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sabato 16 marzo 2013

HABEMUS PAPAM: SÌ, PERÒ…, di Pier Francesco Zarcone

La prudenza non è mai troppa, quando le cose non sono chiare


La saggezza dei nostri vecchi ammoniva a non considerare oro tutto quel che riluce, e questo vale anche per la scelta dell’attuale capo della Chiesa cattolica, considerata sia nelle sue eventuali finalità strategiche sia riguardo alla persona chiamata a sostituire Ratzinger. A prescindere dal fatto che le masse cattoliche avrebbero osannato chiunque fosse stato eletto al pontificato, si deve riconoscere che formalmente l’Arcivescovo di Buenos Aires si presenta bene e certo meglio di tanti suoi colleghi italiani:
stile di vita più che spartano, consolidata fama di “Vescovo dei poveri”, modi semplici e accattivanti, affabilità, spiragli di apertura alla mai realizzata collegialità episcopale, suggestione indotta dal nome da lui assunto, provenienza geografica dal Sud del mondo ecc. ecc.

Quest’ultima caratteristica può sembrare la più frivola, quanto meno per il modo in cui la presentano e la condiscono i mass-media nostrani. In questo senso ha ragione Luis Spúlveda che in un commento a caldo comparso nella rete web ha ironizzato sull’entusiasmo immotivato per il fatto di essere di lingua castigliana il nuovo Papa, come se ciò bastasse a far sì che il dimenticato messaggio di giustizia del Nazareno si imponga su tutte le bocche della terra. Tuttavia, come diremo meglio appresso, la provenienza del nuovo Papa rivela una valenza maggiore e diversa da quella su cui tanti giornalisti e tuttologi si stanno “parlando addosso”.

Una scelta che probabilmente è una non-svolta

I mass-media nostrani presentano la scelta in favore del cardinale Bergoglio come una svolta rispetto al pontificato del suo predecessore. Anche qui non possiamo essere d’accordo, perlomeno alla luce della posizione fino ad ora assunta dal personaggio all’interno della Chiesa cattolica. Bergoglio infatti gode di una solida, provata e consolidata fama di conservatorismo (e in certi casi anche di machismo) e di ostilità verso le innovazioni ecclesiastiche, quand’anche necessarie. Atteggiamento portato avanti con zelo notevole, tanto che riguardo alla sua incrollabile opposizione alle nozze gay l’attuale presidentessa dell’Argentina, Cristina Kirchner, ebbe modo di accusarlo di furori inquisitoriali. Tuttavia, poiché la polemica politica spesso e volentieri testimonia solo se stessa, è certo che la valutazione su questo Papa deve incentrarsi soprattutto sul suo comportamento attuale e futuro.
Dicevamo della sua origine latinoamericana: essa va considerata ben al di là delle citate frivolezze mondane. Innanzi tutto l’esistenza per la terza volta consecutiva di un papa non italiano riflette l’avvenuto cambiamento nell’assetto geografico (e strategico) della Chiesa cattolica: cioè a dire, la secolarizzata Europa ha perso importanza e una sua nuova evangelizzazione richiederebbe una Chiesa ben diversa dall’attuale. Oggi il vero “bacino di utenza” del Vaticano è l’Africa - dove il Cattolicesimo ha una certa espansione, ma è tampinato da un Islam, non necessariamente jihadista, del pari in crescita - e l’America latina, dove è di gran lunga maggioritario, seppure insidiato da presso dalle sette protestanti di origine statunitense. Sotto questo profilo aver scelto Bergoglio è un chiaro segnale e, immutata restando la situazione, in teoria ad essa potrebbe seguire (ovviamente non in tempi brevi) anche l’elezione di un papa di origine africana.
L’esito del recente Conclave indica che il rafforzamento del Cattolicesimo in America latina è per le alte gerarchie un progetto geostrategico al cui vertice Bergoglio dovrà svolgere il ruolo di punta. Non è detto, però, che tale progetto non contenga qualcosa di più, qualcosa di meno spirituale, con maggiore spessore temporale e comunque funzionale al risultato ultimo. Riflettiamo sul fatto che nell’attuale fase storica in vari paesi latinoamericani si sono realizzate significative svolte sul piano politico, a seguito delle quali – vale a dire mediante l’avvento di governi più progressisti in zone nevralgiche – le terre americane di lingua castigliana e portoghese sono di gran lunga meno “cortile di casa” degli Stati Uniti rispetto a poco tempo fa. Che questi governi non piacciano alla gran parte delle gerarchie ecclesiastiche è notorio; e in Argentina i palesi cattivi rapporti fra la Presidenza e Bergoglio ne forniscono una conferma specifica.
Bergoglio, a un certo punto della sua attività, si è notoriamente posto come paladino dei poveri. Esiste tuttavia una grande differenza fra la sua prassi e quella dei militanti della Teologia della Liberazione contro cui Wojtyla e Ratzinger si sono accaniti con successo: il pauperismo di Bergoglio è rivolto a poveri che tali restano, a prescindere delle contingenti azioni di carità svolte nei loro confronti; ed è meglio che tali restino, perché una diversa azione “pastorale” – volta a far prendere coscienza dell’essere titolari di diritti sociali e politici – potrebbe far sorgere velleità di riscatto non conformi a un “ordine costituito” che le gerarchie della Chiesa cattolica non hanno mai davvero messo in discussione (non a caso si dice che essa a parole è con i poveri, ma nei fatti è con i ricchi e con chi abbia il potere). Sepúlveda nel citato intervento ha “malignamente” notato che Bergoglio (da lui definito, fra l’ironico e lo spregiativo, “Pancho I”) si convertì in paladino dei poveri solo dopo che il presidente Kirchner abrogò le norme sulla “obbedienza dovuta” che avevano assicurato l’impunità ai criminali della dittatura.
Non è quindi azzardato pensare che con Bergoglio si esprima un subprogetto (certo meno ampio di quello che perseguì Wojtyla) finalizzato a ostacolare e contrastare i governi progressisti di cui sopra, mobilitando contro di essi masse cattoliche per una “normalizzazione” dell’area. Con questo Pontefice i governi di Cuba, Bolivia, Ecuador, Venezuela, Argentina, Brasile e Nicaragua si dovranno confrontare, e non è detto che ciò accadrà nelle condizioni per essi migliori. Si palesa cioè una continuità assoluta fra questo pontificato e i due precedenti, da Sepùlveda sintetizzata con la frase «il consiglio generale degli azionisti del Vaticano & C. ha lasciato tutto com’era».
Al riguardo potrebbe dire qualcosa il contrasto evidente fra le congratulazioni di circostanza (un po’ freddine e ipocrite) di Cristina Kirchner e la calorosità con cui Obama ha salutato l’elezione del nuovo Papa.
La posizione conservatrice di Bergoglio effettivamente porta a ritenere che nulla muterà in settori delicati della vita contemporanea e in cui le gerarchie cattoliche in certi paesi continuano a esercitare un’invadente influenza condizionatrice e paralizzante. E con questo arriviamo alla massa di problemi irrisolti che gravano sul Cattolicesimo. 

La Chiesa cattolica è potente, ma non sta molto bene in salute e i mali sono tanti
Vista da un non cattolico l’apparenza della Chiesa di Roma non rivela tanto un grande organismo spirituale quanto e soprattutto una potenza economica e politica ancora dominante su masse certo non caratterizzate per l’esercizio autonomo del pensiero, sia pure all’interno di una dimensione religiosa. L’appoggio di conformisti e persone in buona fede ne fa in certi paesi una controparte non eludibile. Tuttavia sotto vari aspetti questa Chiesa presenta notevoli sacche critiche.
Quanto ci accingiamo a dire non ha nulla a che vedere con una cosiddetta modernizzazione del Cattolicesimo, non discostandoci – personalmente – dalla lectio del grande studioso e pensatore francese Henry Corbin circa le conseguenze negative del conformarsi della spiritualità di una religione ai processi di storicizzazione che si sviluppano in ambito temporale. Nel caso del Cattolicesimo ci troviamo innanzi tutto di fronte alla maggiore Chiesa, della galassia cosiddetta cristiana, che dopo aver perso tutte le sue accanite battaglie contro lo sviluppo socio-politico e scientifico-culturale dell’Occidente, continua nella pretesa di imporre i propri categorici punti di vista in ambiti che nulla hanno di spirituale ma incidono sulla vita delle persone.
Le aperture fatte presagire dal Concilio Vaticano II sono rimaste un ricordo irrealizzato del passato. Di modo che lo iato netto e profondo costituitosi fra gerarchia ecclesiastica e buona parte degli stessi fedeli cattolici in materia di etica sessuale, di bioetica e di morte assistita (con notevoli ricadute negative al di fuori del mondo cattolico), si affianca alla più assoluta cecità pastorale di fronte alla ricostituzione di nuclei famigliari da parte di divorziati, all’aspirazione femminile per l’accesso al sacerdozio, alle conseguenze esistenziali (e spesso obbligatoriamente peccaminose) del celibato obbligatorio per i preti. Si ha quindi un distacco etico e culturale sulla cui esizialità è superfluo spendere parole.
Se a questo aggiungiamo l’estrema mondanizzazione delle gerarchie e di parte del clero, una Curia che Gesù avrebbe preso a frustate, gli scandali per le ricorrenti pratiche pedofile e per i maldestri (e costosi) tentativi di copertura dall’alto, gli intrallazzi della finanza vaticana e dei comparti sanitari nelle mani del clero, non c’è da stupirsi se in Occidente la combinazione con l’effetto-secolarizzazione si risolva nel notorio crollo verticale delle “vocazioni” sacerdotali.   
Per quanto il quadro d’insieme dianzi sintetizzato possa farlo apparire secondario, esiste anche il problema del cosiddetto ecumenismo, cioè del dialogo-confronto col mondo non cattolico e non cristiano. Dialogo in fase di stallo (impregiudicato restando se sia mai decollato veramente) almeno dai tempi di Wojtyla. Al riguardo solo alcune considerazioni. Mettendo da parte le obiettive difficoltà poste dall’Islamismo, non vi è dubbio che fino quando la Chiesa di Roma non rinuncerà alle sue pretese egemonizzanti – che si esprimono nell’impossibile obiettivo del “rientro” dei non-cattolici nella Chiesa cattolica – e non punterà invece a realizzare un’intesa spirituale con le proprie controparti (e questo vale anche verso i non-cristiani) tutto si risolverà in un vuoto teatrino d’ombre. Ma effettuare la necessaria svolta implica un coraggio teologico non espresso da nessun papa contemporaneo, con la potenziale eccezione (forse) di Giovanni Paolo I.
Il problema che si pone a questo punto, grosso come un enorme macigno, è se Bergoglio abbia la preparazione e soprattutto la disposizione mentale per accingersi alla soluzione di tutti i problemi in campo e alla necessaria opera di pulizia che in certi settori è del tutto indispensabile. Non rassicurano né il radicato conservatorismo del nuovo Papa, né il fatto di avere 76 anni e disporre di un solo polmone. Comunque per un primo segnale si dovrà aspettare di conoscere quali saranno i suoi collaboratori di Curia. Ma non c’è molto da sperare. La Storia non conosce soverchi episodi di autoriforma di un grande organismo di potere, né va escluso – in caso di eventuale miracolosa svolta di Bergoglio – l’incombere su di lui del fantasma di Giovanni Paolo I, di cui potrebbe fare la stessa fine.

Le pesanti ombre morali nel passato di Bergoglio

L’incidenza del passato di una persona, per quanto possa essere o relativizzata o del tutto superata dai fatti attuali e futuri, sussiste sempre e pesa. E nel passato di Jorge Mario Bergoglio le ombre non mancano. Luis Sepúlveda nel citato intervento ha subito riproposto l’accusa a Bergoglio (mai occultata in Argentina) non solo di non aver mai condannato quella macelleria sudamericana che fu la dittatura di Jorge Videla & C. in Argentina, ricordando che fu proprio lui il confessore di Videla e proprio lui gli dava l’Eucaristia. Ma non basta: su Bergoglio gravano anche pesantissimi sospetti per aver abbandonato nelle mani dei militari due suoi confratelli gesuiti - Orlando Yorio e Francisco Jalics – realmente impegnati nella lotta per i poveri nel senso della Teologia della Liberazione.
Quale Provinciale dei Gesuiti, togliendo a questi due preti la licenza ecclesiastica, li lasciò indifesi alla mercé degli apparati repressivi del regime, che infatti li arrestarono e li torturarono nel 1976 durante una detenzione di 5 mesi. La stessa accusa è presente innanzi tutto nel libro di Emilio Mignone Iglesia y dictadura. El papel de la iglesia a la luz de sus relaciones con el régimen militar del 1986 e fu poi ripresa dal giornalista Horacio Verbitsky nel 2006 col libro El silencio e di recente sulle pagine del quotidiano Página12.
Yorio nel frattempo è morto, ma Jalics è ancora vivo e risiede in Germania. In un libro del 1995, Ejercicios de meditación, ha raccontato la sua vicenda in termini assai negativi per il futuro papa. Cioè, dopo aver ricordato che l’opera pastorale svolta nei quartieri emarginati da lui e Yorio era stata accusata di appoggio alla guerriglia e di terrorismo, ha sostenuto di essersi recato, per chiarire le cose, da Bergoglio che avrebbe dato assicurazioni su un suo intervento presso i militari al fine di rassicurarli sulla mancanza di risvolti sovversivi nell’azione dei due gesuiti. Invece, riferisce sempre Jalics, da testimonianze e documenti avrebbe appurato che proprio Bergoglio li aveva denunciati ai militari come sovversivi. Cosa comunicata nel 1977 da Yorio in una lettera all’Assistente Generale della Compagnia di Gesù.
Dal canto suo l’associazione Madres de Plaza de Mayo ha sempre rivolto a Bergoglio pesanti accuse di connivenza col regime di Videla tanto da definire “spazzatura” (basura) lui e altri collaboratori del regime militare.
Il nostro cardinale, inoltre, era stato chiamato a testimoniare innanzi alla magistratura su quanto saputo in merito al traffico di neonati di desaparecidas organizzato dalla dittatura. Estela de Carlotto (famosa esponente della lotta per la verità sui crimini del regime di Videla) finora ha atteso invano l’autocritica di Bergoglio per il suo comportamento durante la dittatura: essa non è venuta con il libro del 2010 El jesuita, conversaciones con el cardenal Jorge Bergoglio, in cui il prelato ha così sintetizzato la sua posizione dell’epoca: «Se non parlai al momento fu per non fare il gioco di nessuno, non perché avessi qualcosa da nascondere. (...) Feci quel che potei con l’età che avevo e le poche relazioni su cui contavo per intervenire in favore delle persone sequestrate (Si no hablé en su momento fue para no hacerle el juego a nadie, no porque tuviese algo que ocultar. (…) Hice lo que pude con la edad que tenía y las pocas relaciones con las que contaba para abogar por personas secuestradas)».
Fondati o no che siano le diffidenze nascenti dal suo conservatorismi e i sospetti e le accuse per il suo passato, Bergoglio andrà certamente valutato per quello che effettivamente farà. Se farà male, nessuna sorpresa; se farà bene, meglio per lui, per la sua coscienza e per la sua Chiesa. Staremo a vedere. Resta comunque intatto il “sospetto” da parte di non-cattolici e atei – sia pure diversamente motivato – circa la totale estraneità dello Spirito Santo alle elezioni papali. 

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