Domenica 3 luglio 2005, cimitero di Telves (Vipiteno), 10° anniversario.
Ho concluso quassù il mio «piccolo grande viaggio» portandomi per strada il ricordo di Alex, che è stato parte di quella generazione che ha «osato» fare la rivoluzione.
Ho percorso l'Italia da cima a fondo, ho toccato località prima conosciute solo sulla carta geografica, ho incontrato gente di tutte le età, professioni, cultura… con tutti ho cercato di portare il mio contributo nelle vesti di un «pellegrino», spogliandomi dei miei credo e delle mie certezze, abbeverandomi alle loro fonti. Ho percorso l'Italia in nome di Alex Langer e di Mauro Rostagno, nel cui ricordo ho avvicinato tante persone, ho sostato in silenzio commosso sulle loro tombe così diverse e lontane, ma così vicine per sentimento e difficoltà di essere raggiunte. Nel silenzio di quei luoghi ho ripercorso le loro storie, vissuto il loro drammatico epilogo, capito la fatica di chi è vissuto in «trincea» e ha sentito il peso opprimerlo a tal punto da non poterlo più sopportare.
«Continuate in ciò che era [è] giusto», scrisse Alex coscientemente disperato. Continuiamo, perché non abbiamo altra strada da percorrere, pena l'ingannevole rassegnazione. Non è facile e niente è regalato. Ogni passo in avanti è una piccola conquista, ma se ogni piccola conquista dà fiducia e speranza e aiuta a crescere, ogni piccola conquista va difesa, perché può essere tolta. Lottare contro le ingiustizie, i soprusi, l'ignoranza, il razzismo, vecchio e nuovo fascismo… perché a ognuno sia data la dignità di vivere, perché a prevalere sia il "diritto umano" di essere nati sulla stessa terra.
Io che non so pregare, ho capito nel silenzio e nella solitudine del viaggio (che la fatica del ritorno alla vita di sempre ha reso ancora più bello) che la preghiera è l'impronta che uno lascia nel cammino della vita, nel rispetto degli altri, nell'incontro quotidiano con le difficoltà, nello sguardo di un altro; perché quello che resta, se resta, è quello che sei stato.
Venerdì 3 luglio 2015, cimitero di Telves, 20° anniversario.
Intraprendo un altro viaggio verso Srebrenica, in bicicletta. «Viaggiatore leggero» di una storia crudele e terribile. Tragedia inimmaginabile e cialtrona, che a distanza di vent'anni (11 luglio) ha ferite aperte che ancora sanguinano. La mattanza di Srebrenica del luglio 1995 (8.000 bosniaci massacrati) - uno dei frutti della la folle pretesa serba di superiorità etnica - ha prodotto l'assedio di Sarajevo, durato trentanove mesi, e un orrore inimmaginabile: oltre 250 mila morti, decine di migliaia di profughi, eccidi spaventosi. E tutti a domandarci, ancor oggi: ma come è potuto succedere? La stessa domanda che tantissimi iugoslavi increduli si facevano prima dell'ecatombe: cosa mai potrebbe succedere?
LA VITA DI ALEXANDER (PER GLI AMICI ALEX) LANGER
Alexander Langer nacque il 22 febbraio 1946 a Vipiteno, figlio di un ebreo non praticante di origine viennese e di un'italiana. Allora le differenze etniche erano causa di attentati autonomisti: così i genitori, per tutelare il suo futuro, lo iscrissero a un asilo italiano, affinché imparasse bene la nostra lingua. In lui confluivano dunque radici italiane, tedesche ed ebraiche. Per spiegare le sensazioni provate scrisse: «È sempre complicato spiegare da dove vengo. "Ma allora sei italiano o tedesco?". Nessuna delle bandiere che svettano davanti a ostelli o campeggi è la mia. Non ne sento la mancanza. In compenso riesco, con il tedesco e l'italiano, a parlare e a capire nell'arco che va dalla Danimarca alla Sicilia». Frequentò il liceo dei francescani a Bolzano e qui fondò il suo primo periodico bilingue, intitolato Offenes Wort/Parola aperta, sul quale pubblicò un'intervista al locale segretario del Partito Comunista Italiano, nonostante l'impronta religiosa della scuola. Dal 1964 al 1967 studiò giurisprudenza a Firenze: qui conobbe Valeria, che sposò nel 1985. Divenne amico del sindaco Giorgio La Pira, che era suo professore, e di padre Ernesto Balducci. Conobbe don Lorenzo Milani e la sua scuola di Barbiana: nel 1970 tradusse in tedesco il celebre Lettera a una professoressa. Imparò diverse lingue e vari dialetti e sviluppò la sua naturale predisposizione al dialogo e all'incontro con gli altri. Gli anni dell'università segnarono il suo avvicinamento agli ideali religiosi: militò per breve tempo nella Federazione Unitaria Cattolica Italiana, attratto dalla vasta eco che ancora aveva il Concilio Vaticano II, ma se ne allontanò man mano che conobbe gli elementi del dissenso cattolico fiorentino. Egli concepiva una Chiesa capace di adempiere alla funzione di servizio all'umanità e secondo quest'ottica avrebbe voluto operare per una democratizzazione delle sue strutture.
Svolse supplenze in licei classici di lingua tedesca a Bolzano e Merano; in seguito una borsa di studio di un anno a Bonn gli diede la possibilità di far conoscere in diversi paesi dell'Europa centrale il fermento che contraddistingueva la lotta politica italiana in quegli anni. In un appunto scrisse: «Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni e sono contento di poter contribuire a far circolare idee e persone». Verso la fine degli anni Sessanta si dedicò totalmente al suo Südtirol-Alto Adige, impegnandosi per far comprendere ai suoi conterranei che l'unica alternativa al conflitto degli attentati poteva provenire sperimentando la convivenza tra diverse etnie, nel rispetto reciproco. Nel 1967 diede vita a Bolzano al gruppo Die Brücke/Il ponte, frequentato tra gli altri dall'assessore provinciale alla Sanità Lidia Menapace. Scrisse un articolo che propugnava l'eliminazione dell'esercito italiano, cosa che gli costò una denuncia per vilipendio alle istituzioni costituzionali e alle Forze armate: portato a processo, fu assolto per insufficienza di prove nel 1972, poco prima di iniziare il servizio militare nel corpo degli artiglieri di montagna di stanza a Saluzzo.
Dal 1973 al 1975 Langer visse in Germania come membro della Commissione immigrazione: in questi due anni creò legami con studiosi, sindacalisti e militanti della sinistra. Organizzò anche uno dei primi incontri fra rappresentanti della sinistra israeliana e componenti del Fronte per la liberazione della Palestina. Si trasferì poi a Roma, dove si occupò del giornale Lotta Continua, che nel frattempo era diventato quotidiano. Per le diverse denunce che il giornale riceveva il ruolo di direttore era svolto a rotazione fra i redattori; Langer lo assunse durante il 1975. Si emancipò dal punto di vista economico da Lotta Continua insegnando storia e filosofia in un liceo della periferia romana.
Nel 1977 aderì ai referendum radicali, che nella sua visione potevano rappresentare il modo per concludere in maniera non traumatica l'esperienza di Lc, nella quale egli si poneva come elemento di congiunzione fra l'ala estremista, che faceva «l'occhiolino» alla lotta armata, e l'ala moderata, che avrebbe voluto trasformare il movimento in partito, rientrando nella logica parlamentare.
Alle elezioni amministrative del 1978 il Partito Radicale appoggiò Langer, che faceva parte della lista Neue Linke/Nuova sinistra. Fu consigliere provinciale a Bolzano dal 1978 al 1981. In quell'anno l'allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, pensò di risolvere l'annosa questione altoatesina con una dichiarazione di appartenenza etnica da riportare all'anagrafe. Langer rifiutò questa imposizione: ciò gli costò l'esclusione dall'insegnamento, prima che una sentenza del Consiglio di Stato gli desse ragione. Nel 1983 fu eletto in Regione con la Lista alternativa per l'altro Sudtirolo, da lui fondata.
Tra il 1984 e il 1985 Langer divenne un punto di riferimento per il nascente partito Verde, a cui portava l'esperienza dei corrispondenti Grünen tedeschi, che ben conosceva. Provò, senza successo, a fondere insieme i Verdi e il Partito Radicale. Cercò anche di ricomporre, senza riuscirci, lo strappo fra i Verdi sole che ride e i Verdi arcobaleno. Solve et coagula era lo slogan (che gli sarà sempre rimproverato) in cui invitava a sciogliere le Liste Verdi.
Nel 1989 fu eletto al Parlamento europeo nelle liste Verdi. Nel 1991 prese parte come osservatore internazionale alle prime elezioni libere in Albania e fece passare a Strasburgo una risoluzione contro la brevettabilità delle manipolazioni genetiche di materia vivente. Nel 1992 partecipò all'organizzazione della Conferenza mondiale sull'ambiente di Rio de Janeiro e alla parallela conferenza Global Forum. In tale occasione propose una riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo.
«Abbiamo creato falsa ricchezza per combattere false povertà. Di tale falsa ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, surriscaldamento eccetera. Falso benessere come liberazione da supposta indigenza è la nostra malattia del secolo, nella parte industrializzata e "sviluppata" del pianeta. Ci si è liberati da tanto lavoro manuale, avversità naturali, malattie, fatiche, debolezze […] in cambio abbiamo radiazioni nucleari, montagne di rifiuti, consunzione della fantasia e dei desideri. La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? Come suscitare impulsi e motivazioni che rendano possibile la svolta?».
Aveva immaginato il suo personale e universale motto olimpico:
«Sinora si è agito all'insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l'agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì l'ossessiva norma quotidiana. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall'essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso».
Nel 1994 fu rieletto al Parlamento europeo e divenne presidente del gruppo Verde; inoltre fu membro della Commissione politica estera. Partecipò a seminari e incontri; fu membro del Movimento Nonviolento, finanziatore della Casa per la nonviolenza di Verona e obiettore delle spese militari.
Già dalle prime avvisaglie di guerra in Iugoslavia si interessò della questione dei Balcani. Si oppose alle precipitose dichiarazioni di indipendenza, che avrebbero poi fomentato gli odî etnici e la guerra. Cercò invece di far entrare la Bosnia-Erzegovina nell'Unione europea per preservarla dalla guerra, cercando di sostenere i profughi e gli obiettori di coscienza. Presentò una risoluzione per la creazione di un Corpo civile europeo di pace formato da professionisti non armati, sotto l'egida dell'Onu. Parallelamente alle iniziative istituzionali ne seguì molte altre a livello movimentista, nelle quali si prodigò per sostenere le iniziative di pace, spesso finanziandole con il suo stipendio di parlamentare. Compì diversi viaggi in Iugoslavia e si interessò soprattutto della situazione di Tuzla, città bosniaca dove si era mantenuta una cordialità fra le diverse etnie - un qualcosa che nel suo Sudtirolo non si era potuto realizzare. Ma l'attentato del 25 maggio 1995, nel quale persero la vita 71 ragazzi fra i diciotto e i vent'anni, incrinò la sua speranza.
Alex aveva dedicato grandi energie, insieme a molti altri, per cercare d'interrompere la violenza che aveva visto crescere giorno dopo giorno nella ex Iugoslavia. Lo fece attraverso la mobilitazione civica e delle istituzioni nazionali e internazionali, la messa in campo di nuovi strumenti di azione, all'altezza di quella drammatica crisi di convivenza che lo coinvolgeva nei frequenti viaggi e nei racconti di donne e uomini con cui stava interagendo e stringendo amicizia nel Verona Forum per la pace e conciliazione nelle regioni della ex Iugoslavia. Nella sessione del 24 settembre 1993, il Verona Forum approvò una risoluzione che chiedeva di «appoggiare il massimo impiego di tutti i mezzi civili (monitoraggio, mediazione, pressioni politico-diplomatiche, uso dell'embargo ecc.), ma anche una credibile minaccia ed eventuale uso della forza militare internazionale». Una richiesta via via rafforzata nelle successive sessioni e da lui esposta in numerose interviste, scritti e risoluzioni presentate e quasi sempre accolte dal Parlamento europeo, dove aveva conquistato indiscussa autorevolezza. Fino alla lettera che gli aveva fatto pervenire, nel maggio 1995, il sindaco di Tuzla, Selim Beslagic, dopo quel massacro di 71 giovani in festa nella sua città assediata:
«Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando, se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici».
Sono da tempo noti e accessibili gli scritti nei quali Alex racconta le ragioni e le modalità del suo impegno «dentro» la guerra. L'appello presentato con altri parlamentari al vertice di Cannes dei capi di Stato e di governo del 26 giugno 1995 non può essere quindi considerato una disperata svolta improvvisa (forse preannuncio di resa personale?), ma una profetica denuncia di cosa si stava preparando a Srebrenica e che solo un decisivo intervento militare poteva - forse - evitare:
«Se infatti non arriva qualche segnale chiaro che l'aggressione non paga e che a nessuno può essere lecito patire con le proprie conquiste territoriali e conseguenti omogeneizzazioni etniche, allora ogni sforzo civile si sgretola o si logora».
La freddezza nei suoi confronti di una gran parte del movimento pacifista italiano risale ai tempi della sua giovinezza, quindi molto prima del 1995. Il Verona Forum, d'altronde, poneva da tempo il punto di vista delle vittime disarmate, che vedevano le forze di dialogo indebolirsi sempre più e crescere invece i poteri dei contrapposti nazionalismi, che chiedevano a protettori interessati di ottenere soprattutto armi, come era d'uso nei decenni della Guerra fredda. Di questo Alex si era occupato attivamente fin dal maggio del 1990 in una relazione «sugli sviluppi dei rapporti Est-Ovest in Europa e sul loro impatto sulla sicurezza europea» che aveva scritto per conto della Sottocommissione sicurezza e disarmo, approvata infine dal Parlamento europeo il 27 maggio 1993.
«Di fronte agli ultimi eventi in Bosnia, non è più possibile tentennare: bisogna che l'Onu invii un cospicuo contingente supplementare (chiedendo, se del caso, l'aiuto della Nato e della Ueo) e assegni un nuovo e chiaro mandato ai caschi blu. Quello di ristabilire - con l'uso dei mezzi necessari - quel minimo di rispetto dell'ordine internazionale che consenta di cercare una soluzione politica al dramma della distruzione della convivenza e della democrazia».
Questa sua dichiarazione suscitò veementi discussioni, creò lacerazioni tra i Verdi e Pacifisti e tra gli ex compagni di Lc.
Erri De Luca reagirà così dopo il suicidio di Langer:
«Mi resta la convinzione che si sia disperato per la decisione di rinnegare la scelta pacifica. Quello era il suo traguardo di umanità raggiunta, di antica radice di ragione presente in lui fin da ragazzo e sospesa negli anni rivoluzionari. L'aveva ritrovata, rianimata ed era arrivato a rappresentarla. Invece la tradiva, scegliendo di aderire al partito dell'intervento militare».
LA MORTE: «NON CE LA FACCIO PIÙ»
«I pesi mi sono diventati davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. "Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati". Anche nell'accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».
«Perdonatemi tutti e vogliate bene a Valeria».
«Valeria, amata più di quanto tu non voglia credere, non ce la faccio più. Perdonami e cerca una nuova spinta di vita. Ti abbraccio proprio forte».
Si tolse la vita al Pian dei Giullari presso Firenze - impiccandosi ad un albero di albicocco - il 3 luglio 1995, all'età di quarantanove anni, in vicinanza dell'anniversario della morte del padre e a dieci anni da quella della madre. Il suo suicidio resta un mistero insondabile, da rispettare e da ricordare come una terribile perdita d'amore… era troppo stanco, non ce la faceva più, aveva lasciato detto. Probabilmente le ragioni del suo gesto restano legate all'insopportabile tragedia bosniaca, ma sono da ricercare anche nelle parole che lui stesso aveva usato per scrivere il necrologio della sua amica attivista verde Petra Kelly, anche lei morta suicida*:
«Forse è troppo arduo essere portatori di speranze collettive: troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l'umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere».
Langer riposa nel piccolo cimitero di Telves (Vipiteno), nella stessa tomba del padre e della madre, luogo da dove si spalanca una vista incantevole, crocevia delle valli Ridanna e Vizze e dei passi dolomitici del Pennes e del Rombo.
Nella sua commemorazione Adriano Sofri disse:
«Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi, non esiterei a mostrar loro com'è stata bella, com'è stata invidiabilmente ricca di viaggi, di incontri, di conoscenze, di imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e perdano la speranza».
…e Michele Serra:
«Sarebbe bello se i tanti nuovi politici improvvisati e boriosi, certi di conoscere il mondo perché conoscono i bilanci aziendali, chinassero la testa davanti a un coraggioso, pulito, vero uomo politico. E che, abituati a considerarsi invidiati solo perché sono ricchi e potenti, provassero a loro volta una salvifica invidia per questo povero grande ragazzo appeso a un ramo di albicocco, che ha saputo pensare alla vita e alla politica come a una prova di infinita generosità nei confronti degli uomini».
SCAMPOLI DI MEMORIA
Così lo ricordavo alla fine di un mio viaggio in bicicletta attraverso l'Italia («piccolo grande viaggio» da Trento a Trapani - e ritorno a Telves), nel 10° anniversario della morte:
«Caro Alex, mai ho faticato tanto per venirti a trovare… Adesso devo ritornare dove mi aspetta la vita di sempre. Quella che ho "lasciato" per ventun giorni è un'altra vita, affascinante, avventurosa, ma un'altra. Quella che ritrovo, che mi aspetta da vivere, me la devo guadagnare giorno dopo giorno con impegno e coerenza. Rinunciare significherebbe scappare dalla realtà e rinunciare alle difficoltà, alle contraddizioni del nostro stentato procedere che nuocerebbero alla stessa maturazione. È solo nel continuo frequentarsi che ci si conosce. Nel confronto ci si anima e allora si cambia. Questa vita che hai lasciato, nella più profonda disperazione, non è facile da accettare perché ingiusta, quando non è cinica, quando non è disumana, quando non è egoista… ma è l'unica che conosco. Quella che da sempre ha segnato nel bene e nel male gli uomini e le donne che quotidianamente hanno lottato per renderla più umana, più giusta, più libera, più vivibile».
Allo stesso modo, ecco le parole che utilizzai in occasione di un convegno ad Amelia, nel 2010:
«Alex ci lascia una tremenda eredità sulle macerie di una guerra che non è mai finita: un tremendo fardello di esperienza e di conoscenza, un immenso territorio da salvare, la terra. Continuare dunque non è solo auspicabile ma necessario, perché è la vita sulla terra a essere minacciata. E invece, spesso, rimpiangiamo il passato, ci fermiamo a contemplarlo per quei brividi di protagonismo individuale che ci hanno divisi, fatti a pezzi, resi capaci di tradimenti da rendite politiche, da privilegi personali, da posizioni di potere… Ripartire da Alex per essere uomini, continuare in ciò che è necessario fare, in ciò che è giusto fare, nell'eredità e nell'esempio di una vita che si è spesa anche per noi. Nel canto corale che ha accompagnato (ad Amelia) l'inaugurazione della via a Alex Langer e lo scoprimento di un'opera artistica, le parole poetiche che fanno riflettere - e sono il miglior viatico per ripartire da quello che Alex Langer ci ha lasciato - sono di Pier Paolo Pasolini: "Io, io mi guardo intorno e piango, i paesi poveri, le nuvole e il frumento, la casa scura, il fumo, le biciclette, gli aerei che passano come tuoni e i bambini che guardano, la maniera di ridere, che viene dal cuore. Gli occhi che si guardano intorno e ardono di curiosità, senza vergogna, di rispetto, senza paura. Io piango un mondo morto, ma non sono morto, io che lo piango. Se vogliamo andare avanti bisogna che piangiamo il tempo che non può più tornare, che diciamo di no a questa realtà che ci ha chiuso nella sua prigione"».
Bibliografia e ulteriori notizie sulla vita di Alex Langer si possono trovare sul sito della Fondazione Alexander Langer di Bolzano: www.alexanderlanger.org.
* In realtà, come si scoprirà in seguito ad indagini di polizia, ad uccidere Petra Kelly - il 1° ottobre 1992 - fu il suo compagno, Gert Bastian, che si sarebbe poi tolto a sua volta la vita sparandosi (n.d.r.).
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