Come tutte le creature umane, anche gli stupidi influiscono sulle altre persone con intensità varia. Alcuni stupidi causano normalmente solo perdite limitate, mentre altri riescono a causare danni spaventosi non solo ad uno o due individui, ma ad intere comunità o società.
(Carlo M. Cipolla)
Stupidità e potere sono sinonimi… il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere, di autorità che occupa nella società… tra burocrati, generali, politici, capi di stato, uomini di chiesa e intellettuali di successo, si ritrova una lauta percentuale di individui fondamentalmente stupidi, «la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (e occupano)», Carlo M. Cipolla diceva… la civiltà dello spettacolo è infatti la culla della stupidità e con ogni forma di comunicazione rafforza inevitabilmente il potere distruttivo dell'intelligenza e porta uomini e paesi alla rovina.
Al cinema la stupidità impera. Quo vado? di Gennaro Nunziante, con Checco Zalone (Luca Medici), maggiore incasso di tutti i tempi per un film italiano, è un fulgido esempio. Il film non è solo brutto, stupido, antisemita, razzista, qualunquista e quindi fascista… è un'operazione commerciale di una desolante tristezza, un succedaneo della peggiore commedia all'italiana che molto è servita alla domesticazione servile di un intero popolo. Si faceva ridere sui vizi e le virtù degli italiani e intanto si soffocavano i cammini accidentati delle giovani generazioni in rivolta… una civiltà esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di provocazione, quando si accorda con la cialtroneria della partitocrazia che l'alleva nell'imbecillità culturale, inizia la sua caduta (che avviene sempre troppo tardi). A questo punto l'analisi di Quo vado? sarebbe conclusa. Ma siccome siamo in vena d'ironia, anche se un po' acida, vogliamo entrare nello zuccherificio filmico di questo prodotto da centro commerciale e cercare di capire perché milioni di persone sono state attratte da questa cloaca di stupidità.
Ecco la storia. Checco è stato allevato dal padre con il mito del posto fisso. A quasi quarant'anni è scapolo, ama la madre e non ha nessuna intenzione di sposare l'eterna fidanzata. Abita con i genitori (che tratta come servi) e lavora a tempo indeterminato presso l'ufficio provinciale Caccia e pesca… il suo incarico consiste nel fare timbri e ricevere in cambio salami, uccelli, formaggi… le riforme arrivano anche per Checco… quella che abolisce le province lo riguarda e gli viene chiesto di licenziarsi con una piccola buonuscita. Checco si rivolge al senatore della Prima repubblica che l'ha fatto assumere, l'onorevole gli dice di non mollare… così respinge le proposte economiche della funzionaria e lei lo spedisce sulle Alpi, in Sardegna e infine al Polo Nord. Qui incontra Valeria, una convinta ambientalista e difensore degli animali… Checco s'innamora della ragazza (che ha avuto tre figli da tre padri diversi, uno per ogni "missione umanitaria")… Valeria resta incinta di Checco, lui accetta il licenziamento e la raggiunge in Africa… e vissero felici e contenti senza il posto fisso.
Quo vado? così raccontato sembra un film appena decente… peccato che quello che scorre sullo schermo non è che una sequela di immagini prive di una qualche immaginazione creativa, imbevuta nel moralismo fesso delle apparenze… lungi dall'eliminare il convenzionale, lo fa proprio e se ne compiace. Confinato nel già noto, per quanto prossimo al paradiso degli scemi, il film non aderisce alla percezione del quotidiano dal quale parte, è l'occasione e il pretesto per incoraggiare i vaniloqui e l'idiozia di una parodia del vero. Il vuoto che intravediamo nel fondo di Quo vado? evoca quello che cogliamo nel dizionario dell'approssimativo… un supplemento del consunto predestinato al marcitoio della banalità o della celebrità da mentecatti.
Zalone non fa ridere nemmeno quando fa una sega a un orso o a un elefante - con la quale chiude il film - tantomeno quando prende per il culo i migranti del Mediterraneo e dice che nel suo Paese solo chi sa giocare al calcio può essere accolto… sputa sulla musica ebraica e quando mostra un bambino nero ai suoi genitori (che sobbalzano a tanta brutta visione), li rassicura che era solo uno scherzo… prende tra le braccia la sua bella bambina bianca e sottolinea: «Questa è quella autentica»! Quando sento queste vigliaccate verso gli ultimi della terra mi sorgerebbe spontaneo mettere mano alla pistola, se non fosse disdicevole per la fraternità che porto ai bambini di ogni colore della pelle. Caro Zalone, non sei degno nemmeno di una corona di sputi, e quando ti faranno santo dei babbei (non solo del cinema) sarò il primo a pisciare la tua effigie e seppellirti sotto una risata.
La dolcificazione dell'illusione è all'origine di ogni mortificazione dell'intelligenza, come i "fascismi" (neri, rossi o delle democrazie parassitarie) hanno mostrato nella delinquenza della loro storia. Chiese, ideologie, polizie, mercati finanziari sono all'origine di genocidi, guerre, migrazioni di morte eseguiti e perpetrati con il consenso e la stupidità delle masse. In tempi di oscurità intellettuale, niente è più facile di associare la farsa al rimpianto, senza una manciata di grazia tutto riesce bene, persino le sciagure sociali… il dilettantismo dell'impostura si salva nel basso umorismo, la beffa è che in molti confondono il conformismo a buon mercato col cimitero delle buone intenzioni. La sciocchezza prospera tanto nei naufragi dell'incoscienza politica quanto nei servitori volontari che la sostengono in terra, in cielo e in ogni luogo dove i fanatici dello spettacolo perseverano nell'idolatria della criminalità istituzionalizzata.
Checco Zalone racconta la trama del film così: «Il tema è un uomo, che sono sempre io, Checco, l'ultimo fortunato che ha il posto pubblico fisso, inamovibile, finché arriva la riforma e viene messo in mobilità. Racconto l'odissea di quest'uomo che pur di non lasciare il suo posto fisso è disposto ad andare sino in Norvegia. Da un ufficio a tre metri da casa affronta un cambio radicale di vita che lo porterà in una cultura totalmente diversa da quella italiana, fatta di gente virtuosa, civile, efficiente, dove il welfare è molto forte. Però sono tutti depressi. E si uccidono. Perché?». Per gli stupidi c'è un zoo a parte.
Quo vado? è una sfilata di frivolezze appena abbozzate, ma sufficienti per formulare la superba inutilità di un film di successo… la faccia da cretino di Zalone suscita ovunque una certa simpatia… si vede che trova corrispondenza tanto nella crema intellettuale che tra i disintegrati della speranza rassicurati dalla società mercantile… i politici detengono il monopolio dell'imbecillità e stanno al gioco dell'oca del cinema… insieme ai critici più accreditati spingono il loro spirito aggressivo ad abbracciare e tradire tutte le cause, sono i parvenu della partitocrazia e non possono che pervenire a vittorie spettacolari che rafforzano il sistema che li costringe alla sottomissione. Il cattivo gusto è la loro mangiatoia, l'inginocchiatoio il loro credo.
Quo vado? arriva nei cinema in una quantità spaventosa di copie (1400, sembra)… a ridosso dei cinepanettoni, Star Wars e Il ponte delle spie (tutta roba indirizzata all'instaurazione del consumo indifferenziato e legata alla logica dello smarrimento in gloria di dio, dello stato e del mercato). L'operazione commerciale è di quelle su vasta scala… Zalone appare in trasmissioni televisive, copertine di riviste, prime pagine dei giornali (non solo quelli specializzati)… nei salotti all'ora del tè non c'è signora dabbene o intellettuale di sinistra o di destra (fa lo stesso) che non commenti questo "fenomeno di costume"… la formula è la medesima della pubblicità dei pannolini, dei detersivi, della pasta, delle auto… la ripetizione ossessiva del prodotto per famiglie felici… è la mistica dei Masterchef, X Factor, talk show, serie televisive, stilisti quotati in borsa, dell'islamofobia terrorista, la sicurezza delle banche, le guerre d'esportazione della "democrazia", l'invasione perversa dei migranti, le morti telegeniche nel Mediterraneo… con i quali erigere una filosofia della diffidenza e dell'indifferenza nell'epoca della paura globale… ogni apologia difetta per la sua propria celebrazione, e quando si espande fino a coprire il dolore secolare dei popoli degenera e finisce in caricatura.
In Quo vado? si scherza sulla Tav, i centri di accoglienza, i "condannati alla partita Iva", i disoccupati, i migranti, i precari, gli svantaggiati, gli ebrei, i neri d'Africa… si evita di individuare gli istrioni della politica, i buffoni della fede, i voltagabbana dei partiti… è facile convincere che il disagio della civiltà può essere superato (se non vinto) da una risata (ma qui non si ride, anzi ci assalgono conati di vomito ad ogni barzelletta filmata). Il cattivo gusto, la chiacchiera, lo sproloquio sono sempre stati arnesi di bassa lega che hanno soggiornato negli orinatoi di tutti i poteri. «La plebe vuole essere stordita da invettive, minacce e rivelazioni, da discorsi roboanti: ama gli imbonitori» (E.M. Cioran). La volgarità regna da più di duemila anni sulle preghiere e i servigi di beoti che come i pesci morti vanno con il flusso della corrente. Il cinismo dei potenti si riconcilia sempre con i loro sermoni elettorali, e perfino con l'ingenuità culturale delle loro vittime.
La scrittura filmica di Quo vado? è inesistente… Nunziante è a totale servizio delle mossette di Zalone e nemmeno si preoccupa di mettere la macchina da presa dove andrebbe messa… firma anche la sceneggiatura con Zalone… le battute (degne nemmeno del più vieto avanspettacolo) sembrano suscitare molte risate e non capiamo perché… forse non siamo avvezzi a solleticare la nostra lettura del cinema attraverso sciocchezze dialettali, luoghi comuni rimasticati, atteggiamenti macchiettistici o infime trovate cabarettistiche… certo è che Zalone piace e molto, è innegabile… quindi, forse, il trionfo dell'imbecillità che incarna deve trovare una sorta di riflesso sociale che si riversa al botteghino e nell'immaginario collettivo.
Gli attori di contorno a Zalone sono in sintonia con il ragazzone del sud… interpretano una parata di quadretti senza spessore né sostanza e Lino Banfi, come è suo costume, figura la quintessenza della comicità mancata… un ometto con la faccia da portinaio che sullo schermo, da sempre, resta sospeso tra la puerilità e l'indecenza attoriale. La fotografia di Vittorio Omodei Zorini è confezionata su modelli amatoriali e il montaggio di Pietro Montana non va oltre l'assemblaggio delle sequenze. Le musiche di Zalone sono infarcite di mafia, pizza, maccheroni e siparietti sulla "Prima repubblica"… invitano a ridere rimbambiti e adolescenti senza coglioni. Gli stilemi abborracciati della sintassi filmica di Quo vado? ci hanno provocato il disgusto, l'equivoco, lo sgomento, ed è inconcepibile per chi ama il cinema in forma di poesia (Keaton, Chaplin, Tati, perfino Stan Laurel e Oliver "Babe" Hardy) che una categoria di beati o di minorati mentali (meravigliosamente superficiali) non abbiano compreso o abbiano condiviso le truccherie mercantili di Quo vado?… i cumuli d'inezie buttate sulla tela puttana del cinema degradano i nostri stupori nel fallimento di un'epoca in cui la predisposizione naturale del pubblico stabilisce il grado esatto della sua agonia.
Dopo le commediole Cado dalle nubi (2009), Sole a catinelle (2011), Che bella giornata (2013), dirette da Nunziante e scritte con Zalone, i due menestrelli della risata facile replicano i loro consensi nostrani con Quo vado?… la partitura filmica è sempre la medesima… buonismo d'accatto, mediocrità attoriale senza precedenti, smorfie e atteggiamenti di una demenza finora sconosciuta, dialoghi affidati all'annientamento dell'intelletto… il tutto inadeguato perfino nella senilità dei cinema parrocchiali… a Zalone, va detto, manca la disinvoltura di un saltimbanco, di un idiota o di un santo, quantomeno quella voluttà libertaria della commedia dell'arte che esprimeva la lacerazione di dogmi, idoli e pregiudizi della tradizione… che disvelava la ribalta della cancrena ideologica, politica o religiosa e smantellava l'equilibrio delle istituzioni per affrettarne la fine. Uscendo dal cinema, debbo dirlo, ho intravisto l'urgenza di una notte di San Bartolomeo del cinema e di platee che hanno perduto l'innocenza del divenire e confuso la barbarie dell'intelligenza con la storia prodiga dell'umanità.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 19 volte gennaio 2016
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