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lunedì 29 luglio 2024

IL MONDO FRENETICO DEI SOCIAL MEDIA

di Laris Massari* 


Nel momento in cui scrivo, molte cose staranno già cambiando, perché il sistema dei social media - come di tutti i programmi per computer e per smartphone - si alimenta di «aggiornamenti». Senza tali aggiornamenti, il sistema alla lunga diventerebbe obsoleto e nessuno ne vorrebbe più usufruire. 

Immergiamoci nel bacino degli attuali social media e partiamo dal più noto di essi: Facebook. Questo prese vita nel lontano 2004 (l’anno in cui nascevo anch’io), per iniziativa di Mark Zuckerberg [n. 1984], Eduardo Saverin [n. 1982], Chistopher Hughes [n. 1983], Andrew McCollum [n. 1983], Dustin A. Moskovitz [n. 1984] - poi divenuti tutti affermati imprenditori. Ma da alcuni anni Fb non vive più di vita propria e ai giovani piace sempre di meno. Certo, è ancora molto diffuso tra le persone di una certa fascia d’età - i non adolescenti, i cosiddetti boomer1 - ma appunto si tratta di un social medium ormai «vecchio». È una delle ragioni per cui il signor «Zuck» con la sua azienda si è dovuto impadronire dei principali concorrenti: chi già fa uso di Instagram e Whatsapp avrà notato che all’apertura di queste applicazioni (programmi per smartphone) compariva la scritta «From Facebook», poi «From Meta» - ultimo fallimentare progetto di aggiornamento.

Il fatto è che i nativi digitali (new generation, gen z2 ecc.) sono maggiormente attratti da quei social che permettono di visualizzare il più alto numero di immagini, nel minor tempo possibile, con il più basso livello d’attenzione. A ciò è dovuto il grande successo di Instagram (Ig), un social medium in cui la condivisione di sole immagini e video, con poco o niente testo, la fa da padrona. Immagini e video che le persone possono «postare» sui propri profili social sotto forma di post, o condividere (col mondo o con una ristretta cerchia d’amici) per una sola giornata tramite le cosiddette «storie» (dall’inglese stories). Così sarebbe possibile pubblicare giorno per giorno la storia della propria vita, ben filtrata, tramite le storie di Ig. 

E non c’è bisogno di essere influencer per fare un cosa del genere. Gli influencer, invece, diventano tali quando, a interessarsi di ciò che mostrano della propria vita, sono un numero a volte spaventoso di persone - anzi di seguaci, cioè di follower. Oppure quando personaggi già famosi si creano un proprio profilo. Così il social medium può diventare un luogo di lavoro, nonché in effetti una fiera delle pubblicità: ed è grazie agli sponsor che i più influenti guadagnano ingenti somme di denaro. Condividendo anche i momenti più intimi della propria vita, la persona famosa entra nelle vite dei follower come fosse un loro amico caro, e quindi non c’è da meravigliarsi se poi qualunque prodotto essa pubblicizzi abbia un’alta probabilità di essere acquistato.

Il bello è che i follower, a meno che non siano prede completamente alienate del meccanismo, sanno benissimo come esso funziona, ma, anziché indignarsi, aspirano a diventare essi stessi degli influencer (che possono essere a loro volta follower di qualcun altro). Questo è un esempio della famigerata «democrazia» del Web, giacché a ogni singolo utente è potenzialmente concesso di diventare influente, quindi famoso e ricco, senza possedere grandi qualità umane di alcun tipo.

Qui entra in gioco il celebre «algoritmo», che favorisce chi pubblica contenuti che siano più in linea con le mode - con i trend. Non solo: l’algoritmo fa anche in modo di captare gli interessi di un utente per potergli poi riproporre contenuti e soprattutto prodotti in linea con essi: un fenomeno che vediamo con sempre maggiore frequenza e un po’ dappertutto nel mare di Internet.

Come se non bastasse, ormai se non si paga la versione premium di uno qualsiasi di questi social media, alla pubblicità «di sottofondo» si aggiunge la pubblicità vera e propria tra un post e l’altro, rendendo a confronto gli spot pubblicitari televisivi pura normalità. 

La maggior parte delle app tende al modello di Fb e Ig. Per esempio, a Whatsapp (messagistica istantanea) e a YouTube (piattaforma di video di media e lunga durata) da un po’ di tempo è stata aggiunta la funzione di pubblicare le storie giornaliere. Le stesse Fb e Ig prendono spunto da altri social e viceversa, in un continuo aggiornamento per accaparrarsi il maggior numero di utenti. Un social di recente creazione, di nome BeReal, pretende di distinguersi dagli altri perché chiede agli utenti di pubblicare foto in certe ore della giornata, che li ritraggano in qualunque frangente essi si trovino, affinché costoro non possano «mentire» sulla loro reale condizione. Lo slogan paradossale è: Your Friends for Real

Simile a Ig è la poco più recente, nonché principale concorrente, Snapchat (originaria di Stanford, a differenza della Fb di Harvard). La caratteristica principale di Snapchat è consentire agli utenti della propria rete di inviare messaggi di testo, foto e video visualizzabili solo per 24 ore. L’app permette inoltre la condivisione della geolocalizzazione al proprio gruppo di amici. Mi è capitato di vedere utenti della mia età all’opera con quest’app - non molto diffusa in Italia quanto all’estero - inviare a grande velocità un’immagine del proprio volto (un selfie per capirci) a una parte della propria lista di contatti. Probabilmente con la stessa velocità con cui l’immagine è inviata, l’immagine sarà vista dal ricevente, che avrà troppe pseudocorrispondenze in corso per poter dare ad alcuna la giusta importanza. 

Merita un discorso a parte il fenomeno di TikTok: app cinese del 2016, derivata di musical.ly, attraverso cui gli utenti (detti TikToker) possono creare brevi videoclip di durata variabile (dai 15 ai 600 secondi) ed eventualmente modificare la velocità di riproduzione, aggiungendo ai propri filtri, effetti particolari e suoni. Evoluzione (o involuzione) dei social precedenti, TikTok ha abolito ogni forma statica di immagine o didascalia, per lasciare spazio solo a video brevi. L’app ha spopolato, tra i giovani e i giovanissimi, ma non solo loro, con più di un miliardo di utenti nel mondo. Si tratta di un ennesimo social «mangia-vita», che tiene le persone attaccate al minischermo per ore e ore, potenzialmente per l’intera giornata, a vedere i video di altra gente. Stiamo parlando di contenuti quali balletti, gag (o meglio, dire meme3), ricette di cucina e chi più ne ha più ne metta.

Ovviamente tra una scemenza e l’altra ci scappa qualche video serio che perde qualsiasi credibilità in mezzo al mucchio. Si sente in giro parlare di «trend di TikTok» che tutti ripetono - a voce o con gesti e balletti - come fossero le battute di Fantozzi, per poi dimenticarsene in breve, appena sopraggiungono nuovi trend.

Basti pensare al personaggio di Khaby Lame [n. 2000] (un vero e proprio trendsetter), senegalese naturalizzato italiano, il quale, reagendo a video ridicoli di altri utenti, con altrettanta ridicolezza ha raggiunto al momento [febbraio 2024] 160 milioni di follower su TikTok e 80 milioni su Ig: cifre da capogiro. È divenuto il TikToker più seguìto al mondo, che abbiamo visto sfilare sul red carpet degli Oscar e stringere la mano a star di Hollywood. Primato italiano... 

Si provi a immaginare cosa significhi informarsi in un tale caos. Ma purtroppo i social sono il canale d’informazione preferito da noi giovani e anche da una gran quantità di adulti. A tale riguardo, devo ringraziare mio padre per avermi salvato, avviandomi alla lettura quotidiana del giornale, ormai da alcuni anni. La lettura del giornale - meglio se cartaceo - equivale alla scoperta di un mondo: quello reale in cui viviamo. È una sorta di rituale che richiede il suo tempo, meno di quanto pigramente si creda, di certo meno del tempo dedicato normalmente al mondo virtuale. Ed è una lettura a tutto tondo, che spazia dalla politica nazionale all’internazionale, dalle cronache alla cultura. Quest’ultima è una parte fondamentale e ad alto impatto educativo. Stiamo parlando comunque di una gigantesca acquisizione di conoscenze che si perdono inevitabilmente nella rimanipolazione confusa delle frenetiche e approssimative «informazioni» sui social.

Per ovvie ragioni, sono i politici tra coloro che più utilizzano i social - e non parlo solo del più comune Twitter (ora X di Elon Musk [n. 1971]), ma anche tutti gli altri. Si ricordi la campagna politica di Silvio Berlusconi [1936-2023] su TikTok prima della sua dipartita (celebrata con un vergognoso e mediatico funerale di Stato). 

Tra i vari cambiamenti ai quali stiamo assistendo vi è la sempre più presente Intelligenza artificiale (Ai), che si sta cercando di integrare negli smartphone e nei social media. Primi effetti collaterali sono stati le immagini di falsi avvenimenti e i profili finti di belle donne create con l’Ai, che hanno comunque raggiunto centinaia di migliaia o milioni di follower. 

Tutto ciò sarà ancor più rivoluzionato dall’avvento dei nuovi VisionPro di Apple: degli occhialioni che permettono praticamente di vivere dentro il proprio smartphone, ma allo stesso tempo di non perdere del tutto la percezione dell’ambiente reale. Sono già state avvistate persone aggirarsi per le città o addirittura al volante indossando questi occhialoni. Nel futuro l’umanità ne vedrà delle belle... 

Riflettendo su quanto detto, ci si deve porre una prima domanda: come può tutto ciò essere di qualche giovamento per la specie umana?

E, seconda domanda, mentre molti adulti si rincretiniscono, cosa avviene nelle menti dei giovani che nascono o arrivano a disastro inoltrato? Questo perché le nuove generazioni, prive dei necessari e adeguati strumenti teorici, sono le prime a essere inghiottite dal vortice informatico. Saranno quindi (e già lo sono) più facilmente manipolabili e influenzabili da parte delle linee di pensiero imposte dal social di turno. Non si conosceranno più alternative al mondo virtuale, destinato a diventare il nuovo habitat «sociale» umano.

Noi essere umani, però, non siamo programmati per vivere nei programmi (nelle app ecc.): siamo invece biologicamente predisposti per far sì che il nostro patrimonio genetico ci sopravviva nelle generazioni future e nell’unico mondo in cui ci siamo evoluti. Evoluzione coadiuvata proprio dai mezzi ideati dalla mente umana per facilitarci la vita, non per negarcela. La semplificazione del vivere quotidiano, portata all’estremo dallo sviluppo informatico (foss’anche di effettiva utilità), rischia d’introdurre complicazioni nuove e spesso ingestibili. Se i mezzi arrivassero ad avere la meglio sui propri creatori, del fine congenito si perderebbe traccia.

La mia conclusione provvisoria - come lo è il livello raggiunto dalla tecnologia informatica - è che la ricerca di risposte sembrerebbe portare solo a prospettive tra le più catastrofiche. Resta il fatto però che, benché io abbia fatto esperienza del mondo social in una fase più «acerba» della mia vita, sono poi riuscito a tirarmene via (del tutto o quasi), con occhio assai critico o forse con qualche effetto collaterale indesiderato. Ma proprio perché ne sono stato vittima, faccio ora di tutto per mettere me e altri al riparo. Non so quanti stiano facendo lo stesso, ma si tratterà certo di minoranze che, libere dal mondo frenetico dei social, sentono necessario l’impegno per la salvaguardia del nostro mondo reale.


NOTE


* Il testo è apparso come appendice al libro di Roberto Massari, Masse ribelli e protagonismo digitale, Bolsena 2024, pp. 215-22.

1 È la forma abbreviata di baby boomer, utilizzata comunemente con riferimento al boom demografico del secondo dopoguerra. Il termine dovrebbe indicare in genere i nati in Europa e negli Usa tra il 1946 e il 1964, ma è diventato sinonimo - ironico o alquanto spregiativo - di persone nate negli anni del boom economico, caratterizzate da modi di pensare superati e conservatori, e soprattutto inadeguate per l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche.

2 Nel linguaggio giornalistico si riferisce alla generazione dei nativi digitali, nati tra il 1997 e il 2012 (come per es. il sottoscritto).

3 I memi digitali sono contenuti virali in grado di monopolizzare l’attenzione degli utenti sul Web. Un video, un disegno, una foto - se è massima la loro «replicabilità», che dipende dalla capacità di suscitare un’emozione - possono diventare «meme». Il termine è stato coniato dal biologo Richard Dawkins [n. 1941], in The selfish gene (1976) (Il gene egoista, Mondadori 1976) per indicare un’entità di informazione replicabile.




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martedì 23 luglio 2024

UN ACCORDO SINDACALE SPECIALE (senza dare al padrone nulla in cambio)

di Andrea Furlan


Caro Roberto, di questi tempi nei quali assistiamo ad arretramenti importanti sul piano dei diritti dei lavoratori, c'è anche posto per una buona notizia: di un accordo sindacale che sono riuscito a chiudere che stabilisce una conquista sindacale importante per i lavoratori che rappresento in qualità di RSA della Filcams-Cgil nel mio luogo di lavoro che, come tu ben conosci, è la struttura alberghiera denominata Le Meridien Visconti Rome, ed è sita dietro piazza Cavour a Roma.

Essendo stati esternalizzati nel 2012, avendo anche effettuate all'epoca diverse ore di sciopero per impedire all'azienda di venderci ad un'altra società, riuscimmo a fare un accordo sindacale che almeno leniva la sconfitta subita, facendo mantenere ai lavoratori che dovettero passare alle dipendenze del nuovo soggetto appaltatore, le stesse condizioni economiche e normative preesistenti, scatti di anzianità maturati, applicazione dello stesso CCNL Turismo Federalberghi, accordo di secondo livello (C.I.T), superminimi contrattuali, buoni pasto.

Ma riuscimmo a fare anche di più: come contropartita dell'esternalizzazione subita, strappammo al committente, la struttura alberghiera che ci aveva venduto, di continuare a maturare gli scatti di anzianità in numero maggiore rispetto a quelli complessivi previsti dal CCNL Turismo Federalberghi, sei complessivi da maturare uno ogni tre anni di anzianità, però dovemmo sottostare alla richiesta della controparte di rendere assorbibili dai futuri rinnovi contrattuali gli scatti maturati e maturandi oltre il sesto scatto maturato che venivano inquadrati in un superminimo assorbibile.

Pertanto il pericolo di vedere riassorbiti gli importi aggiuntivi derivanti dalla maturazione degli scatti di anzianità dal 6 scatto maturato in poi, dai rinnovi contrattuali, è sempre stato dietro l'angolo, soprattutto per chi come i lavoratori in questione, lavorano all'interno di una dinamica di cambio appalto, però, come ti dicevo, questa volta mi si è presentata un'occasione importante, infatti ragionando con la società Puliservice, che fino al 17 Giugno 2024 aveva la gestione dell'appalto, con loro siamo riusciti a strutturare un accordo che prevede la trasformazione dei superminimi assorbibili in non assorbibili, in più abbiamo concordato l'aumento del buono pasto migliorando l'importo da 5,29 a 7 euro.

L'accordo in questione è storico per il settore, soprattutto per quanto concerne la trasformazione degli importi economici da assorbibili in non assorbibili, perché non solo ai lavoratori non potranno essere più tolti quegli importi, ma a questi importi, continueranno ad aggiungersi gli scatti di anzianità maturandi, quindi i lavoratori della struttura Le Meridien Visconti Rome, che lavorano in regime di appalto nella struttura alberghiera, avranno la possibilità di maturare fino a un numero massimo di dodici scatti di anzianità cadauno, ovvero di raddoppiare l'importo economico da 180 euro, comprensivo di numero 6 scatti di anzianità previsti come massimale dal CCNL del Turismo Federalberghi, a 12 scatti per un totale di euro 360 con conseguenziale aumento, in proporzione, di tutti gli istituti contrattuali fissi: tredicesima mensilità, quattordicesima mensilità, TFR, paga oraria.

L'accordo non contiene nessun'altra voce, si è limitato, e questo non è poco, a consentire un miglioramento delle condizioni dei lavoratori senza dare al datore di lavoro nulla in cambio.



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giovedì 18 luglio 2024

L’ANTISEMITISMO ISLAMICO PRIMA E DOPO IL POGROM DEL 7 OTTOBRE

di Roberto Sinigaglia


Caro Roberto,

ti segnalo un contributo molto importante per la comprensione del Medio Oriente da parte di Roberto Sinigaglia, che fu mio docente di storia tanto tempo fa, e che oggi è Presidente del Centro Internazionale di Studi Italiani (CISI) dell’Università di Genova.

Si compone di due parti. La prima è una sintetica descrizione dell’attuale conflitto a Gaza, ed è tratta dal sito dell’Associazione Italia-Israele, dov’è uscita a inizio luglio.

Essa funge da introduzione al suo saggio «Gaza e dintorni. Dipanare le matasse arruffate dalla propaganda», apparso questa primavera sulla rivista online European Journal of Psychoanalysis.

Mi rendo conto che ambedue i testi non sono pubblicazioni originali, cioè non sono state prodotte in area rossoutopica né per una discussione sul blog di UR; ma spero che vorrai fare un’eccezione perché penso che i lettori di Utopia Rossa potranno apprezzare un lavoro così stimolante, dove la cultura storica e giuridica è messa al servizio della ricerca della verità e della giustizia per tutti gli abitanti della regione.

La descrizione che fa Sinigaglia degli eventi successivi alla Prima guerra mondiale e del valore dei vari trattati e accordi dei vincitori (Gran Bretagna e Francia) nella spartizione delle terre dell’Impero ottomano nel determinare la nascita di vari Stati indipendenti - dalla Giordania all’Iraq, dal Libano a Israele, è fondamentale per inquadrare la situazione odierna. 

Buona lettura e buon lavoro!

Luciano [Dondero]


Caro Luciano,

ti ringrazio per la segnalazione, che è certamente preziosa e di estrema utilità. Proprio per questo faremo un’eccezione alla norma che regola la pubblicazione di materiali in UR. Credo che l’autore - studioso prestigioso - sia riuscito a sintetizzare ma anche ad analizzare nella sua complessità, l’intera problematica legata al diritto alla sopravvivenza dello Stato d’Israele e al ruolo nefando svolto dagli Stati arabi, per non parlare del più recente pogrom di Hamas. A differenza di tanti altri analisti, Sinigaglia non dimentica di sottolineare che Hamas è l’organizzazione governativa di una Gaza che, prima del pogrom, era totalmente autonoma. Ciò significa che gli abitanti di Gaza uccisi finora sono vittime di guerra e di una guerra scatenata dal loro governo. In questo simili ai tedeschi bombardati a Dresda, ai giapponesi di Hiroshima, ai romani del quartiere San Lorenzo.  E inoltre ha il grande merito di fare in più punti il parallelo con l’aggressione russa all’Ucraina e alle stragi del popolo ucraino, che non suscitano la protesta indiganata di quella che io chiamo normalmente la «sinistra reazionaria». Chiunque rimanga sulle proprie posizioni antisemitiche e antisraeliane, dopo aver letto questo articolo, può farlo solo rinunciando all’uso della ragione. Ma l’antisemita non avrà mai il coraggio di leggere per intero o in parte un materiale così ben argomentato e storicamente documentato.

r.m.  


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UN’INTRODUZIONE

Ringrazio Carlo Panella che, coi suoi lavori, mi permette di inquadrare il violento scontro nel Vicino oriente in un contesto più ampio, in cui trova spazio il forte antisemitismo dell’islamismo radicale. Attingo generosamente al suo ultimo libro, Il libro nero di Hamas. L’antisemitismo islamico e il miraggio dei due Stati (Lindau, 2024) per proporvi queste poche paginette come introduzione al mio saggio «Gaza e dintorni. Dipanare le matasse arruffate dalla propaganda», apparso questa primavera sulla rivista  European Journal of Psychoanalysis.

Al momento ci si muove, a mio avviso, in un abbaglio colossale nella trattazione degli avvenimenti. I due «partiti» che si sono venuti creando, partono entrambe da una premessa sbagliata che poi chiarirò: si schierano, il primo, in un appassionato appoggio ai Palestinesi, se non, addirittura, ad Hamas, insistendo sul presunto genocidio che si starebbe consumando a Gaza. L’altro partito, pur condannando – talvolta, però, in sordina – l’eccidio bestiale del 7 ottobre, effettuato ai danni di civili ebrei inermi, e riconoscendo il diritto di Israele a difendersi, ritiene tuttavia eccessiva, non proporzionale (cosa significa?), la risposta di Israele.  Disgiunge, nel giudizio, i cattivi terroristi di Hamas dai poveri abitanti di Gaza. Presunti innocenti. Un sondaggio condotto da Arab World for Research and Development parla di un appoggio entusiasta del 63,6 % dei cittadini di Gaza all’assalto del 7 ottobre.[1] Come ho tentato di dimostrare, nel saggio sopracitato che seguirà questa breve introduzione, è fondamentale chiarire e dichiarare che l’attacco del 7 ottobre ha rappresentato l’atto iniziale della guerra scatenata da Hamas, che governa Gaza dal 2007, contro Israele. E come in tutte le guerre anche la popolazione civile viene a essere coinvolta. La questione da appurare è se i cittadini di Gaza, caduti negli scontri, abbiano rappresentato un obiettivo mirato dell’esercito israeliano o siano stati vittime accidentali.[2] Infiniti, nel passato, i casi in cui l’attacco armato di un esercito ha avuto come obiettivo primario quello di infierire sulla popolazione per fiaccare la resistenza del nemico. Vedi i bombardamenti sulla Germania (il più devastante quello anglo-americano del febbraio 1945 su Dresda), o quelli americani in Vietnam e soprattutto su Hiroshima e Nagasaki.[3] Per Gaza, al di là delle manifestazioni a livello mondiale pressoché quotidiane per condannare Israele (ma gli ostaggi ce li siamo dimenticati?),[4] qualcuno ha potuto dimostrare che ci siano o ci siano stati attacchi intenzionali contro la popolazione?[5]

martedì 9 luglio 2024

I NOSTRI FRATELLI E SORELLE CURDI/E, FIGLI/E DI UN DIO MINORE?

di Piero Bernocchi


Sarebbe auspicabile che, sulla base del drammatico comunicato/appello del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) che trovate di seguito, tutti/e coloro che sono in mobilitazione permanente per i palestinesi e in odio per Israele (certo, comprensibile a causa del criminale agire di Netanyahu, ma che buona parte di loro vorrebbe vedere spazzata via "dal fiume al mare", altro che "due popoli, due stati") dedicassero almeno un decimo del loro impegno a favore dei nostri fratelli e sorelle curdi/e, per i quali da sempre i COBAS si sono impegnati in tutte le forme e modi. 

Ma temo che non succederà, visto che il boia Erdogan e l'iper nazionalismo turco, che ha dietro di sè secoli e secoli di imperialismo feroce e bellicismo atavico, non suscita, pare, lo stesso sdegno del sionismo, che pure è l'espressione della volontà ebraica di avere una patria dopo quasi due millenni di persecuzioni e che, a differenza dell'ipernazionalismo turco, ha non più di un secolo di storia. Desiderio di avere una patria ove non essere perseguitati (esperienza che i turchi non hanno quasi mai provato in giro per il mondo) che per tanti israeliani/e e per tanti/e ebrei/e è però nel contempo ostile agli orrori di Netanyahu e dell'estrema destra israeliana i quali, senza i mostruosi crimini di Hamas il 7 ottobre, assai probabilmente sarebbero stati messi in condizioni di non nuocere per via democratica e istituzionale.

E questa incomprensibile differenza di impegno e di passione si verifica malgrado i curdi/e siano l'espressione più luminosa di una rivoluzione politica, civile, sociale, morale e culturale,  che li rende la punta mondiale più avanzata di un'idea completa e ricca di democrazia, multiculturalismo, tolleranza, femminismo ed ecologismo, e un riferimento ideologico, politico e culturale senza eguali nel mondo, mentre i palestinesi si sono dati (o sopportano) una leadership orrenda, ultrareazionaria, ultrasessista, omofoba, dittatoriale e repressiva di qualsiasi cosa fuoriesca dall'islamismo jihadista. Quell'Hamas a cui si inneggia in tanti cortei e università, nonostante usi i palestinesi come carne da macello pur di far avanzare la propria "guerra santa" contro Israele, ebrei e "infedeli vari". Avendo Hamas peraltro alle spalle, come finanziatore e sponsor, l'orripilante Iran dei boia iraniani, satrapi e dittatori simil-Erdogan.

E ciò malgrado, temo che per i curdi non verranno "nel movimento" spese energie manco pari a un decimo di quelle viste finora per la Palestina di Hamas, non verrà occupata nessuna università in loro nome e difesa, nè ci si batterà per imporre l'interruzione dei rapporti economici o culturali con la Turchia e l'Iran, o il boicottaggio dei loro prodotti come si fa per Israele. Però, che questa mia lettura risulti, come spero, troppo pessimistica o che fotografi purtroppo la realtà, almeno il nostro impegno come COBAS dovrà essere fin da subito ancor più intenso e diffuso di quanto già fatto da noi negli ultimi anni. 

(p.b.)

 

 La guerra della Turchia contro i curdi nel Nord Iraq

(Comunicato-stampa del Congresso Nazionale del Kurdistan)

Mentre i pogrom contro i rifugiati siriani in Turchia e l'esibizione di saluti fascisti del lupo da parte del giocatore della nazionale turca Demiral e di migliaia di tifosi turchi durante i Campionati europei di calcio - sostenuti dall'esercito turco e dai suoi mercenari - hanno fatto notizia in tutto il mondo, l'occupazione della Turchia della regione del Kurdistan in Iraq continua costantemente.Dal 15 giugno, la Turchia ha iniziato una nuova operazione militare di terra nella Regione del Kurdistan dell'Iraq (KRI). Da allora centinaia di veicoli blindati, carri armati e truppe turche sono stati dispiegati, istituendo posti di blocco, effettuando controlli sull'identità dei cittadini curdi e tentando di evacuare i villaggi nella regione del Kurdistan iracheno. A causa dei bombardamenti in corso sono scoppiati incendi in vaste aree. L'invasione segue la visita del presidente Recep Tayyip Erdoğan a Baghdad ed Erbil nell'aprile 2024. Erdoğan ha ottenuto il via libera all'invasione, in cambio di lucrose concessioni su petrolio, infrastrutture e acqua date al governo federale iracheno e al KRG.

Negli ultimi giorni, l'afflusso di soldati e veicoli blindati nelle città di Duhok ed Erbil, in collaborazione con il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), indica una significativa presenza militare in luoghi strategici. Questo aumenta il timore di un'occupazione strisciante e permanente della regione da parte della Turchia, che porterà a una guerra regionale a lungo termine, con conseguenze globali.Le recenti azioni militari turche nel Kurdistan iracheno, comprese le operazioni di terra e l'istituzione di posti di blocco e basi militari, sono state monitorate da vicino dai Community Peacemaker Teams (CPT) con sede negli Stati Uniti. Le operazioni hanno provocato lo sfollamento di civili, la distruzione di terreni agricoli e il danneggiamento di infrastrutture civili, tra cui una scuola e un monastero cristiano.Secondo il CPT, tra gennaio e luglio del 2024, la Turchia ha condotto 1076 attacchi nel Kurdistan iracheno. Dall'inizio della nuova campagna militare, solo 238 bombardamenti, principalmente nel governatorato di Duhok.

Il CPT è profondamente preoccupato per l'escalation delle operazioni militari turche nel Kurdistan iracheno e per l'impatto sui civili. L'organizzazione mette in guardia da un potenziale sfollamento di massa se le operazioni dovessero persistere. Venerdì sono scoppiati intensi scontri tra la guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e le Forze Armate turche (Türk Silahli Kuvvetleri -TSK) nel distretto di Amedi, a Duhok nella Regione del Kurdistan in Iraq (KRI), come riportato dall'agenzia indipendente curda Peregraf. Le forze turche hanno condotto attacchi aerei sul villaggio di Guherzê, causando danni significativi a numerose case e veicoli, secondo Roj News.Nel frattempo, Vedant Patel, portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha indirettamente segnalato l'approvazione degli Stati Uniti per l'occupazione turca di parti del KRI. Mucaşeh Tamimi, un osservatore politico che ha parlato con Roj News, ha sottolineato la vulnerabilità della difesa irachena contro gli assalti della Turchia, ha evidenziato l'influenza della Turchia sull'approvvigionamento idrico dell'Iraq, che causa siccità, e ha discusso l'impatto economico dei prodotti turchi in Iraq, minando gli sforzi di controllo delle frontiere.

Una dichiarazione dell'Unione delle comunità del Kurdistan e un portavoce dell'Unione patriottica del Kurdistan suggeriscono che la Turchia ha arruolato combattenti di Al Nusra e di altri gruppi jihadisti per sostenere le sue operazioni.Il dispiegamento dell'esercito turco nel Kurdistan meridionale continua, con recenti invii ad Amadiya nella notte di sabato. Gli abitanti della regione hanno espresso il loro disagio per i continui attacchi e hanno criticato la mancanza di risposte da parte dei partiti politici e del governo.In conclusione, il Congresso nazionale del Kurdistan esorta la comunità internazionale ad affrontare l'aggressione della Turchia contro i curdi e il suo disprezzo per il diritto internazionale e la sovranità della Regione del Kurdistan e dell'Iraq. La mancanza di risposta da parte dei media e delle istituzioni globali alle azioni militari e alle violazioni dei diritti umani della Turchia è preoccupante.

È fondamentale un intervento immediato da parte del governo iracheno, degli Stati Uniti, dell'UE, delle Nazioni Unite e del Consiglio d'Europa per fermare l'escalation di violenza. Per ulteriori informazioni e supporto per la copertura dal campo, contattateci:

press@knk-kurdistan.com


Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)


08.07.2024



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venerdì 5 luglio 2024

UN ARTICOLO SULL’IMPERIALISMO ARABO SU CUI RIFLETTERE

da Luciano Dondero


BILINGUE: ITALIANO - ENGLISH


Caro Roberto,

il sito inglese Point of No Returnhttps://www.jewishrefugees.org.uk ) è dedicato a un gruppo di ebrei fin troppo dimenticati, ovvero i rifugiati dai paesi arabi e islamici del Medio Oriente.

Qualche giorno fa hanno pubblicato un articolo molto interessante di Olga Kirschbaum-Shirazki intitolato “Il Medio Oriente ha bisogno di respingere l’imperialismo arabo per raggiungere la pace”.

Fra gli elementi più interessanti dell’articolo della Kirschbaum-Shirazki, cofondatrice ed editrice della Tel Aviv Review of Books, mi pare ci siano due elementi: intanto una riflessione di fondo sulle nozioni di impero e nazione viste in un quadro europeo e mediorientale; e poi il rifiuto della nozione che gli arabi (e l’Islam) siano i soli legittimi, e antichi, abitanti del Medio Oriente.

In questo, come sottolinei tu, si nota: “la profonda cultura (storico-politica-geopolitica)” dell’autrice, e la sua capacità di porre “la questione curda nell’epicentro dell’aggressività di tre correnti imperiali: turca, iraniana e araba […] e che nelle mire imperiali turche, iraniane e arabe si veda oggi il fattore di maggior pericolo in area mediorientale”.

Condivido pienamente un’altra considerazione che fai quando dici che l’autrice: «sottolinea un “piccolo” dettaglio che sfugge a tutti coloro che affermano un’assenza di continuità degli ebrei dalla loro terra d'origine: e cioè che per quasi due millenni gli ebrei sono stati esuli perché perseguitati, ovunque, e non in conseguenza di esodi dovuti a guerre. In realtà agli inizi vi fu un primo grande esodo (Guerra giudaica del 66-70), ma poi poco a poco presero il via le persecuzioni che, come sappiamo ancora continuano».

E ne consegue che, se si vuole veramente aprire una prospettiva di pace per la regione mediorientale, occorre una iniziativa di portata internazionale per frenare le ambizioni imperiali delle tre diverse componenti islamiche. Al di là dei tentativi di attori non-statuali impegnati alla rinascita del “Califfato” (Al-Qaeda, Isis/Daesh e una miriade di altri operatori più o meno velleitari) sono veri e propri Stati come l’Iran, la Turchia e alcuni Paesi arabi che incorporano in sé intenzioni molto pericolose.

Il fatto che alcuni fra quegli Stati arabi siano orientati oggi a un’alleanza con Israele e con l’Occidente, in un’ottica volta a contrastare le mire degli ayatollah di Teheran (vedi la vicenda degli “Accordi di Abramo”), potrebbe contribuire alla ricerca di una soluzione. Ma questo non significa dimenticarsi che per decenni l’Egitto e l’Arabia Saudita sono stati in prima fila nei vani tentativi di distruggere Israele e nel diffondere in tutta Europa l’ideologia politica dell’Islam più aggressivo.

Penso che questo articolo possa essere molto utile per la riflessione di chi segue Utopia Rossa. Non da ultimo per la critica netta allo slogan “Due popoli, due Stati”.

Buon lavoro,

Luciano



Il Medio Oriente ha bisogno di respingere [ROLL BACK] l’imperialismo arabo per raggiungere la pace

 di Olga Kirschbaum-Shirazki


Nella nostra epoca di aspri dibattiti sul nazionalismo, vale la pena prendersi un momento per considerare l’origine della creazione di piccoli Stati nell’Europa continentale dopo la Prima guerra mondiale. In questo primo quarto di secolo del secondo millennio, gli Stati nazionali europei hanno dimostrato di essere più stabili e governabili, oltre che più democratici, rispetto ad altre forme politiche. Gli Stati di maggior successo del dopoguerra – se la misura è la prosperità dei loro cittadini e la trasparenza dei loro governi – sono gli Stati nazionali della Scandinavia con le loro minoranze Sami e Inuit, ora semiautonome. Il grande risultato dell’Unione Europea non è la sua unità e le sue dubbie strutture politiche con la loro mancanza di trasparenza e responsabilità, ma piuttosto la sovranità nazionale dei popoli d’Europa, uniti da lingua, cultura ed etnia, che sono i suoi membri costituenti in un continente dove un tempo governavano gli imperi.

Inoltre, gli Stati nazionali sono stati le unità di maggior successo nel mantenere il concetto di bene pubblico e nel limitare le società multinazionali e i monopoli statali. In effetti, lo Stato e le sue leggi sono probabilmente l’unica cosa che può garantire con successo che i lavoratori e i locali non subiscano orribili abusi. Le multinazionali prosperano soprattutto negli Stati in cui le rimanenti gerarchie razziali imperiali persistono nel mandare in frantumi ogni nozione di bene comune: questa è la storia di tutte le ex colonie di insediamento nelle Americhe, con la possibile eccezione dell’Uruguay, un piccolo paese che è in gran parte un amalgama fra gli immigrati spagnoli e italiani con la minuscola popolazione indigena del XIX secolo, decimata dalle malattie dopo la colonizzazione europea e una guerra genocida. In molti casi queste gerarchie fanno ancora parte dell’assetto giuridico del Paese, soprattutto con l’abrogazione dei trattati con le Prime Nazioni. Tutti questi paesi, a vari livelli, hanno una sottoclasse radicalmente impoverita, spesso composta da popolazioni indigene e in alcuni casi dalla diaspora africana.

martedì 2 luglio 2024

La guerrilla peruana de la década de 1960: Su derrota y su memoria

por Jan Lust


El 9 de junio de 1965, el Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR) inició las acciones guerrilleras en el Perú en el departamento de Junin. El MIR se basó en el marxismo-leninismo. La CIA lo clasificaba como una organización con una inclinación “pro Castro, China comunista”. El propósito del MIR fue contribuir a la revolución democrática, antioligárquica y antiimperialista, que debía sentar la base para la construcción del socialismo en el Perú. El MIR era de la opinión de que la única manera para que el pueblo pudiera tomar el poder era a través de la construcción del ejército popular y el partido de la revolución peruana. Tres meses después, el Ejército de Liberación Nacional inició sus acciones en la provincia de La Mar en el departamento de Ayacucho con la toma de la hacienda Chapi.

El desarrollo del ELN ha pasado por tres fases. El primer período es desde la salida en 1961 de algunos peruanos a Cuba con el objetivo de prepararse para la lucha armada hasta la primera derrota del ELN en mayo de 1963 en la ciudad de Puerto Maldonado. El proceso de reestructuración que se inició y culminó posteriormente en la creación del frente guerrillero Javier Heraud, en el departamento de Ayacucho en septiembre 1965, fue la segunda etapa. La tercera fase comenzó después de la derrota de la guerrilla en diciembre de 1965. Este último periodo está centrado principalmente en el intento de crear un nuevo foco guerrillero en el departamento de Puno, y estaba en relación directa con la guerrilla boliviana dirigida por el Che Guevara en los años 1966 y 1967. La muerte del Che, el 9 de octubre de 1967, no implicó el final de los intentos peruanos para levantar una guerrilla. Fue un año después, cuando el general Juan Velasco hizo un golpe de estado, que la guerrilla empezó a desintegrarse. Las condiciones objetivas para una guerra de guerrillas fueron eliminadas.

En memoria al inicio de la gesta revolucionaria de los guerrilleros del ELN y del MIR, se presente este trabajo que pretende ser un análisis de las causas de la derrota de la guerrilla. Iniciando con una discusión sobre la cuestión si había condiciones objetivas y subjetivas para el comienzo de la guerra de guerrillas, se examina los errores político-militares y la fuerza de la represivas. Terminamos el artículo con palabras de recuerdo. 


¿Situación revolucionaria?

La clase dominante peruana no sufrió, ni antes ni durante los “años guerrilleros”, una crisis de existencia. La primera condición objetiva de Lenin para considerar una situación como revolucionaria no existió. Aunque Fernando Belaúnde (Acción Popular), Víctor Raúl Haya de la Torre (APRA) y Manuel Odría (Unión Nacional Odriista) representaban diferentes grupos de capitales y como consecuencia tenían posiciones políticas diferentes, la unidad política fue lo que finalmente dominó. Llama la atención, por lo tanto, la facilidad con que el gobierno pudo obtener el préstamo de bonos para financiar la guerra contra la guerrilla.