Caro Andrea ci hai lasciati come un fulmine a ciel sereno.
In questa primavera del nord che non scalda né i cuori né i
cervelli mi confondo nella moltitudine di gente che ti vuole dare l’ultimo
saluto. Sono triste, come tutti intorno a me. Fiori, incenso, folla, profumo di
acqua santa e tante persone che piangono ti dimostrano quanto sei amato.
Rivedo i tanti incontri, le dediche frettolosamente a te rubate
che mi costavano sempre la penna prestata, la sosta nella tua Comunità a Genova
al termine del mio viaggio in bicicletta, le mie domande senza risposta: gli
uomini, le donne, la lotta continua, la terra da salvare, le mie rabbie, la mia
insistenza nel capire… la tua calma appassionata ti faceva tuonare e come per
incanto mi calmavi e tutto cominciava a vivere come in una grande famiglia…”Prossima
è l’ora della mezzanotte del mondo, minata è la specie, minata la stessa
creazione…la terra si fa sempre più orrenda, le speranze non hanno più voce, i
morti doppiamente morti…David, perennemente in guerra con te stesso e con Dio,
ma io vedo la tenebra splendere…”.
Guardo il tuo viso per l’ultima volta, la pelle tirata sopra le ossa,
sacerdote senza chiesa, uomo di altri tempi, maestro di vita, partigiano di “bella
ciao”, prete angelicamente anarchico…
ma dimmi: quale visione hai avuto nel tuo trapasso, chi c’è di là ad aspettarci? Ora tu sei fra quelli che sanno: sei rimasto deluso, oppure no, non esisti più e che ne è del nulla o del Tutto da te tanto poetato deandreianamente? Quale risposta al mondo di noi vivi? Sgomento ricordo la forza della tua parola in contrasto con la paura umana di fronte al dolore, alla malattia, alla morte, al mistero. Dimmi cosa pensi o non pensi mentre l’anima esce e se ne va, poi chi incontri, si: perché qualcuno devi pur incontrare, vedere, altrimenti a cosa sono serviti i tuoi sermoni, le tue prediche infuriate. Colloquiavi con tutti fino a notte fonda, vedevi l’alba del nuovo giorno che ti rassicurava la buona notte e la forza del tuo credere era un contagio per chi ti ascoltava, ti stava vicino. Per te il dilemma è risolto ma ci lasci soli a dibatterci in questo “nulla del niente”, confusi e impreparati, divisi in mille e mille individualismi senza scopo. “Credere e basta, con fermezza dicevi, senza tante storie. Credere nella Costituzione e nell’amore: “tutti gli esseri umani nascono uguali in dignità e diritti”, si legge in una Carta dimenticata, che tenevi sempre stretta nelle mani e agitavi nei tuoi straordinari incontri con la gente nelle piazze di un Paese che si spegne.”, sempre sul ciglio dei due abissi, camminare e non sapere. Quale seduzione se del nulla o del Tutto ci abbatterà? Io entravo sommesso dalla porta del tuo cuore, e capivo e non capivo... Seduto in un angolo, nascosto dalla colonna della Cattedrale penso e “prego” forse per scusarmi dei miei dubbi, della ragione che vuole la sua parte. “Lui era il più grande mi dice un suo amico, sono sconvolto ma sorrido alla vita che Lui mi ha dato”. Una marea di gente piange. Scorre la folla come un fiume silenzioso, il suo fiume, la sua città che amava tanto, il suo vissuto, perennemente in lotta con Dio e gli uomini… Lungo i suoi fiumi…
ma dimmi: quale visione hai avuto nel tuo trapasso, chi c’è di là ad aspettarci? Ora tu sei fra quelli che sanno: sei rimasto deluso, oppure no, non esisti più e che ne è del nulla o del Tutto da te tanto poetato deandreianamente? Quale risposta al mondo di noi vivi? Sgomento ricordo la forza della tua parola in contrasto con la paura umana di fronte al dolore, alla malattia, alla morte, al mistero. Dimmi cosa pensi o non pensi mentre l’anima esce e se ne va, poi chi incontri, si: perché qualcuno devi pur incontrare, vedere, altrimenti a cosa sono serviti i tuoi sermoni, le tue prediche infuriate. Colloquiavi con tutti fino a notte fonda, vedevi l’alba del nuovo giorno che ti rassicurava la buona notte e la forza del tuo credere era un contagio per chi ti ascoltava, ti stava vicino. Per te il dilemma è risolto ma ci lasci soli a dibatterci in questo “nulla del niente”, confusi e impreparati, divisi in mille e mille individualismi senza scopo. “Credere e basta, con fermezza dicevi, senza tante storie. Credere nella Costituzione e nell’amore: “tutti gli esseri umani nascono uguali in dignità e diritti”, si legge in una Carta dimenticata, che tenevi sempre stretta nelle mani e agitavi nei tuoi straordinari incontri con la gente nelle piazze di un Paese che si spegne.”, sempre sul ciglio dei due abissi, camminare e non sapere. Quale seduzione se del nulla o del Tutto ci abbatterà? Io entravo sommesso dalla porta del tuo cuore, e capivo e non capivo... Seduto in un angolo, nascosto dalla colonna della Cattedrale penso e “prego” forse per scusarmi dei miei dubbi, della ragione che vuole la sua parte. “Lui era il più grande mi dice un suo amico, sono sconvolto ma sorrido alla vita che Lui mi ha dato”. Una marea di gente piange. Scorre la folla come un fiume silenzioso, il suo fiume, la sua città che amava tanto, il suo vissuto, perennemente in lotta con Dio e gli uomini… Lungo i suoi fiumi…
Tremava la sala di Vezzano l’ultima volta che ti ho ascoltato con
De Andrè nel canto poetico della tua Banda di giovani - il tuo gruppo musicale
di accompagnamento – E TUTTI NOI A CANTARE, A AIUTARCI A CREDERE E COME
SEMPRE PARLAVI DELLA SPERANZA E
DELLA FELICITA’ e noi ad ascoltarti e ad applaudirti e dopo saremo là, a
cercarti, per dirti grazie e cantare “Bella Ciao”. Cantare, solamente cantare!
Cantare suoni che non siano parole, che ci dividono.
“Quand’anche io avessi tutti i tesori della terra e parlassi le
lingue degli uomini e degli angeli, se non ho l’amore non sono nulla.. a San
Benedetto al Porto le favole non hanno confini e la lingua della dignità che
hai disseminato tra gli uomini, senza nulla chiedere in cambio, non è una
lingua di classe o di casta... è la lingua di tutti e per tutti. S’impara a
vivere quando s’impara ad amare. I bambini con i piedi scalzi nel sole e la
pioggia sulla faccia lasciano cadere la polvere d’oro dei sogni sul dialogo tra
i “quasi adatti” e su altalene di stelle giocano laggiù dove finisce il sogno e
comincia il desiderio di amare e di essere amati. Il pane dei sognatori non si
taglia, si spezza.” (p.b.)
Antonio Marchi
Trento, 23 maggio 2013
Trento, 23 maggio 2013
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