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giovedì 20 settembre 2012

ADDIO A ROBERTO ROVERSI, POETA, di Gualtiero Via

Venerdì 14 settembre si è spento a Bologna il poeta Roberto Roversi. Era nato nel 1923, avrebbe compiuto 90 anni il 28 gennaio prossimo. Amato quanto appartato, è stato presente nel dibattito culturale, artistico, ideologico italiano fin dagli anni Cinquanta, quando con Pier Paolo Pasolini e Francesco Leonetti fondò la rivista Officina, una sorta di tribuna laica, di laboratorio di idee e di lettere, dalla quale passarono nomi come Carlo Emilio Gadda, Franco Fortini, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Leonardo Sciascia, Italo Calvino e altri ancora. Poco dopo la chiusura di Officina, Roversi diede vita a un'altra rivista, Rendiconti, di più ampio raggio d'indagine (“bimestrale di letterature e scienze” recava scritto il primo numero, aprile-maggio 1961), di cui uscirono venti fascicoli, fino al 1977, per poi riprendere le pubblicazioni nel 1992 con altri dieci numeri, giungendo sino alla fine degli anni Novanta.

Dopo aver pubblicato sia romanzi che raccolte in versi con alcuni dei più importanti editori italiani (Mondadori, Rizzoli, Einaudi), negli anni Sessanta matura una drastica scelta che potremmo chiamare di selezione, rifiuto, autoproduzione e gestione della comunicazione: cesserà ogni rapporto con le grandi case editrici (che non smetteranno di corteggiarlo, offrendogli collane, uscite, promozione), per stampare e ciclostilare in proprio le sue raccolte (Le descrizioni in atto, di cui stampò nove tirature, dal 1970 al 1985, per un totale di alcune migliaia di copie, ognuna spedita o consegnate personalmente dall'autore al richiedente). A questa produzione militante-artigianale, assolutamente autonoma, (“Ho fatto quattro tirature per oltre tremila copie; tutte stampate confezionate impacchettate spedite con le mie mani”, precisava in un’intervista del 1976) Roversi unì una disponibilità straordinaria alla collaborazione con piccole o piccolissime case editrici, una curiosità vigile e costante per le produzioni giovanili e “underground”, nonché una funzione non conclamata, non propagandata ma reale di ascolto e disponibilità verso i giovani che si affacciavano al mondo della poesia, delle lettere, della battaglie delle idee.
E' nel corso degli anni Settanta che due fatti nuovi tornano a mettere in discussione il rapporto, che sembrava chiuso, unilateralmente, fra Roversi e l'industria culturale. Il primo è l'uscita di un intero LP di Lucio Dalla su testi di Roberto Roversi, Il giorno aveva cinque teste, Rca, 1973. L'album vende pochissimo, ma è incredibile per la carica innovativa e inventiva, sotto ogni punto di vista. La collaborazione fra Dalla e Roversi prosegue per altri quattro anni (Anidride solforosa, 1975 e Automobili, 1976) e col terzo album della serie arriva anche un discreto successo di pubblico. L'altro fatto nuovo nel rapporto di Roversi con l'industria culturale sarà la pubblicazione di un suo romanzo inedito, I diecimila cavalli, con gli Editori Riuniti, allora la casa editrice direttamente legata al Pci (“ho accettato e accetto come un atto di pratica politica, altrimenti il libro restava dov'era” - sempre dalla stessa intervista).
Anche l'attività come paroliere continuava: tornò a scrivere alcune canzoni per Lucio Dalla, nonché per il gruppo degli Stadio (Chiedi chi erano i Beatles la canzone di maggior successo), nonché per Mina e Paola Turci. La produzione poetica vedeva nascere e prendere corpo, fin dagli anni Ottanta, una sorta di poema, L'Italia sepolta sotto la neve, di cui sono uscite varie parti, sempre per editori assai piccoli, a volte in tirature limitatissime.

Molti lo hanno ricordato, com'è ovvio. Trovo molto chiare ed esatte, fra le tantissime, le parole con cui lo ha ricordato Ivano Dionigi, rettore dell'Università di Bologna:

Roberto Roversi [lo] chiamiamo ‘poeta’ solo in mancanza di termini più adeguati a circoscrivere tutto cio’ che egli era: intellettuale integrale e integro, uomo d’impegno civile e morale, che a vent’anni rischiava la vita tra i partigiani, a ottanta, a quasi novanta, la donava ai giovani con generosita’ mai esausta’’. ‘’Di lui - aggiunge - oltre all’opera, restera’ l’esempio, la coerenza: un valore di cui sentiamo troppo spesso la nostalgia’’. (...)
‘’A proposito di un poeta e intellettuale che fu suo compagno di strada, Pier Paolo Pasolini, Roversi ha scritto pagine che ci mettono in guardia contro quella ‘imbalsamazione’ che e’ la mera celebrazione’’. Roversi ‘’ci lascia anche un paradosso - conclude Dionigi - su cui meditare: essere politici al massimo grado vivendo nella solitudine e nella discrezione, senza ne’ scendere nell’agone quotidiano ne’ calcare il palcoscenico mediatico’’.


Un brano da I diecimila cavalli

(…)
[la scena si svolge in una fabbrica occupata. Alla discussione predono parte, oltre che operai della fabbrica, anche compagni, abitanti del quartiere, persone diverse che con quella lotta solidarizzano. Fra queste, il protagonista del romanzo e la sua compagna, benché qui non compaiano]

La stanza è piena di gente in piedi e seduta, altri vanno e vengono per le scale, alle finestre sono appostati alcuni uomini, nella fabbrica lavorano a ritmo pieno. Il vicino di Nello Savore, un giovane magro come un gatto, parla in piedi con una voce chiara ma non forte «badate che parliamo parliamo ma cose nuove non diciamo mi pare. Il punto da rifletterci (…) è questo: la rivoluzione non si fa più con la rivoluzione; adesso una rivoluzione è più efficace proporla e annunciarla che farla; se si trovano i canali per questa comunicazione o se si stringono in mano con tutti i dati».
Pochi capiscono. «Questi sono discorsi», si sente borbottare intorno al tavolo, molti fumano, appoggiati in modo pesante perché sono stanchi. Dalla stanza si vede l'imbocco delle scale che portano giù, dove le macchine vanno. È il sardo che continua a parlare, una sigaretta dopo l'altra mentre guarda la faccia degli amici: «e poi, ci potrà essere finalmente l'uomo dentro la rivoluzione? oppure dovrà sempre la rivoluzione, questa bestia solitaria, essere dentro l'uomo? standoci annodata e intenta, come l'edera di San Giuseppe?».
«Pochi capiscono» mormora qualcuno e si stropiccia gli occhi.
«Compagni evitiamo la monotonia».
«Scendere al concreto», dicono altri a voce alta ma senza astio.
«In questi nostri anni la vera rivoluzione è solo un’informazione, un’informazione diversa».
«Allora possiamo anche andarcene, abbandonare la fabbrica con le porte aperte come per un bel invito al ballo e lasciare la lotta di mesi e questa baracca vuota per il ritorno dei signori signori, che sono i padroni del mondo» (…).
«Qua che stiamo facendo?», chiede un vecchio che ascolta e ascolta. Adesso tutti sono attenti.
«Qua si perde, si vince sul serio soltanto sulle idee, che vanno appiccicate come una firma sulla gran tovaglia del mondo. È lì, amici, compagni, è lì, fra pane e sale, fra coltello e forchetta, che esse stanno. Le idee, dico. Se ci stanno il pasto è pieno. Altrimenti bisogna andare a funghi per boschi e per langhe, se vogliamo mettere nel piatto qualcosa da masticare. Non lasciamo, amici, compagni, più niente agli altri. Nemmeno le parole».
Soffia un vento di bufera attraverso gli squarci delle finestre sbrindellate, da sotto il rombo delle macchine fa tremare il pavimento.
«Per dio hai detto bene – dicono – Questo è giusto, parlare delle parole. È giusto anche per altre cose ancora. Sono frasi sulle quali pensare. Non sono cose da poco. Fanno faticare».

Roberto Roversi, I diecimila cavalli, Editori Riuniti, Roma, 1976 (passi dalle pp. 254-6)


Tributo e ricordo personale

Ho scritto questi versi qualche minuto dopo aver appreso, da Internet, della morte di Roversi. Come ho già anticipato a Roberto Massari, Roversi per me è stato una specie di padre, intellettualmente e anche moralmente parlando. Voglio così condividere con tutte/i voi - mi scuserete - la commozione e l'affetto con cui sempre ripenso e ripenserò a questo grandissimo, meraviglioso forte generoso poeta libero, che ci ha lasciato.
L’amore per i libri

Resta da dire, e sarebbe omissione grave tralasciarlo, che di mestiere Roversi era libraio antiquario e dalla sua Libreria Palmaverde, con l'aiuto costante della moglie Elena, ha spedito per il mondo intero, nel corso di quasi un cinquantennio, alcune centinaia di migliaia di libri (come racconta in una bella intervista a Michele Smargiassi di Repubblica), a lettori, amatori, dipartimenti universitari, biblioteche pubbliche e private di ogni angolo del globo. Chiusa, e non ceduta ad altri, non molti anni fa la libreria («una libreria è come un figlio: non si può vendere», così la moglie Elena), i libri sono stati in parte donati (tra fondi pubblici e le Librerie Coop), in parte messi all'asta a beneficio dei senzatetto della citta di Bologna.
Cenni bibliografici: nel 2001 usciva per Tullio Pironti, Napoli, La partita di calcio, parte seconda del poema L'Italia sotto la neve. Una prima parte era uscita per Il Girasole edizioni di Valverde nel 1989. Nel 2008 è uscito l'importante Tre poesie e alcune prose, a cura di Marco Giovenale, Luca Sossella editore, mentre è tuttora in corso da parte di Pendragon editore la ripubblicazione di opere in versi, in prosa, testi teatrali degli anni Sessanta e Settanta, da tempo introvabili (Unterdenlinden, Il crack. Testo per il teatro, La macchia d'inchiostro. Testo per il teatro e altri, tutti a cura di Arnaldo Picchi).

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