Ho letto attentamente l’articolo di James Petras, e a solo titolo di discussione e minimo contributo, osservo che: a) fermo restando il carattere «sottosviluppato» dei capitalismi in questione, la descrizione della rendita petrolifera mi pare più pertinente per la Libia o Algeria, Arabia saudita ed Emirati e Kuwait, meno per la Tunisia e l’Egitto, il Marocco e la Giordania; b) un’altra questione è il passaggio dalla struttura alla congiuntura, anche in termini socio-economici oltre che di formazione del movimento di massa; c) specialmente in Egitto e in Libia bisognerebbe considerare bene l’elemento nazionalistico nelle forze armate e, in particolare in Libia, l’elemento regionale e di clan.
Insomma, non credo che quest’ondata e la simultaneità delle crisi si risolva interamente postulando the same socio-political conditions in each country. Mi chiedo, ragionando da ignorante, a conoscenza solo di dati elementari, se, per quel che possono essere i motivi socio-economici sullo sfondo, non si tratti piuttosto dell’effetto della recessione mondiale attraverso canali diversi su paesi in cui il sottosviluppo non ha esattamente la stessa struttura (e di sicuro, direi, non la stessa storia).
Ad esempio, per gli esportatori di idrocarburi (Oman Qatar Kuwait, Emirati, Arabia Saudita, Algeria, Iran, Iraq), tra la primavera del 2008 e i primi del 2010 la rendita petrolifera si è dimezzata, pur andando poi migliorando; non ho dati per la Libia, ma sarà in linea.
Per i paesi che non sono importanti esportatori di idrocarburi, tra cui l’Egitto e la Tunisia, concorrono alla contrazione del Pil la caduta della produzione industriale (gravissima in Tunisia), delle rimesse degli emigrati (ca. 4-5% del Pil per Egitto e Tunisia; 20% in Libano; mediamente -2 punti di Pil in nord Africa nel 2009 sul 2007), dell’investimento privato, del turismo (Egitto e Tunisia perdono oltre un 1 punto di Pil nel 2007-2009; 14% del Pil in Giordania nel 2007, -4 punti nel 2009), degli investimenti diretti dall’estero (dimezzati in Egitto nel 2007-2009, al 4% del Pil).
Quello che è sicuro, si tratti o no di Stati caratterizzati dalla rendita petrolifera, è che nell’area del nord Africa e del medio Oriente il sottosviluppo si esprime in modo acuto con i più alti tassi di disoccupazione del mondo, per adulti e giovani, e nei minori tassi di partecipazione della forza lavoro del mondo. Un tasso di crescita del 4-5% del Pil, che sarebbe una manna per i paesi sviluppati, in questi è del tutto insufficiente a far fronte alla crescita della popolazione; l’Asia, complessivamente, viaggia invece su livelli doppi.
Un giorno, un venditore ambulante che non ha il denaro per comprarsi l’autorizzazione ed a cui la polizia sequestra spesso la merce si dà fuoco.
A questo punto i numeri non servono più: la recessione internazionale deve aver inasprito ulteriormente la situazione agendo attraverso canali diversi, ma è questo gesto fa scoppiare la rivolta politica contro un regime che non solo perpetua lo stato delle cose, ma la cui corruzione rende pure difficile arrangiarsi per vivere. Mi piacerebbe capire i percorsi molecolari della rabbia e dell'indignazione striscianti prima dell'esplosione.
C’è anche un altro fatto abbastanza sicuro. Il saldo delle partite correnti e il deficit fiscale sono notevolmente peggiorati in tutta la regione. Specialmente per i paesi che non esportano energia e nei quali ci sono state o ci saranno rivolte, questo non può che peggiorare. Il che significa «austerità»: mi sa che neanche i nuovi governi se la vedranno bene. E mi sa anche che, se per ora la corrente radicale islamica non si vede, potrà emergere in futuro.