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martedì 5 aprile 2016

RIVOLUZIONE ZANJ [THWARA ZANJ] (Tariq Teguia, 2013), di Pino Bertelli

Quando il governo viola i diritti del popolo, per il popolo e per ogni parte del popolo, l'insurrezione è il più sacro di tutti i diritti e il più indispensabile di tutti i doveri.
(Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino)

Il cinema esiste, tuttavia ovunque muore di banalità… la macchina/cinema, va detto, è una summa di stupidità, una prerogativa indiscriminata di ogni autore e di qualsiasi produzione, uniformata e distribuita secondo una proposizione costante della stupidità. Potere e stupidità sono sinonimi. Come la storia c'insegna, «alcuni individui ereditano notevoli dosi del gene della stupidità e grazie a tale eredità appartengono sin dalla nascita all'élite del loro gruppo… Tra burocrati, generali, politici e capi di stato, si ritrova l'aurea percentuale [Prima Legge sulla stupidità] di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (od occupano). Al proposito anche i prelati [e bancari, poliziotti, intellettuali, sindacalisti, artisti, operai, terroristi…] non vanno trascurati» (Carlo M. Cipolla). Sempre e inevitabilmente si sottovaluta il numero di stupidi in circolazione nel cinema e siccome le persone stupide causano danni ad altre persone o intere comunità, con tutti i mezzi necessari andrebbero privati della loro inclemenza.
Rivoluzione Zanj è un film di notevole insolenza poetica, libertaria… qualcosa che scuote gli schermi addomesticati della società mercantile. La storia si avvolge intorno a un giornalista algerino che segue i conflitti interni nel sud del Paese… in modo casuale ritrova le tracce delle antiche rivolte degli schiavi neri (Zanj appunto, comprati nell'Africa orientale) contro il califfato degli Abbasidi, avvenute tra l'869 e l'883 nel sud dell'Iraq, nella regione di Bassora… passate alla storia come rivoluzione Zanj (e conseguirono anche un qualche successo, tanto da coniare delle loro monete). Il giornalista vede nelle rivolte in Egitto, Tunisia, Yemen e in tutte le coste del Mediterraneo l'utopia della rivoluzione panaraba e intraprende un viaggio verso la scoperta delle loro gesta… a Beirut (città-simbolo delle lotte e delle speranze di tutto il mondo arabo) incontra una profuga palestinese, poi rifugiata in Grecia, e qui la rabbia delle giovani generazioni incendia la storia tradita della società parassitaria.
Tariq Teguia non è sconosciuto ai disingannati della critica politica del cinema… nasce ad Algeri il 12 dicembre 1966, studia filosofia e arti plastiche, lavora per la stampa come fotografo freelance… realizza quattro documentari: Kech'mouvement (1996), The Dog (1996) Scarto Waiting (1998) e La fine (2002). Rivoluzione Zanj è il suo terzo lungometraggio. I precedenti Rome wa la n'touma - Roma piuttosto che voi (2006) e Gabbla - Inland (2008) sono stati presentati in Italia alla Mostra del cinema di Venezia e trasmessi da un critico fuori onda (Enrico Ghezzi) in Fuori Orario - Cose (mai) viste (Rai 3). I suoi film hanno ricevuto premi internazionali (che non c'importa qui menzionare), ma per molti sono ancora sconosciuti… tuttavia lo strangolamento della distribuzione non è riuscito a cancellarli a quanti volevano vedere per capire e capire per passare al dissidio… la democrazia diretta o partecipata e il bene comune non è un sogno, è un'utopia possibile… basta sapere che qualsiasi edificio sociale fondato su secoli di storia, non può che essere distrutto dai popoli in rivoluzione!
Tariq Teguia
Rivoluzione Zanj corrisponde alla voglia di libertà che infiamma ancora i paesi attraversati dalle "primavere arabe" (soffocate nel sangue e restaurate nella dittatura)… il giornalista (Fethi Ghares), dicevamo, a Beirut incontra una ragazza palestinese (Diana Sabri), un'apolide, figlia di un anarchico libanese… il loro cammino s'incrocia con artisti, guerriglieri, persone di varia umanità… infine giungono in Grecia, dove le manifestazioni di protesta assumono il corpo di una rivoluzione, e anche se sappiamo come è andata finire, ciò non significa che l'assalto al cielo della società mercantile non sia possibile, è solo rimandato alle prossime primavere di bellezza che rispondono alla violenza istituita con tutti gli strumenti necessari a liquidare la violenza, e fanno dell'impudenza il cambiamento dello stato del mondo.
La critica della violenza che fuoriesce da Rivoluzione Zanj è collegata alle analisi contro il potere di Hannah Arendt, Frantz Fanon, Walter Benjamin, René Girard, Michel Foucault, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Guy Debord… in questo senso la filosofia della violenza che il film contiene rende «riprovevole la violenza che conserva il diritto, la violenza amministrata, che serve l'amministrante. La violenza divina, che è insegna e sigillo, non è mai strumento di sacra esecuzione. Si potrebbe dire che è la violenza che governa» (Walter Benjamin) l'universo. La critica della violenza è la filosofia della sua storia, uno strappo, un rivolgimento, una prospettiva decisiva a dirimere le forme di violenza con le quali si erigono miti e si conservano i diritti nel sangue. Jean Meslier (curato di campagna, 1664-1729), a ragione, lascia nel suo Testamento (messo all'indice dalla Chiesa) queste parole: «Io vorrei, e questo sia l'ultimo ed il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l'ultimo dei re fosse strangolato con le budella dell'ultimo dei preti». I tiranni sono sempre gli stessi… e l'appello alla giustizia sociale passa dalla disobbedienza dell'uomo in rivolta.
L'architettura filmica di Rivoluzione Zanj è austera, quanto metaforica, surreale, anche… Rossellini, Godard, Pasolini sono i nodi di riferimento… straordinaria è la sequenza di Ici et ailleurs (1976), scippata a Godard e Anne-Marie Miéville, e proiettata sui corpi degli spettatori che stanno assistendo alla proiezione. Ici et ailleurs è un film controverso, opera d'inclinazione sovversiva… mai distribuito adeguatamente… mette insieme la volontà del popolo e la lotta armata palestinese… il lavoro politico e una guerra prolungata che porterà fino alla vittoria. Anche se non sarà così, resta un piccolo capolavoro incompreso, nel quale Godard e Miéville «restituiscono le immagini ai corpi dai quali sono state tratte» (Serge Daney). Di più. Ici et ailleurs, come Rivoluzione Zanj, incatenano le immagini dei loro film alla realtà rovesciata del momento e non fanno sconti a nessuno. La tesi di fondo di Godard è espressa con chiarezza: «Gli ebrei fanno agli arabi ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei». Teguia sostiene a viso scoperto che là dove c'è oppressione è giusto che nasca la resistenza e sfoci nella rivoluzione.
In Rivoluzione Zanj, Teguia evita i soliti moralismi sfoderati sui tappeti rossi dei festival, quando si parla di ultimi della terra o sollevazioni in armi di popoli affogati nella miseria e nella paura… impugna i diritti dell'uomo e rifiuta i mandati di comparizione delle democrazie spettacolari. La sovranità popolare non può essere delegata né rappresentata. La resistenza è il primo vagito di tutte le rivoluzioni e solo le rivoluzioni metteranno fine ad uno stato di cose dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non ci può essere nessuna felicità senza l'eliminazione pura e semplice dell'ordine costituito. Né servi né padroni! non è un canto di prossimità! è il brulotto delle idee in anarchia che prendono forma mentre si realizzano.
Nel film di Teguia non sono poche le sequenze, magnifiche, di esterni (campi lunghi) che attanagliano la fantasia dello spettatore… c'è una malinconia politica che attraversa l'intero film… uno splendore di sentimenti struccati verso chi soffre e chi cerca di sollevarsi con tutti gli strumenti utili… le monete degli schiavi Zanj sono ammucchiate nel fondo del Tigri, non valgono nulla, ma per certi uomini in rivolta sono l'inizio di qualcosa che riporta alla scoperta di quell'utopia libertaria che cancella i privilegi e sporca i cancelli delle chiese con la bava dei principi del totalitarismo (politico, finanziario e religioso).
C'è da dire che la sola stonatura di Rivoluzione Zanj è una trovata di sceneggiatura. Quando il giornalista ruba i soldi degli "affari sporchi" nell'albergo dell'aeroporto… è un "colpo" piuttosto alla francese… troppo facile per essere anche vero… e poi all'interno di questo film… tuttavia recupera sorrisi e leggerezza, o forse è vero il contrario: il potere non esiste se non nella misura in cui lo si accetta, e non accettarlo più è già un qualcosa che anticipa il suo crollo… la disobbedienza civile è una forza indicibile, quanto il diritto d'inventario dopo la rivoluzione. La decostruzione del vero è anch'essa una verità, se è parte di un discorso più ampio e formidabile vivaio di riflessione politica. E poi rubare ai ricchi non è mai stato un furto, come assassinare un tiranno non è reato! Tutte cose che non s'imparano a scuola, ma nella strada.
Le inquadrature forti, personali, giustamente insolenti di Teguia non sono un esercizio stilistico, ma un vero e proprio rizomario di affettazioni del luogo comune sui salvati e i sommersi delle "primavere arabe"… il regista respinge l'umiliazione dell'indifferenza ed evita i luoghi delle infatuazioni… le menzogne dell'Occidente sono disvelate o tenute a distanza dal nucleo narrativo e, come in uno specchio, le belle carogne disseminate lungo i secoli dai colonialisti sono sepolte nei cimiteri di formule e ideologie o accatastate nel marcitoio dei moribondi di Wall Street. Non c'è bisogno di credere a una verità per sostenerla, né di giustificare un'epoca del dispotismo ingiustificabile, dato che ogni vero principio di libertà è sul fronte della storia e ogni angheria istituzionale non solo è illegittima, ma è essenzialmente volgare.
La fotografia di Rivoluzione Zanj alterna epifanie poetiche a frammenti che sembrano scippati da un cinegiornale… il bello, il vero, il buono sono ammantati di schegge di reale che sottolineano (senza sofismi) la speranza, i timori, il coraggio della comunità che viene… certe sequenze in esterni (mari, fiumi, deserti, albe, tramonti, quartieri dissestati) esprimono l'essenza di ciò che non si riesce a vedere nella macchina/cinema… e il cinema non è tollerabile se non per il grado di sovversione che vi si mette. Il resto è solo Hollywood (Spielberg, Tarantino, Scorsese, Iñárritu…), con il vomito che ne consegue. Le brevi sequenze nella periferia di New York sono filmate quasi in clandestinità… mostrano che la mafia è ovunque (nei governi, nelle banche, nei servizi segreti) e detiene i centri commerciali, la droga, i diamanti, l'acqua, i mercati delle armi… Teguia disvela gli schifosi che vendono il loro paese a pezzi… e senza mezzi termini dice che la "civiltà" è minata quando sono queste serpi di stato a darle un "volto". Tra la verità dei ricchi e la ragione degli ultimi l'incompatibilità è totale… è dalla distruzione di queste cimici della finanza, della politica e del clero che nascono mondi nuovi.
Il montaggio di Rivoluzione Zanj elabora una specie di sinfonia visuale che debutta in maniera grafica, tinteggiata di rosso, nelle sequenze finali… la lunghezza del film (116 minuti) non s'avverte… la cucitura tra attorialità e squarci semi-documentari s'accorda con l'epica delle immagini e vanno a configurare l'avvento di una coscienza sociale che porta oltre il film e permette qualsiasi cosa: l'odio assopisce la conoscenza, la conoscenza ridestata (innervata sull'effigie del fallimento dei "grandi tavoli" internazionali di pace) lavora alla cancellazione dell'odio. È difficile cambiare la vita senza versare sangue. «Povero idiota di un rivoluzionario, milionario in immagini di rivoluzione» (Jean-Luc Godard, voce off di commento nel film Ici et ailleurs): l'emancipazione di qualsiasi popolo non può che essere opera del popolo stesso.
L'attorialità è funzionale all'intero film… Fethi Ghares e Diana Sabri sono veri e propri testimoni di una stagione all'inferno o della fraternità e dell'amore come innocenza del divenire, e incarnano (lei soprattutto) gli insorti del desiderio di vivere tra liberi e uguali. Teguia lavora sull'interpretazione straniante (brechtiana) dei personaggi… sono icone più che attori… elementi figurativi di una cartografia dell'esistenza che cerca l'uguaglianza mai realizzata dei cacciatori di sogni… certo è che le rivoluzioni si possono fare e il corso della storia può essere deviato.
Per non dimenticare. «Dalla parte dell'ordine borghese: lo sfruttamento, il capitalismo, la miseria, la guerra, la prostituzione, il lavoro minorile, la fumisteria parlamentare, la schiavitù, l'asservimento delle coscienze e delle intelligenze; dalla parte del disordine anarchico: la liberazione dei popoli, la fine dello schiavismo, la scienza al servizio dell'umanità, la rivolta contro il capitale, l'eliminazione del clero, l'abolizione dei privilegi, la parola delle capanne contro i castelli» (Michel Onfray). È naturale stare con l'ordine senza potere dell'anarchia. Rivoluzione Zanj contiene questo messaggio: l'esplosione sociale per il conseguimento di una società composta di esseri liberi. Ogni rivoluzione trova la sua origine nella Comune di Parigi (1871) e sulla sua sconfitta (ma non fu mai vinta!) continuano a nascere le speranze e le ragioni per cui lottare contro ogni forma di potere di tutti i libertari della terra.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 28 volte febbraio 2016

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