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lunedì 10 maggio 2010

LETTERA DI ROBERTO MASSARI SULLA «FRASETTA» N. 4… ANZI: N. 1

Cari compagni di Utopia Rossa, simpatizzanti, amici e insomma voi che seguite la nostra elaborazione,
avevo promesso di farvi la mia proposta di nuova "frasetta" prima della fine dell'anno e, sia pure sul limitare di S. Silvestro, mantengo la promessa.
Sono necessari una premessa e un po' di promemoria per chi è arrivato a film già cominciato, o addirittura dopo l'intervallo.
Quando decidemmo di dar vita a Utopia Rossa (ufficialmente nel 2003) eravamo solo alcuni pochissimi compagni della vecchia Fmr (quindi con pluridecennale esperienza politica alle spalle) e qualche nuovo compagno deluso da Rifondazione, dalle sue correnti interne dell'epoca o altre provenienze varie.
Non avevamo dubbi su quale dovesse essere la "linea politica" nel dopo-Genova e, grazie a tutta la nostra precedente elaborazione teorica, avremmo potuto redigere un bel programmino rivoluzionario alternativo al Prc e alle sue correnti interne, sicuramente migliore di quelli che circolavano all'epoca.
Pensammo però che quella strada (da noi stessi percorsa negli anni '70) ci avrebbe portato a costituire un ennesimo gruppetto, antisala del solito partitino, pretenzioso e necessariamente gerarchico-autoritario al proprio interno. Insomma, la consueta caricatura di gruppo politico protoleninista.
Noi, i più vecchi, non avevamo mai dato vita a simili mostruosità e anche il gruppo internazionale (Fmr) e nazionale (Lega comunista) che eravamo stati costretti a creare dopo l'espulsione dalla Quarta internazionale non avevano mai avuto le caratteristiche di gruppetto chiuso e autoritario, fondato essenzialmente su gerarchia e carisma del capo. E comunque, ci eravamo autosciolti nel 1980, proprio per non ripercorrere simili strade, fallimentari dal punto di vista politico e avvilenti per l'individuo dal punto di vista etico-psicologico.
Decidemmo quindi di sperimentare un modo nuovo di far politica. Niente gruppo strutturato, niente capi, niente quote, niente congressi, niente maggioranze del 50 più uno e ovviamente niente "programma politico" nella forma consueta del documentone che dice tutto su tutto e che non serve assolutamente a nulla, tranne alla prossima minoranza che l’impugnerà per fare la scissione e ricominciare da capo. E' una storia che conoscete molto bene e spero che nessuno di voi voglia più riviverla.
Ci mettemmo a riflettere e decidemmo che di lì in poi la nostra associazione avrebbe chiesto l'adesione solo sulla base di discriminanti politiche, forti e chiare. Di quelle che non ci vuole una pagina per esprimerle, ma riassumibili in una frase. Magari dietro ci saranno, e nel caso di noi Utopia rossa ci sono anche decine e decine di libri scritti per motivare quelle scelte. Ma a noi interessava tracciare delle linee di classe, comprensibili con immediatezza per il solito terzetto (il pastore sardo, la casalinga ligure e il bracciante pugliese), traducibili con la stessa immediatezza in lingue straniere (degli immigrati per es.) e che non costringessero ogni volta l'individuo a rinunciare a tutta la propria formazione precedente, ai convincimenti ideologici del passato ecc. Occorreva, ovviamente, che la frase fosse realmente rispondente agli interrogativi della lotta di classe in quel determinato momento.
Nel 2003, prima ancora che il Prc facesse la svolta governista, decidemmo che l'atteggiamento verso il centrosinistra, in Italia, doveva essere la pietra di paragone irrinunciabile. Nacque così la frasetta fondativa: UTOPIA ROSSA CONSIDERA IL CENTRO-SINISTRA COME UN PROGETTO DELL'IMPERIALISMO ITALIANO.
Oggi ci potrebbero dire che era una banalità, ma tanto per fare dei nomi, devo ricordarvi che la sostanza politica di quella frasetta non era condivisa dal Prc, Pdci, Progetto comunista (futuro Pcl - vi ricordate Ferrando e il suo centro liberale?), Bandiera rossa (Sinistra critica), Socialismo rivoluzionario, Rete dei comunisti, Ernesto (e futuro Essere comunisti) e Cobas. Tutti costoro, infatti, nel 2006 invitarono a votare o apertamente per il centrosinistra, o, in alcuni casi, diedero indicazione di voto specifica per il Prc che implicava pur sempre un voto per il centrosinistra e la sua proposta governativa.
Il Campo antimperialista era parzialmente d'accordo, ma sosteneva che i problemi erano altri e poi quella definizione di imperialismo "italiano" mal si conciliava con il loro antiamericanismo. Non parliamo poi dei negriani (cioè dei disobbedienti e autonomi vari) che al concetto di imperialismo da tempo non credevano più.
Insomma, con una frasetta riuscivamo a mettere il dito sulla piaga e a tracciare una linea di demarcazione tra i rivoluzionari o perlomeno gli oppositori del sistema e chi, in forma più o meno diretta o indiretta, dava il proprio sostegno a uno dei due progetti principali dell'imperialismo italiano. Il bello era che l'accordo su quella frase non soffocava il disaccordo su tutto il resto: uno poteva essere anarchico, valdese, marxista, zapatista o situazionista, così come poteva avere una sua linea sindacale (Cgil o Cobas), o una sua posizione sulle questioni di genere, o perché no, sulla storia del comunismo. Non doveva rinunciare a nulla, purché rientrasse chiaramente e coerentemente (quindi niente voti al centrosinistra o al Prc) nello spirito e nella sostanza di quella frasetta.
Ammetterete che era un modo veramente diverso di far politica...
Poi esplose il problema dell'Iraq e noi di UR, partecipando al lavoro avviato dal Campo antimperialista con i Comitati Iraq libero, ci impegnammo con loro nella difesa del popolo iracheno che lottava. Non c'era solo l'Iraq e c’erano altre resistenze in corso. Ma la sinistra italiana non volle saperne sulle prime di schierarsi con la principale di tali resistenze e anzi avviò una campagna di disinformazione vergognosa nei confronti di Iraq libero. Non condividevamo ovviamente le posizioni generali del Campo (che delle varie resistenze dava un giudizio sostanzialmente positivo e si riconosceva in alcuni settori dell'islamismo più radicale) e quindi fummo costretti a varare una seconda frasetta, di quelle che un tempo - in certi ambienti rivoluzionari, anche latinoamericani - si davano per scontate: UTOPIA ROSSA APPOGGIA TUTTE LE RESISTENZE DEI POPOLI, INDIPENDENTEMENTE DALLE LORO DIREZIONI POLITICHE. Attiro l’attenzione sul duplice significato che ha qui l’avverbio “indipendentemente” e chi vuole chiarimenti al riguardo può leggere il mio testo sul Tibet.
Poi si è arrivati alla campagna elettorale del 2008, in cui abbiamo potuto dar vita alla lista astensionista "Que se vayan todos", in pieno accordo con la frasetta n. 1. Sono scese in campo con noi altre forze politiche (comprese alcune che alle precedenti elezioni avevano taciuto o votato per il centro-sinistra-Prc). Nel frattempo, però, Utopia Rossa aveva prodotto l'analisi della sottocasta definita "Forchettoni rossi" e aveva dimostrato come il Parlamento non fosse ormai più un'arena utilizzabile nemmeno solo per propagandare idee rivoluzionarie. La cacciata dei Forchettoni ci ha confortato in tale direzione e, consapevoli, dell'insufficienza della frasetta n. 1 (al fine di tracciare una linea di demarcazione tra rivoluzionari e non) abbiamo adottato la frasetta n. 3: LA CRISI DEL PARLAMENTARISMO BORGHESE IN ITALIA È ARRIVATA ALLE SUE ULTIME CONSEGUENZE E QUINDI NOI CI SCHIERIAMO IN UNA LOGICA ANTIPARLAMENTARE.
Ciò significa non presentarsi alle elezioni e non votare per chi ci si presenta. Non significa aderire all'astensionismo di principio (degli anarchici, per es., ma anche dei bordighisti, situazionisti ecc.), ma significa collocare storicamente la crisi del sistema rappresentativo della democrazia borghese. Vent'anni fa non avremmo avuto questa posizione, perché fino a quando il Parlamento ha consentito di varare leggi utili per le masse (divorzio, aborto, gabbie salariali, statuto dei lavoratori ecc.), al contrario degli astensionisti di principio, noi l'avremmo usato in un qualche modo (non necessariamente facendo eleggere dei deputati). Ora ciò non ha più senso, se non nella logica di una copertura “di sinistra” alla crisi storica del parlamentarismo borghese. Attenzione, l'antiparlamentarismo non significa necessariamente astensionismo alle amministrative, dove il problema è sparpagliato in tante situazioni diverse tra loro. E comunque non esiste una crisi storica definitiva della rappresentanza borghese a livello di enti locali. E non significa astensionismo in quei contesti dove il parlamentarismo conserva una sua vitalità (pensate alla Bolivia e al Venezuela) o dove potrà averla un giorno (pensate alla Cina).
Come Utopia Rossa siamo andati avanti. Abbiamo prodotto altri libri, abbiamo raccolto altri compagni e abbiamo verificato che rispetto agli anni successivi al '68 il malcostume della gruppettistica non è cambiato: ogni gruppetto pensa fondamentalmente ai cavoli propri; se sfidati a sostenere una polemica ti ignorano; adottano la tecnica del capo carismatico per mantenere il gruppo; escogitano statuti per tenere a bada le minoranze; le espellono appena esse minaccino di crescere; adattano il programma alla propria collocazione. Vi ricordate Progetto comunista per il quale ci fu quello stranissimo concetto del "centro liberale" finché rimasero dentro Rifondazione, ma che cambiarono con la la nostra posizione sull’imperialismo italiano appena ne uscirono? ecco, quello è un esempio di disonestà politico-teorica, ma di esempi così potrei farne a centinaia (anzi, molti li ho fatti in questi anni e la reazione dei soggetti colpiti dalla polemica è stata sempre di far finta di niente).
Negli ultimi tempi abbiamo ricevuto da alcuni compagni materiali scritti informativi su come sono stati espulsi da alcuni degli attuali partitini (pensate che c'è un'espulsione di operai da Sinistra critica ancora nel 2004!). Li abbiamo fatti circolare, non perché ci mancassero espulsioni su cui riflettere (quella della Fmr dalla Quarta - nel 1972-1975 - è certamente la più clamorosa nella storia della gruppettistica italiana per durata nel tempo e qualità dei materiali prodotti), ma perché collimavano con un altro discorso che nel frattempo cominciava a circolare dentro e fuori UR, e cioè che le motivazioni fondamentali che tengono in piedi questi gruppi, queste caricature di partitini sono riducibili a disfunzioni della personalità dei loro capi, ma anche dei militanti che si fanno violentare psicologicamente ed utilizzare economicamente. Il problema di una riflessione teorica sulla psicopatologia politica è appena cominciato e per ora è impossibile da trasformare in una frasetta politica discriminante. Forse ci riusciremo nel futuro. Ma c'è un passo propedeutico da compiere ed è il passo che vi chiedo di fare nel 2009, accettando, respingendo o emendando la frasetta n. 4, che ora passo ad esporvi:
IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI E NEI MEZZI CHE IMPIEGHIAMO DEV'ESSERE CONTENUTA L'ESSENZA DEL FINE.
Ovviamente l'avete già sentita tutti. Ma questo non può essere un criterio per rinunciare ad adottarla. Anzi, vorrei che diventasse la frasetta n. 1, quella in base alla quale si chiede l'adesione a Utopia Rossa.
Non essendo noi né mistici, né umanisti gratuiti, né missionari, dobbiamo far seguire a tale frase i contenuti politici, cioè per ora le altre frasette in cui crediamo. Dobbiamo cioè riempirla di analisi e indicazioni che ci forniranno anche i criteri per valutare chi la rispetti e chi no. Terremo conto, ovviamente, del fatto che la definizione che diamo del centrosinistra reggerà finché reggerà il centrosinistra (e non è detto che arrivi al 2010); quello delle resistenze durerà invece fino alla rivoluzione mondiale perché fino ad allora vi saranno popoli che opprimeranno altri popoli (pensate ai casi disperati della Palestina e della Cecenia). Mentre il terzo punto è ormai irreversibile, perché, in Italia perlomeno, il parlamentarismo non potrà riprendere il ruolo che aveva avuto per tutto il corso di ascesa della democrazia borghese e nei decenni successivi alla caduta del Fascismo.
Chiedo ai compagni di considerare innanzitutto il livello alto di questa frase, il suo valore etico e di principio, accantonando momentaneamente o dando per scontata tutta la questione della disonestà dei capi, le ipocrisie, la menzogna su cui si reggono i gruppi, l'arrivismo personale, l'accaparramento di postazioni nel sistema. Il livello alto significa, per esempio, cominciare a riflettere perché 150 anni e più di altissima elaborazione teorica non producano alcun effetto; perché i gruppi o gli intellettuali che vedono chiaramente da che parte stia la ragione continuino a far finta di niente; perché anche verifiche storiche cristalline (come il non-socialismo dell’Urss, la fine della sua burocrazia e la sua trasformazione in capitalismo oppure la verità storica sul maoismo che coinvolse la quasi totalità dell’intellighenzia di sinistra italiana) non spinga coloro che tale processo non seppero capire o prevedere a fare mea culpa ecc.
Ma anche perché si stia sommergendo di futilità e interessi commerciali il massimo campione dell'etica rivoluzionaria prodotto dalla storia, cioè Guevara. Questo nostro 4º punto sembra fatto apposta per richiamare l'insegnamento del Che. Noi santini non ne abbiamo, ma non possiamo nemmeno far finta che lui non sia stato l'unico - l'unico, sottolineato - dirigente politico del movimento operaio che abbia teorizzato e applicato il punto 4. È importante non perdere di vista l'aspetto guevariano della faccenda, anche se ci sarà sempre qualcuno in malafede che dirà, "Sì, però Guevara ha fatto questo, ha fatto quello ecc. ecc.". Ecco, appunto, la frasetta n. 4 contrasta con questo modo truffaldino di presentare la storia del movimento rivoluzionario, per cui l'errore di un grande o di un’idea da un lato porta a buttare via tutto il positivo dall'altro. La figura di Trotsky ne sa qualcosa. Ma la questione del recuperare quanto di buono vi sia in un’idea è molto più antica e la si può far risalire tranquillamente a un altro campione dell'etica, quell’ebreo palestinese che volle lottare contro l'occupante romano e finì ucciso perché le forze politiche intorno a lui non rispettavano il punto 4.
Ci sarebbe poi da sviluppare la componente personale di questo punto 4. Fermo restando che anche chi si è comportato male nel passato ha piena facoltà di ricredersi, riconoscere le proprie colpe e aiutarci ad andare avanti, per quanto mi riguarda dichiaro quanto segue: 1) Sono cresciuto dentro la Quarta internazionale e ho lottato coerentemente per sua crescita finché ci ho creduto e non mi hanno espulso.
2) Ho poi costruito un raggruppamento internazionale come misura di autodifesa dopo l'espulsione, ma ho contribuito a sciogliere l'impresa nel giro di 5 anni appena ci siamo resi conto della sua negatività nella prospettiva storica di una rivoluzione anticapitalistica e libertaria autentica: un’impresa che non ritenterò mai più in vita mia in forma partitica. Di qui, però, anche il disprezzo per tutti coloro che si svegliano al mattino e decidono di dar vita a un proprio gruppo.
3) Dichiaro inoltre che non ho mai espulso o aiutato a espellere nessuno dagli àmbiti di mia competenza e non ho mai fatto una scissione in vita mia. Quando mi resi conto di aver sbagliato a entrare in Democrazia proletaria (nel 1980), me ne andai via serenamente, senza portar via nessuno (nemmeno i compagni che erano entrati con me).
4) Non ho mai ricevuto compensi per la mia attività politica, tranne alcuni mesi nel 1981 in cui diressi l'ufficio esteri di Dp e collaborai al loro settimanale. La cifra fu così modesta che non la ricordo e, comunque, mi dimisi da quell'incarico dopo pochi mesi, invece di approfittare per andare avanti nell'apparato e fare della politica una fonte di mio sostentamento (come purtroppo si usa fare oggigiorno). Per la cronaca, nonostante le lauree e la passata carriera universitaria, vissi per molti anni dando lezioni di pianoforte.
5) Non ho mai camuffato il mio pensiero politico nell'interesse mio, del mio gruppo o di una presunta solidarietà rivoluzionaria con chicchessia. Senza cambiare una virgola del mio pensiero, non mi associo tuttavia a critiche pubbliche di chi si trova esposto all’attacco diretto dell’imperialismo, del sionismo, del neozarismo, ecc. Devo dire, comunque, che avendo sempre messo per iscritto le mie idee (in forma sistematica dal 1970-71 fino ad oggi), mi sarebbe anche difficile mentire o fare svolte improvvise: verrei inchiodato dai miei testi. Ecco, questa della verifica dei testi vorrei che diventasse un metodo di indagine etica e storica per quei giovani che si accingono ad entrare in alcuni dei gruppi succhiacervelli della gruppettistica italiana e internazionale.
6) Credo di aver avuto sempre rapporti umani molto sinceri con tutti i compagni e le compagne che mi sono stati variamente vicino in questi 42 anni di milizia politica, e ho sempre cercato di sdrammatizzare o tradurre in bonaria ironia eventuali approcci di tipo carismatico che non sono mancati intorno alle mie iniziative politiche. Insomma, non ho voluto mai fare il guru, contrapponendomi sempre a qualsiasi strumentalizzazione dell’insicurezza e delle tentazioni da società dello spettacolo molto diffuse tra i giovani e nella sinistra italiana. (Personalmente ho avuto un solo guru nella mia vita, ma fuori della politica e nella persona del mio amato maestro di pianoforte.)
Se non sono riuscito a mettere insieme qualcosa di più robusto della nostra piccola associazione dev'essere ovviamente anche per colpa mia. Solo che io ancora non ho capito cos'altro avrei dovuto fare dal 1966 ad oggi (per es. nel ’68, nel ’77, nel 1989, nel 2001), diverso da ciò che ho sempre fatto. Spero di capirlo prima che sia troppo tardi. E comunque spero che lo capiscano i compagni che mi sostituiranno in questa impresa difficile, ma entusiasmante. A differenza di Fidel, di Maitan e altri, io penso da tempo a formare i compagni che dovranno proseguire l'avventura e ho impostato fin dall'inizio tale formazione in primo luogo sul terreno etico.
Ecco, sull'importanza capitale della svolta che vi propongo con l'accettazione del punto 4 (futuro punto 1) credo che ve ne rendiate conto da soli e comunque ci torneremo sopra.
Sono quasi le 21 del 31 dicembre 2008, ma mi sembra questo un modo ottimo di finire l'anno (e per voi di cominciarlo leggendomi).
E questa volta spengo veramente il computer dopo avervi augurato
con affetto e piena solidarietà umana
un 2009 utopico e rosso, e magari, perché no?!, anche rivoluzionario

Roberto
[31 dic. 2008]