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mercoledì 16 ottobre 2024

IMMAGINARE TINA

di Laris Massari


ITALIANO - ENGLISH


Tina Modotti è stata una donna fuori dal comune, capace di abbracciare una vita in cui arte, politica e amore s’intrecciavano in un equilibrio instabile ma affascinante. Il suo percorso si snoda attraverso i continenti, e tra rivoluzioni e passioni, lasciandosi dietro un’eredità profonda quanto difficile da decifrare. Nata nel 1896 a Udine, in una famiglia di umili origini, fin dalla giovane età dimostra una curiosità irrequieta per il mondo oltre i confini del Friuli. La terra in cui cresce è multilingue, multiculturale, e ciò plasma in lei un’apertura mentale che la porterà ben presto a lasciare l’Italia per cercare la propria strada all’estero.

È negli Stati Uniti, a San Francisco, che Tina inizia a scolpire la propria identità. Lavorando come operaia, vive la durezza della vita degli immigrati, ed è proprio tale contesto che l’avvicina ai circoli culturali e artistici della città. Nonostante le difficoltà economiche, sono il suo fascino e il suo talento innato che la portano presto a calcare i palcoscenici teatrali, e ben presto si apre davanti a lei il mondo del cinema muto, all’epoca in pieno sviluppo. Hollywood l’accoglie con favore e Tina potrebbe facilmente costruirsi una carriera luminosa, per la sua bellezza mediterranea e la capacità di adattarsi ai ruoli del nascente cinema statunitense. Il suo volto, pervaso da un’intensa malinconia, emerge nel panorama hollywoodiano, incarnando il tipo di bellezza enigmatica e misteriosa che il cinema muto sapeva esaltare. Ma la sua personalità complessa emerge fin da allora, provocando in lei insoddisfazione verso la superficialità del mondo dello spettacolo. Il suo spirito ribelle e la sua sete di conoscenza la spingono a esplorare nuovi orizzonti, sul piano artistico e sul piano umano.

Il suo incontro con il fotografo Edward Weston (1886-1958) segna una svolta fondamentale. La fotografia diventa per lei non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche uno strumento per dare voce alle proprie convinzioni politiche e sociali. Weston è il suo maestro, il suo amante - era già sposata con «Robo», il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey (1890-1922) - senza che Tina rimanga mai nell’ombra: assorbe con intensità gli insegnamenti tecnici, sviluppando però un proprio stile fotografico, che riflette la sua visione profonda della vita e del mondo. L’intimità con Weston, pur intensa, non oscura la sua voglia d’indipendenza. È una donna che non teme di esporre la propria sensualità, né di rompere con le convenzioni dell’epoca. In un momento storico in cui la figura femminile era ancora strettamente legata a ruoli tradizionali, Tina sfida tali norme con audacia: lo fa nella vita privata così come nell’arte.

È in Messico, inizio degli anni ’20, che Tina trova la propria autentica dimensione. In una terra sconvolta dalle ferite ancora aperte della Rivoluzione, s’immerge totalmente nel fervore politico e sociale che pervade il Paese. La sua arte, fino a quel momento caratterizzata da una ricerca estetica di tipo formale, si trasforma in un potente strumento di lotta. Attraverso le sue fotografie Tina documenta la realtà delle classi più povere - operai, contadini e braccianti - diventando una testimone attiva di un cambiamento sociale in atto. Le sue immagini, intrise di umanità, sono al tempo stesso opere d’arte e manifesti politici, capaci di suscitare emozioni e riflessione.

Nel contesto messicano incontra Julio Antonio Mella (1903-1929), rivoluzionario cubano, con cui condivide una profonda passione amorosa, oltre al comune impegno politico. Mella rappresenta per Tina l’incarnazione dell’eroe rivoluzionario: giovane, carismatico, devoto alla causa socialista. La loro storia, breve e tragica, è un turbine in cui si fondono amore, passione e politica. La morte prematura di Mella, ucciso da mani sospette, lascia in lei una ferita che non si rimarginerà mai del tutto. Di lì in poi Tina s’immerge sempre più nel mondo della politica, avvicinandosi al movimento «comunista» d’obbedienza moscovita e diventando una figura di riferimento per il Soccorso rosso internazionale. 

Con la sua fede negli ideali rivoluzionari, Tina si ritrova a navigare nelle acque torbide del presunto comunismo staliniano, legata a personaggi ambigui e manovrata da forze più grandi di lei. La ex attrice ed ex fotografa cede al mito della Grande Madre sovietica, come tante altre tragiche figure animate originariamente da sincero spirito comunista. La relazione con Vittorio Vidali (1900-1983), altra figura enigmatica della sua vita, la trascina ancora più a fondo nel mondo del Comintern. Un uomo che lei forse un giorno scoprirà essere, con forti probabilità, uno dei complici nell’omicidio del suo amato Mella. La tragedia nella tragedia…

Parte per la Spagna, si unisce alla lotta contro il fascismo nella Guerra civile. Anche qui, fra le trincee e le macerie, l’ideale rivoluzionario sembra logorarsi sotto il peso del tradimento con cui le principali forze politiche repubblicane soffocano la Rivoluzione spagnola.

Con il tempo, tuttavia, Tina inizia a intuire e poi forse a comprendere le ombre del mondo stalinista cui si è legata. Nonostante la sua adesione sincera agli ideali comunisti, le brutalità e i compromessi che osserva dall’interno del sistema la turbano profondamente. L’illusione di una rivoluzione pura, in grado di cambiare radicalmente le sorti dell’umanità, inizia a sgretolarsi di fronte all’azione reale del movimento, del quale lei riesce finalmente a vedere anche gli aspetti criminali. Nonostante ciò, non cessa di lottare, e alcuni elementi della sua biografia dimostrano che negli ultimi anni di vita il suo impegno assume una forma più consapevole, critica, anche se non è dato sapere fino a che punto lo sia.

Il Patto Hitler-Stalin (agosto 1939) è il colpo finale. La donna che aveva dedicato la vita alla lotta per la libertà e per gli ideali di una società socialista, comincia a rendersi conto che il sistema in cui aveva creduto sta tradendo gli stessi ideali che le erano stati cari. Raro esempio nel mondo del comunismo staliniano (rarissimo tra i comunisti italiani, come mostra più avanti il testo di R. Massari), Tina non approva il Patto scellerato da cui ebbe inizio la Seconda guerra mondiale. È un atto di profonda coerenza morale, un rifiuto di piegarsi alla logica spietata della politica. E proprio qui, nel suo ultimo atto di ribellione, Tina ritrova se stessa. Intuisce la portata devastante di un’ideologia che sacrifica l’individuo in nome di un’astrazione: non più l’artista manipolata, non più la rivoluzionaria sacrificata sull’altare di una causa che si è trasformata in tirannia, bensì una donna che ha scelto di restare fedele alla propria umanità, sino alla fine.

In tale contesto essa si riscatta, recuperando la grandezza del suo essere artista e rivoluzionaria, ma anche donna capace di vedere oltre le illusioni politiche del proprio tempo. Forse anche per questo la sua morte improvvisa a 45 anni - in circostanze molto simili a quelle in cui morirà Victor Serge (1890-1947) nella stessa Città del Messico, pochi anni dopo di lei - ha lasciato molto più di un semplice sospetto sulle circostanze in cui avvenne. E cioè che i sicari staliniani si siano voluti liberare di una donna che sapeva troppo, una testimone scomoda soprattutto dei molti assassinî di antifranchisti compiuti nella Spagna repubblicana. 

Tina è stata, e rimane, un simbolo di coerenza, passione e lotta. È stata una fotografa talentuosa, una musa, una militante politica, una donna libera (anche sessualmente) in un’epoca che non perdonava tale libertà soprattutto alle donne. Non è stata indenne dalle colpe e miserie della sua epoca, e soprattutto del suo movimento di appartenenza: ha amato, ha sbagliato, è stata certamente complice più o meno consapevole dei crimini del Soccorso rosso internazionale, senza mai perdere la fede, però, nella possibilità di un mondo migliore. È stata disposta sino in fondo a confrontarsi con i propri limiti e le proprie contraddizioni: in queste imperfezioni risiede la sua grandezza.

Tina è una figura viva, che ci parla ancora della lotta per rimanere coerenti con se stessi, in un mondo che spesso ci chiede di essere altro. Oggi, guardando alla sua vita, non possiamo fare a meno di chiederci cosa significhi essere donne e uomini in una realtà in continuo cambiamento, una realtà che a volte ci tradisce, ma che ci offre sempre la possibilità di riscatto.


Cosa c’insegna, allora, la sua storia? Che vivere con integrità e coerenza gli ideali dai quali si è animati, non è mai facile, che la purezza ideale è fragile. Con la sua breve e tormentata esistenza - donna, artista e ribelle - Tina ha dimostrato che non c’è nulla di più rivoluzionario dell’essere sino in fondo, pienamente e ostinatamente, umani.

Che dire di Tina come artista? La si può valorizzare anche in un contesto contemporaneo? Oppure il suo lascito è inesorabilmente segnato dal tempo in cui visse e dai contesti politici in cui operò (fondamentalmente il Messico postrivoluzionario)?

Il concetto di arte va espandendosi. All’artista del nostro tempo non è necessariamente richiesto di mettere in atto un talento per ottenere il successo. La capacità espressiva si trasforma in un’interpretazione preconfezionata e veicolata per lo spettatore. Il messaggio dell’opera è divenuto fondamentale, più della sua forma espressiva, affinché essa possa definirsi «arte».

Ebbene, Tina non si considerava e non voleva che la si considerasse un’artista, né riteneva che la sua fotografia fosse arte, essendo fondamentalmente interessata al messaggio che le immagini ritratte dalle sue foto trasmettevano. Le sue opere grondano di messaggi ed è evidente che questo intento era prevalente per lei: era anche un suo limite, allo stesso tempo.

Eppure, ai miei occhi  - sicuramente condizionati dall’artificialità degli sviluppi che la fotografia odierna sta vivendo - il suo modo di raffigurare la realtà meriterebbe il titolo di «artistico», o perlomeno di pionieristico avvio di un percorso artistico (quello del realismo fotografico, antisala dell’iperrealismo). Nel non considerarsi un’artista lei stava forse eccedendo in modestia (dote rara per i tempi correnti), ma io sarei portato a pensare che in fondo non avesse ragione.

E questo perché Tina esercitava l’arte della fotografia, nel senso che sapeva replicare la realtà con grande maestria, utilizzando i procedimenti più avanzati della tecnica fotografica dell’epoca sua: una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, com’è spesso considerata. Basti osservare la differenza tra le sue fotografie e quelle di Edward Weston per capire che c’è modo e modo di catturare un momento del reale.

Quest’antologia rappresenta un omaggio a una figura complessa e affascinante, il cui nome è rimasto a lungo avvolto dal silenzio. A partire dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, ricerche pionieristiche di studiosi italiani - come Riccardo Toffoletti e Pino Cacucci - hanno contribuito alla sua riscoperta, ciascuno a suo modo: Toffoletti con la ricostruzione del suo itinerario fotografico, Cacucci con la ricostruzione della vita di Tina esposta con la sua prosa avvincente. È grazie a loro, e ad altri studiosi e artisti, che l’opera e la vita di Tina hanno trovato nuovo spazio nel panorama editoriale e culturale. Un fenomeno che ha portato alla realizzazione di numerose mostre in tutto il mondo.

In particolare, va segnalata la bella esposizione al Palazzo Roverella di Rovigo (sett. 2023-genn. 2024), curata da Riccardo Costantini (n. 1981). Ho avuto il piacere di visitarla ed è lì che è nata l’idea di questo libro. Davanti a quelle immagini ho provato un forte senso di coinvolgimento nel mondo ideale di Tina, trovandomi immerso in un percorso di forte valenza emotiva, che intreccia la sua arte, la sua lotta e il suo destino.

L’antologia qui presentata è costruita seguendo criteri vòlti a esplorare soprattutto l’epopea politica di Tina Modotti, vale a dire un aspetto centrale troppo spesso trascurato nelle analisi a lei dedicate. Sono stati inclusi materiali in gran parte sconosciuti, e la scelta degli autori ha mirato a dar voce a figure che, come Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli e Roberto Massari, condividono una prospettiva fortemente antistalinista, contribuendo a una riflessione più completa e critica della sua esperienza di vita. L’aver dato voce, poi, a vari eminenti studiosi non italiani, è stata una scelta mirata a contestualizzare la vicenda di Tina in un quadro internazionale. Una tale selezione mira a far emergere oltre all’artista e alla fotografa di talento, anche la donna che ha vissuto intensamente e in modo contraddittorio le grandi trasformazioni del suo tempo.

L’antologia, con i suoi contributi inediti e l’approfondimento della dimensione politica, vuole dunque essere un tributo alla scoperta o riscoperta di una donna straordinaria, il cui lascito ci parla sicuramente del passato, in gran misura del presente e, perché no?, fors’anche del nostro futuro…

(settembre 2024)



ENGLISH


IMMAGINING TINA  

by Laris Massari


Tina Modotti was an extraordinary woman, capable of embracing a life in which art, politics, and love intertwined in an unstable yet fascinating balance. Her journey spanned continents, revolutions, and passions, leaving behind a legacy as deep as it is difficult to decipher. Born in 1896 in Udine, into a family of humble origins, she showed an early restless curiosity for the world beyond the borders of Friuli. The land in which she grew up was multilingual and multicultural, shaping in her an open-mindness that would soon lead her to leave Italy in search of her path abroad.

It was in the United States, in San Francisco, that Tina began to carve out her identity. Working as a laborer, she experienced the harshness of immigrant life, and it was within this context that she became connected with the city’s cultural and artistic circles. Despite economic difficulties, her charm and innate talent soon brought her to the theater stage, and before long, the world of silent cinema, then in full bloom, opened up to her. Hollywood welcomed her warmly, and Tina could have easily built a luminous career, thanks to her Mediterranean beauty and ability to adapt to the roles of the nascent American cinema. Her face, imbued with intense melancholy, stood out in Hollywood, embodying the type of enigmatic and mysterious beauty that silent cinema knew how to exalt. But her complex personality was already emerging, causing dissatisfaction with the superficiality of the entertainment world. Her rebellious spirit and thirst for knowledge pushed her to explore new horizons, both artistically and personally.

Her encounter with photographer Edward Weston (1886-1958) marked a pivotal turning point. Photography became for her not only a means of artistic expression but also a tool for voicing her political and social convictions. Weston was her mentor and lover—though Tina was already married to "Robo," painter and poet Roubaix de l’Abrie Richey (1890-1922)—yet Tina never remained in the shadows. She absorbed Weston’s technical teachings with intensity, while developing her own photographic style, which reflected her profound vision of life and the world. Her intimacy with Weston, though intense, did not diminish her desire for independence. She was a woman unafraid to express her sensuality or to break with the conventions of the time. In a historical period when the female figure was still tightly bound to traditional roles, Tina challenged such norms with audacity, both in her private life and in her art.


It was in Mexico, in the early 1920s, that Tina found her true dimension. In a land still wounded by the open scars of the Revolution, she fully immersed herself in the political and social fervor that permeated the country. Her art, until then characterized by a formal aesthetic quest, transformed into a powerful instrument of struggle. Through her photographs, Tina documented the reality of the poorest classes—workers, peasants, and laborers—becoming an active witness to the social change taking place. Her images, imbued with humanity, were both works of art and political manifestos, capable of evoking emotions and reflection.

In the Mexican context, she met Julio Antonio Mella (1903-1929), a Cuban revolutionary, with whom she shared a deep romantic passion, as well as a common political commitment. Mella represented for Tina the embodiment of the revolutionary hero: young, charismatic, and devoted to the socialist cause. Their story, brief and tragic, was a whirlwind in which love, passion, and politics fused. Mella’s premature death, killed by suspicious hands, left a wound in Tina that would never fully heal. From that point on, Tina immersed herself more deeply into the world of politics, aligning with the Moscow-affiliated communist movement and becoming a prominent figure for the International Red Aid.

With her faith in revolutionary ideals, Tina found herself navigating the murky waters of Stalinist communism, tied to ambiguous figures and manipulated by forces larger than herself. The former actress and photographer succumbed to the myth of the Great Soviet Mother, like many other tragic figures initially animated by a sincere communist spirit. Her relationship with Vittorio Vidali (1900-1983), another enigmatic figure in her life, pulled her even deeper into the world of the Comintern. He was a man whom she would perhaps one day discover to be, with high probability, one of the accomplices in the murder of her beloved Mella. Tragedy within tragedy…

She left for Spain and joined the fight against fascism in the Spanish Civil War. Even there, amidst the trenches and ruins, the revolutionary ideal seemed to crumble under the weight of the betrayal with which the main republican political forces stifled the Spanish Revolution.

Over time, however, Tina began to perceive and perhaps understand the shadows of the Stalinist world to which she had attached herself. Despite her sincere commitment to communist ideals, the brutality and compromises she observed within the system deeply disturbed her. The illusion of a pure revolution, capable of radically changing the course of humanity, began to shatter in the face of the real actions of the movement, of which she eventually saw the criminal aspects as well. Nevertheless, she did not stop fighting, and some elements of her biography demonstrate that in her final years, her commitment took on a more conscious, critical form, though it is unclear how far this went.

The Hitler-Stalin Pact (August 1939) was the final blow. The woman who had dedicated her life to the fight for freedom and the ideals of a socialist society began to realize that the system in which she had believed was betraying the very ideals that had been dear to her. A rare example within Stalinist communism (and even rarer among Italian communists, as highlighted later in R. Massari’s text), Tina did not approve of the infamous pact that marked the beginning of World War II. It was an act of profound moral integrity, a refusal to bow to the ruthless logic of politics. And it was here, in her final act of rebellion, that Tina rediscovered herself. She intuited the devastating reach of an ideology that sacrificed the individual in the name of an abstraction: no longer the manipulated artist, no longer the revolutionary sacrificed on the altar of a cause that had turned into tyranny, but rather a woman who chose to remain faithful to her humanity, to the very end.

In this context, she redeemed herself, recovering the greatness of being an artist and revolutionary, but also a woman capable of seeing beyond the political illusions of her time. Perhaps for this reason, her sudden death at 45—in circumstances very similar to those in which Victor Serge (1890-1947) would die in the same Mexico City a few years later—left much more than a simple suspicion about the circumstances surrounding her passing. Namely, that Stalinist assassins wanted to eliminate a woman who knew too much, an uncomfortable witness to the many murders of anti-Francoists carried out in Republican Spain.

Tina was, and remains, a symbol of consistency, passion, and struggle. She was a talented photographer, a muse, a political activist, a free woman (even sexually) in an era that did not forgive such freedom, especially in women. She was not immune to the faults and miseries of her time, especially within the movement to which she belonged: she loved, she made mistakes, and she was certainly complicit, more or less knowingly, in the crimes of the International Red Aid, without ever losing faith, however, in the possibility of a better world. She was willing to confront her own limits and contradictions to the very end: it is in these imperfections that her greatness lies.

Tina is a living figure, one who still speaks to us of the struggle to remain true to oneself in a world that often demands we be something else. Today, looking at her life, we cannot help but ask ourselves what it means to be women and men in a constantly changing reality, one that sometimes betrays us, but always offers the possibility of redemption.

What, then, does her story teach us? That living with integrity and consistency in the ideals that animate us is never easy, that ideal purity is fragile. Through her brief and tormented existence—woman, artist, and rebel—Tina demonstrated that there is nothing more revolutionary than being fully and stubbornly human.

What can we say about Tina as an artist? Can she be valued even in a contemporary context? Or is her legacy inevitably marked by the time she lived in and the political contexts in which she operated (essentially post-revolutionary Mexico)?

The concept of art is expanding. The artist of our time is not necessarily required to demonstrate talent in order to achieve success. Expressive capacity has transformed into a pre-packaged interpretation delivered to the spectator. The message of the work has become fundamental, more than its expressive form, in order for it to be defined as "art."

Well, Tina did not consider herself an artist, nor did she want to be regarded as one. She did not believe her photography was art, as she was primarily interested in the message conveyed by the images she captured. Her works are imbued with messages, and it is clear that this intent was her primary focus, which was also a limitation at the same time.

Yet, in my view—undoubtedly influenced by the artificial developments modern photography has undergone—her way of depicting reality deserves to be called "artistic," or at least a pioneering start of an artistic path (that of photographic realism, the antechamber of hyperrealism). In not considering herself an artist, perhaps she was being overly modest (a rare quality in today's times), but I am inclined to think that she was ultimately mistaken.

This is because Tina practiced the art of photography, in the sense that she knew how to replicate reality with great mastery, using the most advanced photographic techniques of her era. She is often regarded as one of the greatest photographers of the early 20th century. One need only look at the difference between her photographs and those of Edward Weston to understand that there are many ways to capture a moment of reality.

This anthology is a tribute to a complex and fascinating figure whose name remained shrouded in silence for a long time. Beginning in the 1970s and '80s, pioneering research by Italian scholars such as Riccardo Toffoletti and Pino Cacucci contributed to her rediscovery, each in their own way: Toffoletti with the reconstruction of her photographic journey, Cacucci with his compelling prose outlining Tina's life. Thanks to them and other scholars and artists, Tina's work and life found new space in the publishing and cultural landscape, leading to numerous exhibitions around the world.

In particular, I must mention the beautiful exhibition at Palazzo Roverella in Rovigo (Sept. 2023-Jan. 2024), curated by Riccardo Costantini (b. 1981). I had the pleasure of visiting it, and it was there that the idea for this book was born. Standing before those images, I felt a deep sense of involvement in Tina's ideal world, finding myself immersed in a path of strong emotional resonance, intertwining her art, her struggle, and her fate.

The anthology presented here is built around criteria aimed at exploring primarily the political saga of Tina Modotti, which is a central aspect too often overlooked in analyses of her. It includes largely unknown materials, and the selection of authors was intended to give voice to figures who, like Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli, and Roberto Massari, share a strongly anti-Stalinist perspective, contributing to a more complete and critical reflection on her life experience. The decision to give voice to various eminent non-Italian scholars was aimed at placing Tina's story in an international context. Such a selection seeks to highlight, in addition to the talented artist and photographer, the woman who lived intensely and in a contradictory manner through the great transformations of her time.

The anthology, with its unpublished contributions and in-depth focus on the political dimension, aims to be a tribute to the discovery or rediscovery of an extraordinary woman, whose legacy speaks to us of the past, in large part of the present, and, why not, perhaps even of our future...

(September 2024)



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