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martedì 23 febbraio 2016

REPORT ISTAT 2015: UN PAESE IN GRAVE CRISI SOCIALE STRETTO FRA DECLINO ECONOMICO, POLITICHE DI AUSTERITY E RIFORME STRUTTURALI, di Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

Il report sulla popolazione italiana 2015 pubblicato venerdì 19 febbraio dall'Istat dipinge uno scenario a tinte fosche, ma drammaticamente fedele, delle condizioni sociali del nostro paese. La crisi economica, che dal 2008 sembra non trovare vie d'uscita concrete, e gli effetti delle riforme neoliberiste imposte dalla Commissione europea e attuate dagli ultimi governi, hanno prodotto inevitabili contraccolpi sociali che gli indicatori dell'istituto centrale di statistica fotografano in maniera impietosa.
Un Paese piegato da una crisi economica senza sbocchi che, anche a causa di una politica industriale ormai inesistente, non solo ha registrato, dal 2008, una perdita del 25% della produzione industriale e una contrazione del Pil di circa il 10%, ma non riesce nemmeno a fermare l'incontenibile emorragia di aziende nazionali verso l'estero. Negli ultimi sette anni ben 473 marchi del made in Italy sono finiti in mano straniera: Telecom, Pirelli, Italcementi, Ansaldo Breda e Ansaldo Sts sono alcuni fra gli assi portanti della nostra economia sfuggiti al controllo dello Stato e del declinante capitalismo nostrano.
All'interno di questa cornice economica, il quadro sociale che emerge dagli indicatori dell'Istat non poteva che risultare allarmante, tant'è che il 2015 passerà alla storia come l'anno dei record negativi:

1) La popolazione residente diminuisce di 139.000 unità, attestandosi al 31/12 a quota 60.569.000, registrando, dopo la rettifica censuaria del 2011, la prima effettiva contrazione dal dopoguerra (tabella 1)1.
2) Le morti, in allarmante crescita (+54.000), salgono a ben 663.000 (+9,1%), raggiungendo il massimo dalla Seconda guerra mondiale (tabella 2)2.
3) Le nascite continuano a ridursi (-15.000), crollando a 488.000, minimo storico dall'unità d'Italia.
4) La speranza di vita, dopo una lunghissima fase - interrotta solo dalle Guerre mondiali - caratterizzata da un inarrestabile allungamento che ci ha portato ad essere una fra le tre popolazioni più longeve del pianeta, ha invertito la tendenza, iniziando per la prima volta a ridursi.
5) Continua il trend negativo, iniziato nel 2008, del numero di immigrati in entrata, fermatosi a 245.000 unità, mentre 45.000 stranieri residenti hanno lasciato il nostro paese (tabella 3)3.

La popolazione residente nel nostro paese registra dunque, nel 2015, un allarmante calo demografico generale: nonostante il saldo migratorio sia positivo per 128.000 unità (sceso però al 25% rispetto al 2007), non riusciamo a compensare lo sprofondamento, a meno 165.000, di quello naturale. Gli immigrati, aumentati di sole 40.000 unità e sostanzialmente fermi all'8,3% del totale, non riescono più a compensare la contrazione storica della popolazione autoctona, che nel 2015 scende, in base al saldo naturale, di ben 179.000 elementi.
Se la mortalità, frutto dell'invecchiamento della popolazione e della crisi sociale, ha raggiunto il massimo storico al 10,7 per mille, la fecondità, in calo ormai da 5 anni consecutivi, scendendo a 1,35 ritorna ai livelli del 2004, a testimonianza che anche gli immigrati, che contribuivano a rallentarne la discesa, hanno diminuito la loro propensione alla procreazione a causa delle ripercussioni occupazionali della crisi, dalle quali non sono stati certamente risparmiati. Tendenza confermata anche dalla riduzione delle iscrizioni degli stranieri alle anagrafi (immigrati), che dalle 558.000 del 2007 sono diventati, lo scorso anno, meno della metà. Mentre la mancanza di prospettive lavorative per le giovani generazioni, afflitte da un tasso di disoccupazione intorno al 40%, ha spinto, nel 2015, ben 100.000 connazionali ad abbandonare il nostro paese in cerca di un'occupazione. In sostanza arrivano sempre meno stranieri e crescono i giovani in cerca di lavoro all'estero, mentre calano le nascite e aumentano le morti. Un paese in inesorabile fase di invecchiamento, con l'età media della popolazione che sale a 44,6 anni (+0,2 rispetto al 2014), con i sessantenni, che, costretti a prolungare l'attività lavorativa, rinviano di fatto il fisiologico turnover a danno dei giovani, che si vedono così costretti a cercare migliori prospettive all'estero.
Gli anziani sopra i 65 anni raggiungono i 13,4 milioni, pari al 22% del totale della popolazione, con il Centro-Nord in condizioni più critiche, con Liguria (28,2%), Friuli-Venezia Giulia (25,4%) e Toscana (24,9%) in testa alla poco invidiabile graduatoria regionale. Nel contempo si riducono le fasce di età comprese fra 15-65 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) e 0-14 (8,3 milioni, il 13,7%), facendo salire l'indice di dipendenza strutturale al 55,5%, situazione poco invidiabile che si riflette negativamente sul sistema economico e su quello pensionistico nazionale.
Particolarmente preoccupante risulta la condizione di buona parte dei nostri giovani che dopo aver completato il loro percorso formativo, non trovando adeguata occupazione, si trovano loro malgrado relegati allo status poco privilegiato di NEET - "Not (engaged) in Education, Employment or Training", vale a dire le persone non impegnate né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione. Di questa categoria deteniamo, dopo la Grecia, il triste primato europeo, essendo ben il 26% della fascia di età compresa fra i 15 e i 29 anni. Quale alternativa si pone a questi ragazzi, formati e determinati nel valorizzare le proprie competenze, se non scegliere la via dell'estero, ripercorrendo, con una laurea o un dottorato in tasca, la stessa strada già intrapresa decenni or sono da alcuni dei loro progenitori?
La gravità della crisi sociale è fedelmente rappresentata da un altro evento demografico storico: la speranza di vita di entrambi i sessi, in continuo aumento dall'unità d'Italia, ha registrato per la prima volta una inversione di tendenza, influenzata probabilmente anche dai tagli apportati alla spesa sanitaria. La longevità maschile scende a 80,1 anni, dagli 80,3 del 2014, mentre quella femminile passa da 85 a 84,7 anni. Se il trend demografico generale risulta inequivocabilmente involutivo, dobbiamo aspettarci a breve anche una ripresa della mortalità infantile?
Frutto di fallimentari politiche economiche, la drammatica crisi sociale certificata dal report dell'Istat rappresenta una priorità che il governo e la classe dirigente devono inderogabilmente affrontare, uscendo dalla gabbia del neoliberismo e delle politiche di austerity fin qui supinamente applicate i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma che a Bruxelles si ostinano a non vedere.
Di fronte a tale cecità vi è il rischio, sempre meno improbabile, di implosione dell'attuale struttura finanziario-monetaria dell'Unione europea a seguito dell'incapacità di affrontare e risolvere questioni epocali che toccano le esistenze della maggior parte dei suoi cittadini.
Prima che l'intera architettura comunitaria crolli sotto le pulsioni nazionalistiche che stanno portando all'innalzamento di muri e barriere e a respingere i profughi in fuga dalle guerre, riteniamo improrogabile la formazione di un forte movimento popolare e transnazionale che riporti le questioni dell'occupazione, dello stato sociale e del modello di sviluppo al centro dell'agenda politica.
Quando le istanze di giustizia sociale non trovano rappresentanza a sinistra, la storia ci insegna che possono diventare facile preda delle sirene populistiche della destra.
Le drammatiche vicende del XX secolo ci suggeriscono che forse è un rischio da non sottovalutare.


1 La tabella 1 riporta il dettaglio della variazione della popolazione residente al 31 dicembre di ogni anno dal 2001 al 2014.
La popolazione residente in Italia al Censimento 2011, rilevata il giorno 9 ottobre 2011, è risultata composta da 59.433.744 individui, mentre alle Anagrafi comunali ne risultavano registrati 60.785.753. Si è dunque verificata una differenza negativa fra popolazione censita e popolazione anagrafica pari a 1.352.009 unità (-2,22%).
Per eliminare la discontinuità che si è venuta a creare fra la serie storica della popolazione del decennio intercensuario 2001-2011 con i dati registrati in Anagrafe negli anni successivi, si ricorre a operazioni di ricostruzione intercensuaria della popolazione.

2 La tabella 2 riporta il dettaglio delle nascite, dei decessi e del movimento naturale dal 2002 al 2014.

Il movimento naturale di una popolazione in un anno è determinato dalla differenza fra le nascite ed i decessi ed è detto anche saldo naturale. Le due linee del grafico in basso riportano l'andamento delle nascite e dei decessi negli ultimi anni. L'andamento del saldo naturale è visualizzato dall'area compresa fra le due linee.

3 La tabella 3 riporta il dettaglio del comportamento migratorio interno, con l'estero e per altri motivi in Italia negli anni che vanno dal 2002 al 2014.
(*) sono le migrazioni interne, cioè le iscrizioni/cancellazioni in Anagrafe per trasferimento di residenza da un comune italiano all'altro. Il motivo per cui i due valori non sono uguali (con saldo zero) è dovuto al fatto che nei trasferimenti di residenza le iscrizioni e le cancellazioni nelle Anagrafi dei comuni interessati non avvengono contestualmente.
(**) sono le iscrizioni/cancellazioni nelle Anagrafi comunali dovute a rettifiche amministrative.

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