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mercoledì 26 aprile 2023

UN NOUVEL ÉLAN POUR LES SERVICES PUBLICS

Manif’ nationale a Lure (samedi 13 mai 2023)

par Michel Antony

 

Bonjour

Nous sommes 230 organisations nationales, régionales et locales signataires, quasiment du jamais vu

Notre objectif est primordial pour TOUS les habitants et TOUS les territoires

Nous subissons des pressions cumulées inadmissibles : inflation, bas salaires, destructions et réductions des services publics, crise énergétique et écologique, retraites...

Au moment où toutes les urgences de France se réduisent ou sont en difficultés graves, au moment où on annonce encore des dizaines de fermetures de maternités...

l'importance d'une conférence de presse nationale s'impose. La conférence de presse régionale de Besançon aura  lieu elle entre le 3 et le 5 mai

fraternellement Michel Antony pour le Comité de Vigilance du 70


Alors que la crise sanitaire a remis en évidence l’utilité de nos services publics, de la Sécurité sociale et l’engagement de leurs personnels, alors que chacun connaît leur importance pour la transition écologique, l’égalité femmes-hommes et pour faire face à la dégradation des conditions de vie et de travail de la jeunesse, le gouvernement intensifie le démantèlement des services publics, leur privatisation, la réduction et l’externalisation de leurs missions. Les victimes en sont les usagers et les personnels, c’est-à-dire l’ensemble de nos concitoyens.

domenica 23 aprile 2023

ITALIANI DI CRIMEA

di Giorgio Amico

[Voce tratta dall’edizione italiana  - a cura di R. Massari & M. Nobile - dell’abbecedario realizzato collettivamente dalle Brigate editoriali di solidarietà,  Ucraina dalla A alla Z, fresco di stampa e in arrivo in libreria, in vendita al prezzo politico di 7 €.]

La presenza italiana in Crimea è attestata dal 1204, quando  Venezia approfittò della conquista crociata di Costantinopoli per occupare i porti nel sud della penisola. Ai veneziani si sostituirono i genovesi e, dopo la caduta di Costantinopoli, l’Impero ottomano. Ma la presenza genovese non scomparve e una parte della popolazione trovò rifugio presso i tatari dell’entroterra.
Con le campagne di popolamento avviate durante il regno di Caterina II, vi fu un’ondata migratoria anche dall’Italia e un migliaio di coloni liguri, corsi, sardi e toscani si insediarono nella regione di Cherson. Fra il 1820-1870 giunsero nel territorio di Kerč migranti italiani provenienti soprattutto dalla Puglia, insieme con una migrazione più ristretta ma più qualificata - che si concentrò nella città di Odessa - composta da architetti, notai, medici, ingegneri e artisti, ma anche da esuli antiborbonici. Secondo dati ufficiali, nel 1897 gli Italiani sarebbero stati l’1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921; alcune fonti parlano di una minoranza variante da 3 a 5mila persone.
Negli anni dello stalinismo, con la collettivizzazione forzata delle campagne, anche gli italiani, per lo più proprietari di terre, furono obbligati a creare un kolchoz («Sacco e Vanzetti») e a sottostare alle campagne di «rieducazione socialista» organizzate da militanti comunisti rifugiatisi in Urss e di sicura fede staliniana. Fra questi Paolo Robotti e Giuliano Pajetta, che ne hanno parlato nei loro libri. Durante le «purghe» del 1933-37 molti di questi italiani, accusati di essere spie fasciste, furono arrestati e sparirono nell’inferno dei lager staliniani. (La tragedia degli italiani in Urss è stata ricostruita dettagliatamente da Dante Corneli, che trascorse 24 anni tra il Gulag e la Siberia e, tornato in Italia, denunciò nei suoi libri i crimini di Stalin e della dirigenza italiana comunista che ne fu complice. La sua insostituibile opera storica è ora tutta raccolta nella trilogia pubblicata da Massari editore nel 2017.)
Dopo la rottura del Patto di Stalin con Hitler gli italiani furono considerati potenziali agenti del nemico e nel 1942, dopo la riconquista della Crimea da parte dell’Armata rossa,  accusati di collaborazione coll’occupante nazista, anche gli italiani, come altre minoranze nazionali, furono deportati.
Il 29 gennaio 1942 l’intera comunità italiana di Crimea, compresi i rifugiati antifascisti stabilitisi a Kerč, venne radunata e inviata in carri bestiame nel Gulag siberiano (soprattutto verso il Kazakistan), potendo ognuno portare non più di 8 kg di bagaglio. Un’odissea di 8mila chilometri durata quasi due mesi in condizioni terribili, con temperature di oltre 30° sottozero, durante la quale la maggioranza dei bambini e dei vecchi morirono di malattia, fame e freddo. Le deportazioni continuarono fino a giugno del 1944.

Dante Corneli parla del dramma di oltre duemila italiani della Colonia agricola di Kerč. Una testimonianza confermata dalle stesse autorità sovietiche secondo cui solo durante il viaggio e il primo anno di deportazione morì un deportato su cinque. 
Nei lager la comunità italiana fu quasi annientata dalla fame, il freddo, le malattie e la durezza dei lavori forzati. Si calcola che i sopravvissuti, in totale, non furono più del 10 per cento dei deportati. Dopo il 1956 con la chiusura di gran parte dei lager, ciò che restava degli italiani di Crimea tornò a casa. Nel 1957 risultavano rientrati 460 esuli; ridottisi nel 1989 a 316 per lo più residenti a Kerč. Qui nel 2008 è stata costituita l’associazione «Cerkio» (Comunità degli emigrati in regione di Crimea, Italiani di origine) che tramanda l’uso della lingua italiana.
È una piccola minoranza che la russificazione forzata, imposta da Putin dopo l’occupazione della Crimea nel 2014, rischia di far scomparire definitivamente, benché le autorità russe abbiano votato un decreto di riabilitazione come minoranza perseguitata e deportata per motivi etnici.

• Dante Corneli, Ritorno dal Gulag, a cura di Andrea Furlan, Massari ed., Bolsena 2017.
• Dante Corneli, Italiani vittime di Togliatti e dello stalinismo, a cura di Antonella Marazzi, Massari ed., Bolsena 2017.
• Dante Corneli, Dal leninismo allo stalinismo, a cura di Roberto Massari, Massari ed., Bolsena 2017.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

venerdì 14 aprile 2023

BENALTRISMO [WHATABOUTISM]

di Laris Massari 


[Voce tratta dall’edizione italiana  - a cura di R. Massari & M. Nobile - dell’abbecedario realizzato collettivamente dalle Brigate editoriali di solidarietà,  Ucraina dalla A alla Z, fresco di stampa e in arrivo in libreria, in vendita al prezzo politico di 7 €.]

 

Dizionario Hoepli: «Tendenza a rimandare pretestuosamente la spiegazione di problemi contingenti a fumose cause di carattere più generale». L’equivalente in inglese è whataboutism.

Il fenomeno del benaltrismo, già emerso in àmbito giornalistico a partire dagli anni ’80, ai giorni nostri è ampiamente diffuso nelle discussioni riguardo alla guerra in Ucraina. Nello specifico, questo modo peculiare di eludere i problemi reali che si ha paura di affrontare, è comune alla stragrande maggioranza delle persone che non appoggiano la lotta difensiva ucraina, e che trovano di conseguenza complicato costruirsi un’opinione. Costoro sono soliti elencare minuziosamente tutte le colpe delle altre nazioni più o meno coinvolte nel conflitto, purché si eviti di analizzare le responsabilità più evidenti dell’invasore Putin. Anzi, sul banco degli imputati spesso viene messo addirittura il governo ucraino, dandoci così un primo paradossale esempio di benaltrismo.

Gli Stati Uniti, però, sono il bersaglio favorito dei nostri benaltristi. E dato che gli Usa di colpe per il passato ne hanno a bizzeffe, l’argomento principe del benaltrista di turno è: «E allora gli Usa…?» (what about the Usa?). Domanda retorica cui segue la «spiegazione»: «gli Stati Uniti (o la Germania o la Francia o l’Italia) hanno fatto ben altro».

A ciò segue una lista potenzialmente infinita di colpe dell’imperialismo, un’escalation nell’elencazione dei crimini di guerra e contro l’umanità (peraltro tutti ultranoti e universalmente riconosciuti come tali), anche perché, volendo, si potrebbe risalire alla nascita del capitalismo se non proprio alle origini dell’umanità. Mentre è facile prevedere che nel futuro l’odierno benaltrista, dovendo giustificare qualche altra aggressione imperialistica, includerà nel paniere anche gli attuali crimini di Putin contro l’umanità. Ciò gli servirà a deviare l’attenzione da qualche altro fatto grave che starà avvenendo in quel momento.

È evidente la natura psicopatologica del benaltrismo: si tratta in fondo di una forma molto primitiva di fuga dalla realtà (bisogno di voltare lo sguardo davanti alle sciagure altrui), coniugata con una narcisistica autocelebrazione: «io non me la bevo», «solo io conosco questi crimini precedenti degli Usa», «ben altro si nasconde dietro questo sostegno al popolo ucraino»... C’è il rischio inoltre del contagio, reso oggi molto più facile dalla circolazione delle fake-news in Rete.

Nota: Il benaltrismo non va confuso con l’analisi storica, seria e dettagliata, delle cause che hanno portato all’odierno conflitto in Ucraina. I due atteggiamenti non si assomigliano nemmeno alla lontana, facendo essi riferimento a motivazioni etiche e a strumenti teorici incompatibili tra loro.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

sabato 8 aprile 2023

AUTOCEFALIA ORTODOSSA UCRAINA

di Antonella Marazzi 

 [Voce tratta dall’edizione italiana  - a cura di R. Massari & M. Nobile - dell’abbecedario realizzato collettivamente dalle Brigate editoriali di solidarietà,  Ucraina dalla A alla Z, fresco di stampa e in arrivo in libreria, in vendita al prezzo politico di 7 €.]
    La Chiesa ortodossa autocefala (autonoma) ucraina, fino al 2018 era stata una delle tre maggiori Chiese ortodosse presenti in Ucraina. Era stata fondata per la prima volta nel 1921, poco dopo la ritrovata breve indipendenza successiva alla Rivoluzione del 1917. Dopo le vicissitudini politiche vissute sotto lo stalinismo, la Chiesa autocefala ortodossa ucraina (i cui vertici erano stati eliminati negli anni ’30) si ristabilì nel 1942 (in funzione della mobilitazione contro l’invasione nazista) e poi una terza volta nel 1989, poco prima del crollo dell’Unione Sovietica. 
    Essa è rimasta poi separata dalle altre due Chiese ortodosse esistenti in Ucraina fino al 2018, quando nel Concilio di riunificazione del 15 dicembre, la Chiesa ortodossa autocefala ucraina si è riunificata con la sua rivale Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kyiv e con alcuni metropoliti del Patriarcato di Mosca. Veniva fondata in tal modo la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, cui veniva riconosciuta l’autoacefalia, mentre il metropolita Epifanij (già vescovo del Patriarcato di Kyiv) veniva nominato nuovo metropolita di Kyiv e di tutta l’Ucraina. 
    Questa decisione è stata duramente contestata dalla Chiesa ortodossa russa che ha riconosciuto un’altra Chiesa ortodossa ucraina e quindi ha rotto col Patriarcato di Constantinopoli - il quale nel 2019 aveva riconosciuto le decisioni del Concilio del 2018 - dichiarando il suddetto Concilio illegale e la nuova Chiesa scismatica. Ma non è un caso che i veri inizi di questa crisi religiosa si possano far risalire all’occupazione russa della Crimea nel 2014 e alla sua successiva annessione da parte della Federazione Russa presieduta da Putin. 
    Come si può facilmente arguire, la storia delle Chiese ortodosse russa e ucraina è stata fortemente influenzata dalle vicende politiche della regione e dal costante tentativo da parte del Patriarcato di Mosca di imporre la propria egemonia a quello di Kyiv. Del metropolita moscovita Kirill, putiniano e guerrafondaio, si parla in altra parte dell'abbecedario. Qui va ricordato che l’oligarca ed ex presidente Petro Porošenko (in carica dal 2014 al 2019), filoatlantista e filoeuropeista, è stato uno strenuo difensore dell’autocefalia della nuova Chiesa ortodossa ucraina. 
 
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

martedì 4 aprile 2023

LIBRO NERO DI PUTIN

di Roberto Massari

 

[Voce tratta dall’edizione italiana  - a cura di R. Massari & M. Nobile - dell’abbecedario realizzato collettivamente dalle Brigate editoriali di solidarietà,  Ucraina dalla A alla Z, fresco di stampa e in arrivo in libreria, in vendita al prezzo politico di 7 €]


Il Libro nero di Putin (opera di vari autori e autrici, coordinato da Galia Ackerman e Stéphane Courtois) fornisce utili materiali di lavoro e importanti elementi storiografici per definire la natura dell’attuale regime moscovita. 

Fondamentale, per es., è la descrizione di come Putin riuscì a imporre un compromesso agli oligarchi plurimiliardari (in dollari) che sotto El’tsin si erano appropriati di imprese e settori dell’economia russa, influenzando direttamente le istituzioni politiche: essi poterono continuare a prosperare purché subordinati al potere politico. Il primo strato del nucleo di potere dell’élite di Putin è formato da ex colleghi e amici del Kgb, i cosiddetti siloviki (cиловики: i funzionari della sicurezza, spionaggio, forze armate). Questi, a loro volta, costituiscono un’altra frazione dell’oligarchia russa, il cui potere economico risiede nel controllo delle imprese statali, innanzitutto del settore dell’energia e del complesso militare-industriale.

Importante è anche tutta la parte sull’omofobia organica del regime putiniano che col passare degli anni, invece di attenuarsi, sta diventando sempre più esclusivista e integralista. Essa si avvia ad essere l’ideologia più antigay (anti-Glbt) e più sessuofobica (contro la libertà sessuale nel senso più generale e moderno del termine) che esista al mondo, dopo quelle molto più reazionarie di origine islamica (Iran, Afghanistan, Uganda ecc.).

Terzo tema fondamentale è l’analisi dell’integralismo religioso di Kirill e della Chiesa ortodossa russa che, nel suo sostegno fanatico alla guerra in Ucraina, sembra una copia della Chiesa cattolica ultrafascista durante la guerra d’Abissinia (Etiopia) o della Chiesa protestante nella Germania nazista. Ma sotto certi profili è peggio di entrambe perché c’è l’aggravante del tempo trascorso da allora, la crescita di coscienza civile nelle altre due principali correnti del Cristianesimo e anche perché le guerre coloniali non si fanno più tanto alla leggera come nel passato. (Considero «coloniali» le guerre di conquista territoriale, distinte da quelle «imperialistiche», miranti cioè ad ampliare le aree d’influenza, ad aprire nuovi mercati, a ostacolare potenze concorrenti. Quella di Putin è ancora una guerra coloniale.)

Nel libro sono riportate molte prove sulla riabilitazione di Stalin che è in atto e che cresce ogni giorno di più. Non certo lo Stalin presunto «comunista», ma il dittatore totalitario, erede dello zarismo e dei suoi miti euroasiatici, invasore di popoli circonvicini, autore di alcuni dei peggiori crimini contro l’umanità. Putin si colloca ormai apertamente sulla sua scia, rinnegando apertamente il poco di democratizzazione che la Russia aveva vissuto dopo il 1991. Rientra in tale quadro la sua decisione di chiudere Memorial, sia per impedire che continui ad emergere tutto l’orrore del passato stalino-brezneviano, sia per liberarsi di potenziali scomodi testimoni che potrebbero un giorno collaborare con il tribunale internazionale che dovrà giudicare i suoi crimini di guerra.

Molti altri temi sono toccati con imponente documentazione  storiografica e, se ancora vi fossero dei dubbi sul carattere criminale dell’aggressione russa all’Ucraina, questo libro li distrugge definitivamente. 

Gli hitlerocomunisti ovviamente non leggeranno mai nemmeno questo libro, come hanno sempre evitato di leggere tutti gli altri, prodotti nell’arco di quasi un secolo. Se lo facessero, forse smetterebbero d’essere hitlerocomunisti. Così invece non rischiano d’essere sfiorati nemmeno dall’ombra del dubbio.

Il guaio è che anche i finti pacifisti non lo leggeranno, perché scatenerebbe in loro un tremendo complesso di colpa nel rendersi finalmente conto di quali crimini si stanno rendendo moralmente complici rifiutando di aiutare la resistenza ucraina.

Leggendo tra le righe, dal libro si può ricavare anche un filo di speranza, benché paradossale. Essa è dovuta al fatto che Putin e gli oligarchi stanno veramente esagerando con le loro mire da Impero zarista in pieno sec. XXI. Si vede chiaramente che essi non sono in grado di leggere (capire) la situazione internazionale in cui sono immersi, non sono in grado di misurarsi con le opposizioni se non reprimendole e non danno l'impressione di poter reggere a un’eventuale esplosione di collera popolare. Insomma, a differenza del capitalismo postdemocratico degli Usa, della Germania, della Gran Bretagna ecc., il capitalismo oligarchico e  totalitario di Putin sembra essere rappresentato da uno di quei regimi che, quando crollano, il giorno dopo non ne rimane più nulla.

Solo il ricorso alla minaccia nucleare purtroppo fa la differenza coi regimi totalitari del passato. E forse questa è la cosa più nera in questo libro su Putin già nerissimo per conto suo...

 

• Galia Ackerman-Stéphane Courtois (a cura di), Il libro nero di Putin, Mondadori, Milano febbraio 2023 [Le livre noir de Vladimir Poutine, Robert Laffont, Paris 2022.]


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