a tutto? Che essi, nonché Arabia Saudita e petromonarchie del Golfo, non abbiano progetti di islamizzazione e acculturazione degli infedeli (anche dei musulmani considerati tali) secondo i loro schemi, dentro e fuori dal mondo musulmano storico? Se è cosi allora siamo in tanti a non aver capito nulla finora.
Per chi critica il Papa non si tratta necessariamente di sposare le tesi dei fautori dello "scontro di civiltà" tout court fra Islam e resto del mondo. Ma è la stessa realtà delle cose a far concludere che questo scontro i radicali islamisti lo vogliono, lo attuano e quindi esiste. Quando il Papa - a corredo della tesi della mancanza di guerra di religione - afferma che
«c'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli»,
dice una cosa tanto giusta quanto risaputa ma, ai nostri fini, banale: da tempo sappiamo che le guerre scoppiano per motivi economici e di potere; tuttavia non si deve sottacere che le spinte a parteciparvi - o come volontari o con entusiasmo anche se autoritativamente arruolati - non si riducono allo spirito di avventura e di bottino, o alla possibilità di scatenare i propri istinti criminali, bensì includono l'odio ideologico o religioso fomentato da chi persegue gli effettivi fini economici e politici.
Quando i fatti e le parole dicono che i jihadisti vogliono tutti gli altri o convertiti o morti, che per costoro non tutti gli esseri umani sono uguali e che i valori in genere dei non musulmani sono comunque spazzatura e blasfemia, come si fa a essere d'accordo con Bergoglio?
Ancora una volta siamo di fronte ad alate parole di scarso spessore. Non si tratta di un novità perché in fondo quando i membri della cosiddetta "Chiesa docente" parlano a quelli della cosiddetta "Chiesa discente" - i quali ultimi non spiccano per accentuato spirito critico (se no non si farebbero discere in tal modo) - tradizionalmente i problemi vengono semplificati al massimo, fino alla banalizzazione.
Riguardo poi alla recente partecipazione di musulmani a messe cattoliche, più che una svolta (come sostengono i laudatores) c'è stato un segnale, importante ma sempre un segnale: cioè a dire, gli islamici contrari ai jihadisti cominciano a venir fuori. Ottima cosa, ma non ci si illuda che si tratti di soggetti (insieme a quanti la pensano allo stesso modo pur essendosene rimasti a casa) esponenziali dell'Islam sunnita in quanto tale, poiché qui - a differenza di quello sciita - non esiste né clero né simil-clero. Le cose continueranno come prima, ma il predetto esporsi diventerà utile solo se si tradurrà in azioni di emarginazione e denuncia degli estremisti. Altrimenti tutto rimarrà a livello di episodio mediatico.
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com