LA MARIONETTA CATTOLICA DI HITLER IN SLOVACCHIA E LE SEI SETTIMANE DI SOSPENSIONE DELLE DEPORTAZIONI: OVVERO, LA PATETICA SCUSA DI PAPA PACELLI
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Introduzione
Nella sua Tesi sull'Olocausto slovacco, lo storico israeliano Yeshayahu Andrej Jelinek descrive come, nel pezzo di terra che sarebbe diventato la Slovacchia, c'erano già stati regolarmente dei pogrom prima che avesse inizio il nazionalismo slovacco, nel XIX secolo. Ma non si trattava di classici pogrom. Non erano solo gli ebrei ad essere depredati e spogliati delle loro ricchezze: ciò accadeva anche alla nobiltà, al clero e alla borghesia che si stava lentamente sviluppando. La parola «pogrom» non esisteva nemmeno nella lingua slovacca dell'epoca. Queste incursioni, chiamate rabovačka, avevano un carattere anarcoide, ed erano indotte dal disagio sociale e dal desiderio che la ricchezza fosse equamente distribuita, più che dall'odio religioso. Fin dal XIX secolo, l'élite sociale slovacca era stata principalmente luterana; solo verso la fine del secolo si era formato il Partito popolare slovacco [Ľudáks], d'ispirazione cattolica e basato sul modello ungherese, che sin dagli anni Venti era stato chiamato «Partito di Hlinka» dal nome del suo leader, un ciambellano del Papa. Le sue politiche erano prevalentemente anticeche, ma alcuni suoi settori assunsero in forma crescente anche tratti antisemiti, soprattutto dopo che Hitler ebbe preso il potere. Lo slogan proclamato nel 1938 dal nuovo governo della Repubblica federale, in parte slovacca - «Arricchitevi!» - venne poi accolto anche da coloro che si appropriavano dei beni degli ebrei indifesi.
Il contesto
Eugenio Pacelli venne eletto papa il 2 marzo 1939 col nome di Pio XII e salì al trono pontificio dieci giorni dopo. Il nuovo Pontefice era più vicino ai nazisti del suo predecessore, Pio XI, che spesso si era infuriato non a causa del clima di terrore messo in atto da Hitler o per la sua propaganda guerrafondaia, ma per le violazioni del Concordato, vale a dire violazioni degli interessi cattolici. Considerato il minore fra due mali, Hitler doveva servire a evitare il male maggiore, cioè la conquista del potere da parte del Partito comunista tedesco ispirato al modello sovietico. A parte questo, il Nazionalsocialismo - per tutti gli elementi in comune che venivano enfatizzati da entrambe le parti - era soprattutto un concorrente ideologico: culto del Sacro Cuore di Gesù opposto a quello del Sangue e del Suolo. Ad ogni modo, da quando Pacelli era diventato papa, il giornale di Himmler, Das Schwarze Korps [Il corpo nero], aveva smesso di attaccare la Chiesa cattolica.
Il 15 marzo 1939, in violazione del trattato di Monaco, la Wehrmacht occupò ciò che restava dell'attuale Cechia [Repubblica Ceca] e venne fondato il Protettorato tedesco di Boemia e Moravia. Nemmeno le richieste più pressanti indussero il nuovo Papa a unirsi alle proteste degli Stati democratici contro quest'azione. Pio XII rifiutò con molta fermezza il suggerimento e dichiarò anzi quanto apprezzasse la Germania, esprimendo il desiderio di fare molto per essa. Solo alcune settimane dopo, inviò a Hitler un messaggio manoscritto per il suo compleanno che fu molto apprezzato a Berlino. E il 25 aprile, a sei settimane dall'annessione, dichiarò in un'udienza:
«Abbiamo sempre amato la Germania e ora la amiamo anche di più. Siamo felicissimi di vedere la grandezza, la prosperità in crescita e la ricchezza della Germania, e sarebbe sbagliato sostenere che non vogliamo che sia prospera, grande e potente».
Il Vaticano aveva già operato per la distruzione della «Repubblica hussita» - dove fra 1918 e 1930, ancor prima di Hitler, più di un milione di cattolici aveva lasciato la Chiesa - appoggiando il movimento separatista dei cattolici slovacchi, in particolare il Partito popolare slovacco. Un anno dopo la morte di Hlinka, il sacerdote già professore di teologia, Jozef Tiso, ne divenne il capo. E nel marzo 1939 questi aveva fatto della Slovacchia, pur «indipendente», uno stato vassallo del Reich in accordo con Hitler e il Vaticano. Fu inizialmente Primo ministro, divenendone poi Presidente in ottobre. La Santa Sede fu tra i primi a riconoscere il nuovo Stato.
All'interno del Partito popolare slovacco era in atto uno scontro fra la sua ala clericale, guidata da Tiso, e quella radicale, con a capo Vojtech Tuka e Alexander Mach. A un incontro con la direzione nazista a Salisburgo - il «summit di Salisburgo» a fine luglio del 1940 - l'ecclesiastico Tiso s'impose sui radicali, ma dietro istruzioni di Hitler dovette nominare Mach ministro degli Interni e Tuka primo ministro. Tuka era un ammiratore fanatico di Hitler, ma nel partito o fra il popolo non aveva il seguito necessario per divenire il nuovo «numero uno». L'ex secondo uomo del partito di Hlinka, Ferdinand Ďurčanský, era caduto in disgrazia presso i tedeschi. Aveva insistito su una maggior indipendenza per il paese e non aveva gradito le annessioni slovacche di Javorina e dell'Orava, che Tiso si era assicurato con la partecipazione alla campagna contro la Polonia.
L'anno successivo, un tentato golpe guidato da Tuka e pianificato in modo dilettantesco fu sventato da Berlino. In seguito a questa lotta di potere intestina, anche Tiso introdusse in Slovacchia il «principio del Führer» e successivamente si autoproclamò Vodca (=Führer) slovacco. L'ambasciatore tedesco Wolfgang von Killinger, che aveva appoggiato l'abortito golpe, venne sostituito da Hanns Ludin. Ludin era stato membro del Partito nazista prima del 1933 e fu del parere, d'accordo con Hitler, che l'indipendenza formale della Slovacchia sotto la direzione di Tiso fosse di tale importanza per la Germania nazista che questi sarebbe potuto restare al potere anche se non fosse stato d'accordo con la politica dei «trasferimenti». Tiso era ormai presidente incontrastato: era comandante in capo dell'esercito, poteva nominare e licenziare ministri, invalidare leggi - avrebbe potuto impedirgli di farlo solo una maggioranza dell'80% in un Parlamento i cui membri erano per un quarto ecclesiastici - ed era a capo dell'unico partito permesso.
La Slovacchia cattolica - la cui fondazione avrebbe costituito un precedente per la Croazia, due anni dopo - partecipò ovviamente anche all'invasione dell'Unione Sovietica, mettendo a disposizione due divisioni per il fronte orientale. Nel frattempo veniva adottato il «Codice ebraico», composto da 270 articoli, allo scopo di importare le leggi razziali di Norimberga. E ormai la quarantena sociale della popolazione ebraica era applicata a forza. Gli ebrei persero i loro diritti civili, le proprietà, il lavoro; furono costretti a indossare la stella di David, mentre venivano deportati in campi di prigionia slovacchi. Era il primo passo verso la deportazione in Polonia.
L'Olocausto slovacco
Nell'autunno del 1941 Tiso, assieme a Mach e Tuka, fu ricevuto da Hitler nel suo quartier generale in Ucraina. Qui l'enfasi fu posta sulla «questione ebraica». I nazisti, sapendo che il governo e vari settori della popolazione (inclusa parte della gerarchia cattolica) volevano liberarsi degli ebrei, si offrirono di «trasferirli» in Polonia: proposta che fu accolta con entusiasmo dalla delegazione slovacca. I nazisti non ebbero bisogno di fare pressioni per ottenere l'accordo della Slovacchia. Al contrario: le frazioni in lotta - clericali e radicali - usarono la questione ebraica per ingraziarsi i nazisti, così da ottenere il favore dello Stato-guida. I dettagli del cosiddetto «trasferimento» furono in seguito negoziati fra Dieter Wisliceny, ufficiale delle SS e consigliere nazista per la soluzione finale slovacca, e il Dipartimento 14 del ministero degli Interni slovacco. Qui il primo ministro Tuka si incontrò regolarmente con gli inviati tedeschi per discutere ulteriori procedimenti contro la popolazione ebraica.
Il 3 marzo 1942, egli annunciò la deportazione degli ebrei al Consiglio dei ministri e il Consiglio di stato - di cui era membro il capo dei vescovi slovacchi, Ján Vojtaššák - confermò questa misura poco dopo. Le deportazioni avrebbero avuto inizio alla fine di marzo. Diverse fonti parlano di una «quota» prefissata di 60.000 persone. Interrotte temporaneamente a ottobre - dopo un totale di 58.500 ebrei già deportati - non ripresero fino a due anni dopo, in seguito all'occupazione tedesca. Vi fu pure una risoluzione secondo cui la Slovacchia avrebbe pagato alla Germania nazista 500 Reichsmark per ciascun ebreo deportato. Agli ebrei venne revocata la cittadinanza slovacca per evitare ogni successiva indagine circa il loro destino.
Ma Tiso ovviamente, per il tramite dei soldati slovacchi sul fronte orientale, era al corrente del destino che attendeva tutti gli ebrei caduti nelle mani dei tedeschi già dal 1941. Nell'agosto 1941, a Žytomyr (Ucraina) vi era stato un pogrom ad opera di unità delle SS e della Wehrmacht in cui erano stati fucilati più di 400 ebrei. Due mesi dopo questa città divenne un quartier generale slovacco a cui lo stesso Tiso prestò visita. Addirittura il 14 marzo 1942 il nunzio papale Giuseppe Burzio - due settimane prima che cominciassero le deportazioni - aveva passato al governo slovacco una nota di protesta dal Vaticano in cui si osservava che gli ebrei non venivano portati in campi di lavoro, ma sterminati. A giugno dello stesso anno, Tiso ricevette delle testimonianze oculari da un'organizzazione ebraica clandestina dei campi della morte, nell'ingenua speranza che «il suo duro cuore si sarebbe commosso».
Le sei settimane di sospensione
La Tesi di Jelinek si occupa soprattutto della sospensione delle deportazioni fra l'inizio di agosto e la metà di settembre 1942, e descrive un gruppo di lavoro clandestino di militanti ebrei che agivano per la salvezza dei propri correligionari. Negoziarono fra gli altri con Dieter Wisliceny. Il tutto si riduceva a una questione di corruzione, equivalente a una certa somma da pagare per ogni deportazione che non aveva luogo. Oltre al tedesco Wisliceny, il gruppo di lavoro era in contatto soprattutto con gli slovacchi, poiché erano loro a organizzare le deportazioni, non i tedeschi. Il ministro dei Trasporti, Július Stano, faceva parte della fazione «moderata» di Tiso e organizzava i treni per Eichmann, che non ne aveva abbastanza a sua disposizione. È provato che vi furono varie discussioni fra i leader del gruppo di lavoro, come ad esempio il rabbino Armin Frieder, e Tiso stesso; vi sono anche testimonianze oculari secondo le quali proprio Tiso decideva sulla partenza di ogni singolo treno di deportati. In quest'occasione potrebbero aver tentato di corromperlo con grosse somme di denaro.
I contatti fra il gruppo di lavoro e il governo cecoslovacco in esilio a Londra, documentati più volte, sono molto più eloquenti. Il gruppo ricevette documenti che erano stati precedentemente sottratti alle autorità tedesche di Bratislava, inclusi resoconti sui campi della morte in Polonia grazie ad ebrei che erano riusciti a scappare, rivelando la vera natura dei «trasferimenti». Il 6 luglio 1942 il governo cecoslovacco in esilio consegnò al vescovo cattolico di Londra, Edward Myers, un memorandum riguardante il terribile destino degli ebrei slovacchi deportati, insieme alla richiesta di trasmetterlo al cardinale britannico Arthur Hinsley, che aveva preso parte all'elezione papale del marzo 1939. Un analogo memorandum del 1944 - sulla ripresa delle deportazioni dopo una pausa di quasi due anni si è già detto - conferma che all'epoca l'intervento del Vaticano aveva dato i suoi frutti, che la persecuzione della popolazione ebraica si era attenuata e che le deportazioni erano temporaneamente cessate: particolare confermato da un documento del 1944 tratto dagli archivi del ministero degli Esteri.
A confermare l'intervento del Vaticano vi è pure una lettera del ministro degli Esteri del governo cecoslovacco in esilio a Londra, Jan Masaryk, diretta al console generale cecoslovacco di Gerusalemme (datata 8 luglio 1942) e anche una lettera del ministro in esilio Hubert Ripka al vescovo Myers (datata 4 febbraio 1944), che indica come in quel momento gli sforzi intrapresi al riguardo dalla Santa Sede fossero risultati estremamente utili.
Secondo Jelinek, questi documenti dimostrano che le manovre del governo in esilio avevano indotto il Vaticano, sotto la sua spinta, a intervenire nell'estate del 1942 affinché si stabilisse una moratoria di sei settimane per le deportazioni, dall'inizio di agosto alla metà di settembre. Quest'intervento fu presumibilmente la ragione determinante della sospensione. Non esiste una chiara prova documentaria del fatto che siano state le negoziazioni con l'ufficiale delle SS Wisliceny o la corruzione a produrre questa interruzione delle deportazioni, anche se ciò naturalmente potrebbe aver avuto un ruolo. Tuttavia, i documenti riguardanti il Vaticano sembrano essere affidabili e convincenti. Dunque la Chiesa cattolica sarebbe potuta intervenire con successo, se solo l'avesse voluto. Ciò era stato confermato un anno prima: nel luglio 1941 il vescovo von Galen denunciò l'Aktion Gnadentod [«Morte pietosa»], a causa della quale 70.000 malati di mente erano stati uccisi, e in questo modo pose termine al programma nazista di eutanasia. Va però ricordato che si trattava dello stesso vescovo che aveva autorizzato il giuramento di fedeltà a Hitler al tempo della Kristallnacht [la cosiddetta «Notte dei cristalli» (n.d.t.)] e che sostenne accanitamente la guerra sino alla fine.
Le responsabilità del Vaticano
Con Mussolini, la Santa Sede aveva fatto uscire il genio fascista dalla bottiglia. Senza la Curia, nel 1924 non avrebbe mai superato indenne l'assassinio del parlamentare socialista Matteotti: Pio XI impedì infatti un'alleanza dei socialisti con il Partito popolare costringendo tutti i preti a lasciare il partito dei cattolici e utilizzando i «suoi» quotidiani per fornire appoggio a Mussolini contro una maggioranza parlamentare a lui ostile e tra la gente che chiedeva che fosse licenziato da primo ministro e arrestato. L'Osservatore Romano, la Civiltà Cattolica e molti altri incolparono del delitto Matteotti la Massoneria. In cambio, cinque anni dopo Mussolini risolse la «questione romana» in favore della Chiesa cattolica. Attraverso i Patti Lateranensi furono restaurati lo Stato del Vaticano e la sua sovranità. Venne promesso uno stanziamento statale di quasi 2 miliardi di lire, fondamento della successiva Banca Vaticana. Ma vi era qualcosa di ancor più degradante: l'intera legislazione italiana doveva essere coordinata con il diritto canonico.
Pio XI fu coinvolto nella salita al potere di Hitler (nello stile del modello italiano). Il presidente del cattolico Partito di centro, monsignor Kaas, aveva già spostato il suo partito su posizioni di destra sotto la nunziatura di Pacelli; tutte le decisioni venivano prese in stretto coordinamento con lui: il Papa aveva potuto influenzare la politica della Repubblica di Weimar tramite il Partito di centro. Era stato un ciambellano papale, Franz von Papen - membro ufficiale di quel Partito e in seguito del Partito nazista - a suggerire che il presidente del Reich, Hindenburg, incontrasse Hitler a novembre del 1932 e - nonostante la sua forte resistenza - lo nominasse cancelliere alla fine del gennaio 1933. Monsignor Kaas spinse il Partito di centro ad accettare, il 23 marzo, il decreto sui Pieni poteri, e a dissolversi tre mesi più tardi. Si trasferì a Roma in aprile, divenne segretario del Collegio cardinalizio e canonico della cattedrale di San Pietro.
In seguito il vicecancelliere von Papen, monsignor Kaas e Pacelli, che era allora cardinale e Segretario di stato - vale a dire ministro degli Esteri della Santa Sede - garantirono reciprocamente il Reichskonkordat del 20 luglio 1933. Per il cattolicesimo politico si trattava della ricompensa per il suo sostegno alla dittatura. Fu anche un trionfo politico per Hitler, la cui posizione fino all'agosto 1934 era ancora precaria e venne resa stabile soprattutto dalla lealtà delle masse assicurata dalla Chiesa. La Conferenza episcopale di Fulda lasciò cadere ogni riserva sul nuovo governo addirittura a marzo, e spinse i cattolici tedeschi fra le braccia della banda di criminali in camicia bruna.
In seguito Hitler e Mussolini sarebbero stati decisivi nella vittoria di Franco in Spagna e Pavelić in Croazia, e ogni volta col sostegno del Vaticano, che chiamava alla crociata antibolscevica al loro fianco. Nel 1940, sulla scia della vertigine di successi tedeschi, quando il mondo intero pensava che Hitler avrebbe vinto la guerra, si fecero dei piani per spostare la Conferenza episcopale di Fulda a Berlino. Anche l'appoggio entusiastico di Pacelli - ora divenuto papa Pio XII - alla campagna hitleriana contro l'«Unione Sovietica dei senza dio» in un discorso radio tenuto alla fine di giugno 1941 faceva parte di questo disegno. Parte dell'episcopato statunitense, come ad esempio il vescovo di Buffalo, John Duffy, minacciarono perfino di invitare i soldati americani all'insubordinazione, se gli Stati Uniti si fossero alleati con l'Unione Sovietica; una chiara violazione della sovranità dello Stato. Dal 1942 in avanti - quando una sconfitta tedesca era ormai divenuta prevedibile - Pio XII fece pure affidamento sul cattolicesimo americano come quinta colonna per spingere il governo statunitense a concludere una pace separata con la Germania ed esigere una campagna comune contro l'Armata rossa. Sino alla fine della guerra questa rimase la sua priorità in termini di politica estera.
Perché il Vaticano intervenne contro le deportazioni in Slovacchia?
Per le potenze dell'Asse la sorte della guerra ebbe una svolta nel corso del 1942. Dopo la fallita campagna invernale della Germania nazista sul fronte orientale, nel 1941, l'Armata rossa sembrò emergere rapidamente come vincitrice finale. Per il Terzo Reich la situazione era divenuta senza speranza già da quando gli Stati Uniti erano entrati a far parte del conflitto. Nel dicembre 1941, dopo Pearl Harbor, Hitler dichiarò guerra agli Usa. Subito dopo anche Tiso e la Slovacchia sottoscrissero questa dichiarazione di guerra. Poco a poco l'equilibrio del potere si volse contro le potenze dell'Asse e dopo la sconfitta dell'esercito hitleriano a Stalingrado, nell'inverno del 1942-43, l'esito della guerra a favore degli Alleati era ormai deciso.
La situazione in Slovacchia era eccezionale giacché era un prelato, Tiso, che come presidente dello Stato era anche responsabile delle sue scelte politiche. Il sottosegretario di stato cardinal Domenico Tardini così sintetizzò il problema: «Tutti sanno che la Santa Sede non può fermare Hitler. Ma chi arriva a comprendere che non è nella condizione di tenere sotto controllo un sacerdote?». Il leader fascista croato - e cattolico - Pavelić era già stato minacciato di scomunica poiché non voleva pagare il salario a due vescovi, essendo stati nominati da Roma senza il suo personale consenso.
Perché dunque nell'estate del 1942 la Santa Sede agì per ottenere una sospensione delle deportazioni degli ebrei slovacchi ad Auschwitz?
Perché aveva ricevuto pressioni dal governo slovacco in esilio, e perché le informazioni sugli orrori dei campi della morte, già a conoscenza del Vaticano, stavano trapelando gradualmente fra la popolazione. Al principio di agosto 1942 sul Times uscì un articolo che parlava di un milione di ebrei assassinati brutalmente dai nazisti in Europa orientale. Ma anche perché l'imminente sconfitta delle potenze dell'Asse era ormai evidente e perché il tentativo del Vaticano di ottenere una pace separata per mettere assieme un fronte comune degli Alleati con la Germania contro l'Armata rossa era stato rifiutato dagli Usa. L'inviato personale del presidente Roosevelt in Vaticano, Myron Tayler, chiarì infine a Pacelli - durante un'udienza che ebbe luogo non oltre la tarda estate - che gli Alleati avrebbero combattuto per la resa incondizionata della Germania al fianco dell'Unione Sovietica. E perché il Vaticano, con il suo atteggiamento indulgente verso Tiso, si era reso direttamente complice dell'Olocausto slovacco.
Ma perché Pio XII non era intervenuto già a marzo del 1942, quando erano iniziate le deportazioni? Nonostante tutto avrebbe molto probabilmente potuto salvare le vite dei 54.000 ebrei assassinati fino ad agosto. La posizione di Tiso nei confronti della Germania nazista era abbastanza solida da potersi mantenere al potere anche senza il suo accordo sulla «soluzione finale». Con ogni probabilità una minaccia di scomunica sarebbe stata sufficiente ad evitare la catastrofe.
Non intervenne perché all'epoca aveva ancora la speranza che Hitler potesse realizzare un'inversione di rotta sul piano militare, visto che il dittatore nazista corrispondeva ancora ai suoi pii desideri. Resosi conto di quanto fosse mutata nel corso del 1942 la fortuna militare di Hitler, Pacelli fu preso dal panico in forma crescente e tentò di crearsi un alibi con una moratoria sulle deportazioni che poteva però creargli dei problemi, dal momento che costituiva la prova di ciò che sarebbe stato in grado di ottenere se solo l'avesse voluto.
Il Vaticano sa perché ancor oggi gli archivi dal 1939 in poi sono tenuti sottochiave. Tali archivi, infatti, non erano stati predisposti solo per accogliere i documenti sulla Shoah come danno collaterale della guerra di Hitler al bolscevismo. Per la Chiesa cattolica popolo ebraico, bolscevismo, massoneria e liberalismo erano già stati sinonimi per decenni. I pogrom contro la popolazione ebraica avevano rappresentato una tradizione cattolica fin dal Medioevo. Il clero istigava la folla con leggende di omicidi rituali e dopo che le incursioni si erano compiute i Papi avevano continuato a sopportare ipocritamente e altezzosamente i restanti «ostinati» ebrei, da cui dipendevano per ragioni teologiche. Gli ebrei, infatti, erano «gli assassini di Cristo» che servivano da capri espiatori, la cui conversione giocava un importante ruolo nel mitologico ritorno del Divino Maestro. Questa è la sola ragione per cui non erano già caduti vittime di una precedente «soluzione finale» esclusivamente cattolica, alla maniera della crociata contro gli Albigesi. Per un certo verso Pio XII e Tiso proseguirono questa tradizione. Il problema di Pacelli non era il diretto coinvolgimento di un sacerdote nell'Olocausto slovacco, ma solo l'imminente sconfitta di Hitler nella guerra e la potenziale bancarotta morale della Curia agli occhi del mondo che l'avrebbe accompagnata.
Epilogo
Le deportazioni non ripresero sino all'autunno del 1944, quando la Slovacchia venne occupata dalla Wehrmacht. Nel momento in cui la resistenza del popolo slovacco fu stroncata, i nazisti ebbero il supporto di Tiso e di parte della gerarchia cattolica. Nella Cecoslovacchia riunita del dopoguerra, Tiso e Tuka vennero processati, condannati a morte e impiccati. Ján Vojtaššák, collaborazionista e capo dei vescovi cattolici, fu condannato a 24 anni di prigione.
Nel 1990, in seguito alla sconfitta dell'Unione Sovietica nella Guerra Fredda, la Slovacchia tornò ad essere uno stato separato, così come la Croazia. Nel caso di Ján Vojtaššák, il processo di beatificazione è in corso. In Slovacchia, Tiso è onorato come martire da una miriade di cattolici; il Partito nazionale slovacco e una parte del clero cattolico si battono perché sia beatificato e canonizzato. Anche Pio XII sarà beatificato.
Si fanno girare all'inverso le lancette della storia. La Chiesa cattolica non può davvero essere accusata d'incoerenza. Ed è certo che in futuro rimarrà fedele alla sua linea.
Berlino, 3 gennaio 2016
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Yeshayahu Andrej Jelinek, The Jews of Slowakia were not for sale: The Holy See and the Holocaust of Slovakian Jewry in summer of 1942 (Idvalujem balvan, pocta historickemu remeslu Jozefa Jablonickeho: disponibile a richiesta presso l'autore)
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Karlheinz Deschner, Mit Gott und den Faschisten, Ahriman-Verlag, 2013 [God and the Fascists, Prometheus Books, New York 2013] [Con Dio e con i fascisti, Massari editore, Bolsena 2016]
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Documentazione: Der Prozess gegen die drei slowakischen Bischöfe [Il processo contro i tre vescovi slovacchi], Orbis, Praha 1951
Foreign Office Archives [Archivi del Foreign Office britannico]
[traduzione dall'inglese di Marco De Martin]
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