È un momento terribile per gli amanti del ciclismo ma anche per chi usa la bicicletta per divertimento, per lavoro o semplicemente perché è il mezzo più pulito ed economico per spostarsi.
La morte di Timothy Porcelli di Bersone, di soli 17 anni, è un'ennesima tragedia che si perpetua giorno per giorno nelle strade di tutt'Italia e che ammutolisce e mi rende difficile qualsiasi parola partecipativa all'immenso dolore della famiglia. Quando inesorabilmente capita, non c'è giustificazione che tenga, non c'è rimedio o soluzione al dolore penetrante, alla disperazione che non trova risposta, c'è tribolazione permanente in un viatico continuo di domande che riecheggiano che tolgono respiro, forze, anni di vita… come se un maledetto e beffardo destino avesse già dettato l'agenda del vivere quotidiano di Timothy in quella maledetta curva con data di scadenza, rendendo muto e cieco qualsiasi disperato soccorso.
L'Italia è maglia nera europea del ciclismo come mezzo di trasporto e la silenziosa bicicletta, nelle città piene di fracassose auto, non è sufficientemente protetta per essere alternativa anche per il rischio sempre presente di incidenti. In Italia - fonte Istat - sono 5 milioni i ciclisti. Muore un ciclista al giorno (e quaranta finiscono in ospedale); nell'anno 2009 in 15.713 incidenti sono morti 352 ciclisti (+ 11% rispetto al 2007) e 14.535 sono rimasti feriti (+ 16,5%).
Sono quasi mille i morti negli ultimi tre anni
Una strage senza fine che però non impressiona più di tanto né la politica né l'opinione pubblica, a tal punto che - piste ciclabili o no - il numero di auto e di irresponsabilità pro capite continua ad aumentare, nonostante sia già uno dei più alti del mondo: più di 600 veicoli ogni 1.000 abitanti. Un autoinscatolamento delinquenziale e imbecille, privo di senso, con spreco di tempo e di danaro oltre che con danni incalcolabili alla salute propria e dell'ambiente.
Un triste paesaggio di lamiere viaggianti che non migliora di molto neanche con l'aumento delle piste ciclabili che coprono 3.227 km (380 in più del 2010). Se negli ultimi dieci anni i chilometri di piste ciclabili si sono triplicati, la percentuale di spostamenti urbani in bicicletta è rimasta la stessa anche se cresce nelle grandi città del Nord - Ferrara, Milano, Bolzano - e Roma (+ 3,8% contro il 27% dell'Olanda, il 18% in Danimarca, il 12% in Svezia). Nonostante questo miglioramento la ciclopedonabilità è una triste realtà Italiana specie al Sud, a riprova di quanto poco gli amministratori locali fanno nelle città per la salvaguardia dell'incolumità della persona e dell'ambiente: le strisce d'asfalto "protette" inscatolano l'ignaro ciclista, ma molte volte non vanno da nessuna parte. Mancano i collegamenti, manca una regia di trasporto alternativo, manca una visione d'insieme delle potenzialità ambientali, sociali ed economiche che l'utilizzo della bicicletta potrebbe dare sia sulla salute dell'individuo che della società, mancano percorsi protetti per i ciclisti più giovani.
In Italia si pedala in salita; ma non come il grande Marco Pantani che della salita era il Re: solo otto città hanno piste ciclabili più lunghe di cento km, mentre nelle città con più bici a disposizione il rapporto bici pubbliche/abitanti è di 1 a 1.000 (a Parigi è di 1 a 100).
Ci si ostina alle alte velocità come formula magica del trasporto (Tav), ma come rimedio all'assurda strage la realizzazione di piste ciclabili non basta più: ci vogliono circuiti protetti per permettere (almeno) ai più giovani di allenarsi senza rischi. Perché così dovrebbe essere, come ci sono i campi di calcio, le piste di atletica, i campi di pallavolo, pallacanestro ecc., perché non il ciclismo? Perché non deve esistere un percorso protetto dove potersi allenare senza correre il rischio di morire? Siamo ossessionati dalla velocità degli spostamenti e non ci si prende il tempo per riflettere sulle macerie che produciamo. E alla fine si contano i morti: un bel risultato… anche se la bici è la "droga" più stupefacente di tutte per chi corre, e chi corre può morire giovane, giovanissimo e anche per niente…
"Non respiro più": così finì la vita di Alessio Galletti - 37 anni - in cima a una salita delle Asturie in un giro di Spagna; e Zanette, che muore dopo una visita dentistica; o Rusconi, fuori da un bar; o Salanson, nel sonno; o Pantani, in una camera d'albergo; o in strada per incidente, come è successo (appena "ieri") a Thomas Gasparotto; o a Claudio Capovilla di Capriana, morto a due passi da casa a soli 48 anni; o nel 2001, quel povero ragazzo di Ville di Giovo che si è schiantato in discesa contro un camion in manovra; o Weylandt al Giro di tre anni fa; o quei sette ciclisti falciati da un pirata in Calabria; e più indietro tanti tanti altri…
Ma a fronte dell'imprevisto, quel pericolo che si nasconde dietro una curva troppo chiusa o un'auto che ti taglia la strada, una buca, un cane randagio ecc., a fronte dell'imprevisto non sempre si ha il cervello per rimediare. Nel pericolo mortale che non avverti ai 60 orari in discesa; o quando t'infili in un cunicolo distante centimetri dalla transenna e millimetri dal tuo rivale in un purificante colpo di reni; o quando nella fatica di una salita senti il polpaccio indurirsi e provi l'eutanasia delle cellule della fatica scivolare via come polvere di clessidra, fino allo scadere del tempo, fin che scendi dalla bicicletta: ci sei dentro, ma non hai tempo di pensare ad altro se non alla fine.
In bicicletta si è liberi di volare, ma anche troppo esposti al rischio, troppo vulnerabili e privi di protezione (benvenuto il casco che però non salva sempre la vita). So cosa vuol dire rinascere dopo che sei "morto", ma provo un brivido a immaginare cosa avrà provato il povero Timothy un momento prima che la bici gli scivolasse via… e con essa la vita… perché la bici è un destino segnato o una sfacciata fortuna, e se il destino incrocia la tua strada, il più delle volte ne esci morto, qualche volta vivo.
Ai genitori, ai famigliari vada il mio sentito e partecipato cordoglio: nel lento salire il "Golgota" della rassegnazione, non posso sostituirmi al vostro dolore, sono qui per aiutarvi a sopportarlo.
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