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domenica 19 febbraio 2023

Ucraina 22: PERVERSIONE PUTINIANA DELL’«ANTINAZISMO»

di Michele Nobile

 

«Per quanto incredibile, è un dato di fatto: siamo di nuovo minacciati dai carri armati Leopard tedeschi, segnati con croci. C’è di nuovo un piano per combattere la Russia in terra ucraina, usando i successori di Hitler, i banderisti».

È una citazione dal discorso del presidente Putin in occasione del concerto di gala per celebrare l’80° anniversario della sconfitta delle forze naziste nella battaglia di Stalingrado, ora Volgograd1. Nel momento in cui scrivo questo è il più recente esempio dell’arroganza della propaganda di guerra proveniente dal vertice politico russo. Arrogante perché, alla maniera di uno stupratore, Putin nega alla vittima anche la legittima difesa; arrogante perché equipara l’Ucraina al Terzo Reich; arrogante perché usa la guerra di liberazione dal nazismo per sostenere una nuova guerra coloniale in Europa, in questo ricalcando proprio il disegno hitleriano. È il ritornello che si trova continuamente nella propaganda putiniana e filo-putiniana riguardo l’aggressione russa all’Ucraina, iniziata non nel 2022, ma nel 2014. Non è solo un abuso dell’epiteto «nazista». È peggio, è una perversione dell’antifascismo. Invadere un Paese in nome dell’antinazismo - ma con gli obiettivi di soggiogarlo e di annetterne una parte - è un’atroce perversione della lotta per cui tanti sacrificarono la vita contro il fascismo e il nazismo reali. Come nella neolingua totalitaria del 1984di Orwell, secondo cui «la guerra è pace», questo «antifascismo» si rovescia nel suo opposto: da battaglia per la libertà politica e l’indipendenza nazionale si trasforma in strumento d’oppressione politica e d’aggressione coloniale. 

A Mosca il «Ministero della verità» di orwelliana memoria continua a lavorare ma, a quasi un anno dall’invasione, non si tratta più di dimostrare l’assurdità secondo cui l’Ucraina sarebbe governata da una banda di nazisti che, sostenuta dall’Occidente, minaccerebbe l’esistenza stessa della Russia. Le questioni ora sono altre. Tra queste ne metto a fuoco una: quali sono i presupposti e le conseguenze dell’abuso d’attribuzione del marchio di «nazista» a un regime politico e della complementare perversione dell’antinazismo? E più precisamente: quali sono gli specifici presupposti russidell’abuso del termine «nazismo» e della perversione dell’antifascismo? Qual era la natura politica del movimento popolare ucraino - la «Rivoluzione della dignità» del 2014 che portò alla caduta del presidente Janukovyč, cleptocrate e assassino - contro il quale Putin scagliò per la prima volta l’anatema di «nazista»? 

Rispondere a queste domande ritengo permetta di meglio comprendere le ragioni della guerra di Putin e il significato storico della resistenza del popolo ucraino all’invasione russa. La resistenza ucraina ha obiettivamente un significato simile a quello della resistenza al franchismo spagnolo: se quella resistenza avesse avuto tutto l’appoggio possibile e non fosse stata internamente dilaniata dalla controrivoluzione stalinista e borghese, la sconfitta di Franco sarebbe stata anche la sconfitta degli imperialismi nazista e fascista. Se l’Ucraina vince, il progetto imperialistico di Putin sarà fermato; in caso contrario continuerà a svilupparsi, con imprevedibili conseguenze in Europa e in Asia. La libertà del popolo dell’Ucraina è la nostra libertà, non solo in senso ideale ma concreto

Anticipo in sintesi quanto sarà argomentato in questo e in altri futuri interventi: al centro di tutto non è una presunta rivalità geopolitica tra il cosiddetto Occidente e la Russia, che tra loro hanno fatto anche ottimi affari, ma lo scontro tra il disegno del regime di Putin di consolidare una propria sfera d’influenza imperiale sottomettendo il popolo dell’Ucraina e la determinazione di ucraine e ucraini a resistere alla negazione della propria identità nazionale e libertà politica. Senza questa determinazione, gravemente sottovalutata sia da Putin sia dai commentatori occidentali, l’aggressione russa avrebbe raggiunto i suoi obiettivi in pochi giorni. Sono la volontà del popolo ucraino di resistere all’arrogante invasione di una potenza nucleare e l’umana simpatia che ciò suscita nel mondo che costringono i governi del cosiddetto Occidente a prendere posizione. Se l’esistenza di un’Ucraina indipendente è un ostacolo al disegno di una sfera imperiale russa, la coraggiosa resistenza ucraina è per Putin qualcosa d’ancor più insopportabile. Perché, nonostante la guerra fomenti odio, la resistenza del popolo ucraino è d’esempio ai russi e alle nazionalità non russe della Federazione imperiale: l’oppressione si può combattere, è possibile vincere la lotta per una società libera dall’oligarchia imperiale, politica ed economica. E non è solo un esempio per i cittadini russi ma per tutti noi. 

È per questi motivi che Putin non vuole il negoziato ma la sottomissione del popolo ucraino: altrimenti non avrebbe formalmente annesso i territori occupati dalla forza d’invasione e mobilitato centinaia di migliaia di uomini da mandare allo sbaraglio. Viceversa, è chiaro che la libertà dell’Ucraina e i negoziati di pace passano attraverso la sconfitta militare della forza d’invasione. È terribile come «realisti» geopolitici e fintopacifisti di destra e di sinistra neghino la soggettività di un popolo, la legittima aspirazione a procurarsi tutti i mezzi necessari a resistere all’invasore e intendano la pace come resa all’aggressore. 

E in fondo a tutto questo si pongono le questioni della genesi, dei modi e dei gradi dell’orrore moderno, le cui forme paradigmatiche sono Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, Kolyma. Il quarto toponimo, emblema del terrore staliniano, evoca, tra l’altro, il caso maggiore di perversione dell’antifascismo, in epoca staliniana. Facciamo in modo che Bucha e Irpin non diventino il paradigma dell’orrore del XXI secolo europeo. 

 

L’inflazione del termine «nazismo» banalizza Auschwitz

 

Nell’arena della politica internazionale l’accusa di nazismo è stata più volte brandita come una grossa clava. Memorabili sono gli esempi dell’«Hitler dei Balcani» - Slobodan Milošević - e dell’«Hitler del Medio Oriente», Saddam Hussein; più recentemente è stato il caso del siriano Bashar Al-Assad. I regimi di Milošević e Hussein erano (o sono ancora, quello siriano) detestabili, responsabili di crimini contro l’umanità, meritevoli d’essere cancellati dalla faccia della Terra insieme ai loro capi da un’insurrezione popolare. Tuttavia, non erano regimi nazisti

L’orrore moderno si presenta con un’ampia gamma di gradazioni e metodi: come certe carestie, non intenzionali ma prodotte dalla combinazione di sfruttamento, variazioni climatiche e indifferenza, a volte provocate o aggravate a fini politici, come l’Holodomorin Ucraina; assassinii politici su ampia scala, come in tante dittature sostenute dalle potenze del «mondo libero» durante la Guerra fredda; eliminazione fisica di una categoria sociale, come nella violenta dekulakizzazione sovietica; pulizia etnica, come in Europa dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale, in alcuni Stati postcoloniali, in Bosnia. Fino al deliberato tentativo di annientare l’esistenza fisica e culturale di un gruppo etnico o nazionale, dagli adulti ai neonati. Lo sterminismo nazista è il vertice dell’orrore, ma di tanti orrori sono stati responsabili il colonialismo delle potenze liberali e il più recente neocolonialismo non territoriale, e anche regimi o movimenti nazionalisti e autoritari di nuovi Stati postcoloniali, come in Rwanda. Per prevenire l’orrore e lottare lucidamente contro di esso non basta solo la giusta indignazione. È anche necessario che si definisca correttamente la natura dei regimi, dei movimenti politici e delle condizioni sociali, storiche e culturali che ne permettono l’esistenza. 

Benché sia una sciocchezza concettuale, l’accusa di «nazismo» è politicamente molto utile perché produce due effetti funzionali alla propaganda di guerra: colloca i regimi etichettati come «nazisti» nella categoria del male assoluto, da esorcizzare senza indugio, con ogni mezzo. E, simultaneamente, pone i regimi avversari - e le società di cui sono espressione - nel campo del bene. Questo genere di propaganda è un moralismo ipocrita, pragmaticamente utile a legittimare interventi armati dall’estero i cui motivi reali sono meno nobili dell’impossibile esportazione della democrazia (e un regime di semidittatura come quello di Putin non potrebbe dichiarare di «voler esportare la democrazia» come normalmente hanno millantato gli Usa). È inaccettabile anche perché produce guasti etici, intellettuali e politici che si estendono oltre il caso particolare. 

L’abuso dei termini «nazismo» e «fascismo» di fatto offusca la peculiarità dello sterminismo nazista, della distruzione degli ebrei d’Europa e di tutti coloro che il nazismo classificava come indegni di vivere. L’inflazione del termine «nazismo» banalizza Auschwitz. Così l’orrore è confinato in una nozione mutilata dei suoi effettivi connotati storici e, proprio per questo motivo, utilizzabile a discrezione. 

Nello stesso tempo, questa visione manichea tende a sottrarre il campo degli «antinazisti» alla critica dei loro orrori, passati e presenti. Conseguentemente, è banalizzato e ritualizzato anche l’antifascismo-antinazismo. Paradossalmente, un preteso ma falso antinazismo può coprire o servire a giustificare altri, diversi orrori. In nome della lotta contro «nazisti» e «banderisti» ora, in Ucraina, si stanno perpetrando crimini di guerra e un disegno politico volto a cancellare l’autonoma identità di una nazionalità. Un processo che può dirsi genocidio

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e della sua sfera imperiale il «nazismo» ha preso il posto del «comunismo» per definire il nemico di turno delle potenze occidentali. Alcuni commentatori e studiosi impiegano l’epiteto «fascismo» anche a proposito della Russia di Putin, a volte in combinazione con aspetti dello stalinismo: è un sintomo di quanto sia confuso il quadro concettuale2. Anche perché, considerando l’intero periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, il più importante abuso dell’etichetta «nazismo» e la peggiore perversione dell’antifascismo e del diritto d’autodecisione delle nazionalità sono attuati dalla propaganda del regime di Putin nella guerra contro il popolo dell’Ucraina, fin dal 2014.

A proposito dei «nazisti di Kiev», la propaganda bellica russa pare seguire il copione già sperimentato da quella occidentale in altre occasioni. Putin ha pure imitato le menzogne di Bush jr. a proposito del programma nucleare militare del regime iracheno, inventando la minaccia nucleare ucraina all’esistenza della Russia. E a questa favola ha aggiunto, ma a invasione già in corso, l’altra per cui i «nazisti» ucraini e gli statunitensi starebbero sviluppando in Ucraina un’arma biologica contro la Russia. Menzogna peggiore di quella inventata a proposito di Saddam Hussein, perché questi aveva veramente utilizzato la guerra chimica durante la guerra con l’Iran e per sterminare i villaggi kurdi, una prassi indubbiamente genocida. 

Tuttavia, così come in fatto di sterminio Hitler non aveva bisogno delle lezioni di Stalin, a proposito dell’uso strumentale del nazismo Putin non ha alcun bisogno d’andare a lezione dall’Occidente. L’ex grigio funzionario del Kgb e i suoi «tecnologi politici» possono contare su ben sperimentate tradizioni indigene: quellaimperiale zarista, in fatto di conquiste coloniali e di negazione della nazionalità ucraina, e quella stalinista, in particolare in fatto di riscrittura della storia e di perversione dell’antifascismo. 

Fu durante il dominio di Stalin che per la prima volta e su scala ineguagliabile che - insieme ad altre - l’etichetta «fascista» (sinonimo di «nazista») fu impiegata per condannare l’opposizione rivoluzionaria antistalinista e per creare un orrore che, per quanto differente da quello nazista, rimane un’altra vetta dell’orrore moderno: le persecuzioni, i massacri e le deportazioni di massa, anche d’interi gruppi nazionali. 

La tradizione staliniana d’utilizzo strumentale del «fascismo» e dell’«antifascismo» continuò con l’elaborazione dell’ideologia epica, dei miti eroici e dei rituali celebrativi della Grande guerra patriottica1941-45. Questa è la dizione con cui in Unione Sovietica si indicava quel che nel resto del mondo si diceva e si dice Seconda guerra mondiale. Con l’allentarsi della censura e dell’autocensura e dell’emergere di una storiografia russa indipendente (a volte altrettanto ideologica di quella del regime, più spesso restauratrice della complessità e contraddittorietà della realtà storica) la narrazione ufficiale sovietica entrò in crisi nel periodo finale di Gorbačëv e negli anni Novanta, ma è stata decisamente riaffermata, anche a colpi di codice penale, dal regime di Putin. Di questo e di come sia pertinente con la guerra di Putin all’Ucraina dirò più precisamente in altro articolo. Intanto, dall’aggettivo e dai termini temporali, s’intende facilmente che questa è una narrazione sovietico-centrica – quando non russo-centrica, come è senz’altro ora - che a priori deforma la ricerca intorno a un fatto di dimensioni mondiali e molto complesso3

«Patriottica» implica che il nazismo sia concepito più come forza d’invasione che come specifico regime; gli invasori erano dipinti come «bestie», ma lo sterminio degli ebrei - anche non russi - veniva assorbito nelle stragi di più generici cittadini sovietici, così da sottodimensionare la peculiarità antisemita del nazismo. E poi, dei 7,5 milioni di civili sovietici morti durante l’occupazione nazista (uccisi deliberatamente oppure dalla fame e dalle malattie) la maggioranza erano ucraini (almeno tre milioni) non russi (1,8 milioni circa). Iniziando dopol’invasione nazista del 1941, la narrazione apologetica e nazionalista della Grande guerra patriottica elude tante scottanti questioni, a iniziare da quella fondamentale, non per caso rimasta tabù per decenni: il Patto Hitler-Stalin dell’agosto 1939 con il primo Protocollo segreto e quindi della responsabilità di Stalin nell’assicurare il fianco orientale del Terzo Reich, condizione strategica per l’aggressione nazista alla Polonia e lo scoppio della Guerra continentale. 

A conferma della natura imperiale e scellerata del Patto stipulato tra il regime nazista e quello staliniano e dei suoi Protocolli segreti, negazione dell’antifascismo, seguirono l’invasione sovietica della Polonia, non contro la parte occupata dai nazisti ma nella parte di Polonia concordata con Hitler (la Wermacht il primo settembre 1939, l’Armata rossa il 17 dello stesso mese), con l’annessione delle parti occidentali dell’Ucraina e della Bielorussia; gli accordi di delimitazione delle sfere d’influenza con il Terzo Reich e la collaborazione diplomatica sovietico-nazista e, quindi, l’occupazione sovietica dei Paesi baltici, della Bessarabia edella Bucovina; la guerra contro la Finlandia; la fornitura di materie prime alla Germania, fino all’invasione del giugno 1941. E i Paesi liberati dalla Wermachte dal nazismo furono poi occupati dall’Armata rossa, anche in aperto spregio della volontà popolare. 

Storiografia, miti e riti della Grande guerra patriottica facevano leva sul vissuto reale dei reduci e sui sacrifici dei popoli sovietici, ma li canalizzavano al fine di glorificare prima ed essenzialmente la guida del generalissimo Stalin e poi, a partire dalla «de-stalinizzazione» di Chruščёv, il Partito e il sistema sovietico nel loro insieme. Fu però nel periodo in cui al vertice del potere sovietico era Leonid Brežnev che la ritualità celebrativa della Grande guerra patriottica raggiunse il culmine e l’aspetto noto: con l’introduzione della festa di Stato (il nove maggio), parata a Mosca e celebrazioni locali, costruzione di molti grandiosi monumenti, sistematizzazione dei miti, dell’insegnamento patriottico, dell’educazione paramilitare degli studenti. 

È sulla tradizione della Grande guerra patriottica che fa leva la guerra di Putin per riconquistare e colonizzare l’Ucraina, con l’alibi della «denazificazione» e dell’assimilazione del governo e dei combattenti ucraini a «invasori» di «terra russa» e marionette degli stranieri.Questo però sarebbe solo l’inizio di un discorso che, al di là della mitografia di Stato, restituisca tutte le sfumature della condizione umana di una guerra tremenda: sia l’eroismo dei combattenti e gli enormi sacrifici dei civili sovietici, sia la grande area grigia di situazioni e di comportamenti ben lontani dallo stereotipo eroico e patriottico, oltre che autentiche pagine nerissime della condotta delle truppe sovietiche nei territori liberati4

Il vertice sovietico condusse la guerra con grande cinismo (ad es. inutilmente sacrificando un enorme numero di militari in offensive insensate) e piegò la lotta di liberazione dal nazismo a obiettivi imperiali. E sì: perché uno degli scopi della narrazione della Grande guerra patriottica fu di santificare col sangue versato l’occupazione dei territori vinti allaWermacht e la costruzione di una sfera imperiale sovietica. Ora, durante la guerra di Putin, il richiamo della Grande guerra patriottica contro i «nazisti» ha l’obiettivo di legittimare la ricostruzione dell’Impero, sotto l’oligarchia politica ed economica della Russia. 

 

Il nuovo genocidio in Ucraina e un Tribunale internazionale per i crimini di Putin 

 

Il 27 febbraio 2014, truppe russe senza insegne iniziarono a occupare la Crimea e specialisti russi fomentarono nel Donbas la rivolta dei militanti secessionisti contro il nuovo governo di Kyiv. Poi truppe russe salvarono la rivolta armata dei separatisti e occuparono il territorio ucraino, iniziando una lunga guerra, culminata nell’invasione su ampia scala del 2022. Allora, gli organi nazionali e internazionali della propaganda di Putin diffusero ad arte l’idea di un «colpo di Stato nazista» e la minaccia che un’orda di «nazisti» della «giunta golpista» marciasse verso il Donbas. Enormemente ingigantendo il rilievo dell’estrema destra fascistoide ucraina, questa campagna di disinformazione riuscì nell’intento di confondere - almeno in parte - l’opinione pubblica internazionale e di attivare il riflesso condizionato «antinazista» di quella sinistra che non pare comprendere che anche la Russia è una potenza imperiale, che lo stendardo del Presidente russo è l’aquila bicipite zarista. 

Nel caso delle operazioni russe del 2014 la capacità di alterare la percezione degli avvenimenti non aveva solo l’usuale scopo di giustificare l’aggressione. Era parte integrante e necessaria della «guerra ibrida» perché, allora, si trattava di negare l’intervento politico-militare della Russia in Ucraina. Addirittura, pur partecipando alle trattative che portarono ai fallimentari accordi di Minsk I e Minsk II, nonostante tutta l’evidenza contraria, nella logica russa della «guerra ibrida», in Donetsk e Luhansk si affrontavano solo forze interne all’Ucraina. La guerra del 2022 ha posto finalmente termine alla pagliacciata degli pseudo-Stati secessionisti.

Dal 2014 fino all’aggressione totale del 2022 Putin ha continuato a utilizzare la narrazione pseudo-antifascista, parlando dei «nazionalisti estremisti e neonazisti in Ucraina», votati al genocidio dei russofoni del Donbas, utilizzando gli stessi falsi argomenti del presidente Bush jr. nei confronti dell’«Hitler del Medio Oriente». 

assurdo, perché, dal 14 aprile 2014 al 31 dicembre 2021, l’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani(OHCHR) ha registrato in Donbas un totale di «14.200-14.400 uccisi (almeno 3.404 civili, stimati 4.400 delle forze ucraine e stimati 6.500 membri dei gruppi armati [separatisti]) e 37-39.000 feriti (7.000-9.000 civili, 13.800-14.200 delle forze ucraine e 14.800-16.200 membri dei gruppi armati)»5; non riporta cifre dei morti e dei feriti delle forze regolari russe.

Tra le vittime civili precedenti l’invasione si contano anche quelle del volo Malaysian Airlines flight MH17 - 298 tra equipaggio e passeggeri - abbattuto il 17 luglio 2014, da un missile antiaereo BUK di fabbricazione sovietica e russa. Il punto è importante perché fu l’inequivocabile dimostrazione del coinvolgimento dei russi: i separatisti ucraini potevano aver saccheggiato gli arsenali locali, ma non potevano disporre di un sistema BUK, che è troppo complesso per essere operato da improvvisati miliziani; le indagini della commissione congiunta (Australia, Belgio, Malesia, Paesi Bassi, Ucraina) hanno accertato che il missile fu lanciato dalla 53abrigata antimissile dell’esercito russo6

Inoltre, il 90% delle vittime civili risale al 2014-15, cioè al momento più acuto della «guerra ibrida» iniziata da Putin che, successivamente, si trascinò come una guerra di posizione, con alternanza di tregue e scaramucce. Nei sei anni successivi i morti civili causati dal conflitto furono complessivamente 356, di cui 27 nel 2019, 26 nel 2020 e 25 nel 2021. La maggior parte delle morti civili si deve a mine e ad altri incidenti, non a ostilità attive; come risultato di ostilità attive, nel periodo tra il cessate il fuoco del 27 luglio 2020 e il 31 dicembre 2021, la missione delle Nazioni Unite ha verificato tra i civili 6 morti e 11 feriti. È ragionevole pensare che le vittime civili siano state nel complesso più numerose di quelle accertate dall’OHCHR, tuttavia il quadro complessivo non muta se si guardano le cifre fornite dai separatisti: ad esempio, per tutto il 2021, «come risultato dell’aggressione dell’Ucraina», l’Ombudsman per i diritti umani della sedicente repubblica del Donetsk riporta 7 civili e 70 militari morti. Dunque, l’ordine di grandezza delle vittime civili è tale che invocare il genocidio, per giunta nel 2022, è un’assurdità degna della propaganda hitleriana. Non esiste un genocidio dei russofoni del Donbas, anche perché parlare russo in Ucraina non significa essere russi e desiderare l’annessione alla Russia; al contrario, anche gli ucraini russofoni al momento combattono le truppe d’invasione di Putin. 

In conseguenza dell’aggressione totale lanciata da Putin nel 2022, gli ucraini hanno invece ottime ragioni per accusare il regime russo di genocidio, per le fattispecie previste dagli articoli II e III della Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio: 

- per il «trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro» (art. II comma e della Convenzione), messo in atto con il trasferimento forzato di migliaia di bambini ucraini in Russia e la semplificazione della procedura per la loro adozione da parte di istituti e famiglie russi (decreti del presidente Putin del 25 e 30 maggio 2022); 

- per l’attacco alle infrastrutture energetiche dell’Ucraina, con l’intento di provocare la morte di massa di civili per congelamento; 

- per l’incitamento e la complicità in genocidio, che non devono necessariamente essere espliciti ma che logicamente conseguono dalla negazione di una distinta nazionalità ucraina, autonoma da quella russa, dalla criminalizzazione come «nazisti» dei patrioti che combattono l’invasione russa, dall’assimilazione dello Stato ucraino a una marionetta manovrata dall’estero, dal considerare l’indipendenza dell’Ucraina come un pericolo esistenziale per la Russia, dal saccheggio e dalla distruzione del patrimonio culturale ucraino nei territori illegalmente annessi (per il diritto internazionale le annessioni sono legittime solo in seguito a un trattato di pace). Ovviamente, i dirigenti russi non possono azzardarsi a indicare esplicitamente la strage di civili come tattica bellica: è cosa che si fa, ma non si dice, si permette ma non si ammette, così come si deve sempre negare d’aver inteso colpire obiettivi civili, nonostante l’evidenza delle fosse comuni, delle città bombardate, dei milioni di sfollati e rifugiati. Il copione è noto, l’ipocrisia dell’interpretazione d’alto livello.

È la propaganda del governo russo che crea le condizioni psicologiche e ideologiche di innumerevoli crimini di guerra che, nell’insieme, indicano che nella truppa d’occupazione della Federazione Russa esiste chi ha la volontà di eliminare chiunque si batta per la libertà dell’Ucraina. Interventi televisivi, articoli giornalistici e comizi che esplicitamente rivendicano l’annientamento dell’identità ucraina e lo sterminio dei «nazisti» sono conseguenza logica della politica di Putin e ne rivelano l’essenza genocida. 

Raphael Lemkin, che coniò il termine e promosse il suo riconoscimento come crimine, aveva del genocidio una concezione più ampia di quanto risulti dalla Convenzione, che fu il risultato di un compromesso tra potenze grandi e piccole, ciascuna attenta a fare in modo che non fosse possibile applicarla alla propria storia. Il modello di base del genocidio era per Lemkin l’esperienza coloniale: vedeva anche lo sterminismo nazista come progetto coloniale. Per lui il genocidio era il punto d’arrivo di un processo multidimensionale di forzata distruzione della cultura, delle istituzioni, dell’identità di un gruppo(in contrasto con ibridazioni, assimilazioni e fusioni spontanee), non solo etnico ma anche sociale o politico, che poteva culminare nello sterminio. In questa prospettiva lo sterminio fisico è il risultato finale ed estremo di un processo di distruzione dell’identità. Questa la sua definizione nel 1944:

 

«Il genocidio ha due fasi: prima, la distruzione del modello nazionale del gruppo oppresso; l’altra, è l’imposizione del modello nazionale dell’oppressore. Questa imposizione, a sua volta, può essere fatta sulla popolazione oppressa, che è autorizzata a rimanere, o solo sul territorio, dopo l’allontanamento della popolazione e la colonizzazione dell’area da parte dell'oppressore stesso»7

       

Questo è il processo che nei primi anni trenta del secolo scorso Stalin realizzò in Ucraina, che culminò nell’Holodomor, parte integrante della sua guerra generale al mondo contadino ma che era anche un attacco alla nazionalità ucraina (e in Asia, ai popoli nomadi). E questo è quel che Putin vorrebbe fare ora in Ucraina. 

Sottolineo che le responsabilità individuali per i crimini di guerra commessi dalla forza d’invasione russa vanno giudicati per se stessi, ma anche che, nel loro insieme, configurano il crimine di genocidio, commesso «con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale» (Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio, art. II). È in questo contesto che si spiegano le molte migliaia di civili uccisi sotto i bombardamenti, i massacri a Bucha, Irpin, Izium, Lyman, Mariupol, le torture e gli stupri, i milioni di sfollati, di profughi nel resto d’Europa e di deportati in Russia.

Il regime russo è illiberale, autoritario, oramai molto vicino o divenuto una vera e propria dittatura.Tuttavia non è fascista. Le ragioni di questo autoritarismo imperialistico sono altre, vanno cercate nella storia dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica e delle caratteristiche della transizione dallo pseudosocialismo al capitalismo oligarchico. L’orrore non è esclusivo del nazismo. Per quanto il regime interno russo sia autoritario e repressivo, ideologicamente reazionario e imputabile di genocidio, il fascismo e il nazismo furono fenomeni politici, ideologici, istituzionali differenti dal regime russo. Non è necessario includere il regime di Putin nella categoria del fascismo per augurarsi la sconfitta militare dell’invasione (la sconfitta politica di Putin è già un fatto), la liberazione del popolo ucraino dall’occupazione russa, il risveglio dei russi e dei popoli della Federazione Russa e la disintegrazione del regime oligarchico che fa capo a Vladimir Putin. Urlare «fascista!» a Putin è un insulto che pone dalla parte giusta, ma non aiuta a comprendere il suo sistema, i suoi motivi di forza e di debolezza, le sue specifiche radici russe, zariste e sovietiche.

È però lecito un confronto fra l’azione della Russia contro l’Ucraina e la politica internazionale del Terzo Reich. Vi si possono riscontrare ovvie differenze ma anche preoccupanti somiglianze. Tratti comuni sono l’uso spregiudicato dei «compatrioti» all’estero - in Austria, nei Sudeti, in Polonia per Hitler, e per Putin nel cosiddetto «mondo russo», che si estende in Europa e in Asia ben oltre i confini della Russia - e la realizzazione di un progetto coloniale. La logica del colonialismo apre la strada al genocidio. È per questo motivo che va sconfitto il progetto imperiale di Putin e dell’oligarchia capitalistica russa, sostenendo la resistenza del popolo ucraino, con tutti i mezzi a disposizione. In gioco non è solo il futuro degli ucraini e dei russi, ma del resto d’Europa e dell’Asia centrale

Putin e i dirigenti civili e militari della Federazione russa vanno giudicati in una sede di giustizia internazionale. Prima che questo accada, coloro che hanno a cuore la democrazia, la libertà dei popoli e i diritti umani dovrebbero sottoporre i dirigenti russi a un tribunale indipendentecome il Tribunale Russel, che nel 1966 giudicò i crimini di guerra dell’amministrazione statunitense in Vietnam8.

 

Note

1     Sito del Presidente della Federazione Russa, Gala concert for 80th anniversary of defeating German Nazi forces in Battle of Stalingrad, Volgograd, 2 febbraio 2023, 

http://en.kremlin.ru/events/president/news/70434; in russo: Торжественный концерт по случаю 80-й годовщины разгрома немецко-фашистских войск в Сталинградской битве, http://kremlin.ru/events/president/news/70434. 

2     Ad esempio: Vladislav Inozemtsev, «Che Russia ha in mente Putin? Uno stato fascista, non nazista», Sole24Ore, 17 marzo 2022; Alexander J. Motyl, «Fascistoid Russia. Putin’s political system in comparative context», in Susan Stewart-Margarete Klein-Hans-Henning Schroder-Andrea Schmitz, a cura di, Presidents, oligarchs and bureaucrats. Forms of rule in the post-Soviet space, Routledge, 2012. Per Marlène Laruelle, specialista della Russia e in particolare delle sue correnti reazionarie, eurasiatiche e fascistoidi, il regime di Putin è illiberale e autoritario ma non fascista. La sua critica approfondita delle interpretazioni della Russia di Putin come regime fascista o fascistoide in Is Russia fascist? Unraveling propaganda East and West, Cornell University Press, Ithaca (NY) 2021. Tuttavia, direi che Laruelle sottovaluti l’importanza pratica di argomenti tipici anche dell’estrema destra imperialistica e reazionaria russa nella propaganda del regime e la sua deriva verso la dittatura.Vero è che questo è molto più chiaro dall’invasione del 2022, in cui la maschera è caduta o si è liberato un grande spazio comunicativo per le correnti più reazionarie e feroci presenti in Russia. 

3     Tra altri, segnalo per la completezza della ricostruzione dei miti e dei riti della Grande guerra patriottica come narrazione di regime e del modo in cui poggiava sul vissuto dei cittadini sovietici: Nina Tumarkin, The living and the dead. The rise and fall of the cult of Second World War in Russia, Perseus Books, New York 1994 e «The Great Patriotic War as myth and memory», European review, vol. 11, 2003. SulCorriere della sera(«La storia riscritta da Putin con sovrano disprezzo della verità», 7 luglio 2022) Ernesto Galli della Loggia ha scritto che«Putin è un po’ come con Hitler», ma in un senso preciso, benché evidentemente molto polemico: non nel senso dell’equivalenza del regime russo con il Terzo Reich, ma della più spudorata falsificazione della storia e della criminalizzazione di chi cerca di difenderne la realtà, ad esempio l’associazione Memorial. Si può obiettare che tutti gli Stati hanno i loro miti e riti nazionali, fatti di mistificazioni e omissioni, ma il nocciolo della questione è se esiste libertà di ricerca e d’opinione oppure no, quindi il livello di «statalizzazione» della storiografia e dell’insegnamento. Sotto questo punto di vista, la similitudine ha un fondamento, benché per la Russia il precedente più pertinente sia proprio la tradizione sovietica, come pure scrive Galli della Loggia. E ha ragione da vendere nel notare che «Credo che non esista al mondo un evento storico protetto da una blindatura penale come quella che in Russia, auspice il despota, protegge la “Grande guerra patriottica 1941-1945”». In effetti, pur essendo noti e pubblici nel resto del mondo, in Unione Sovietica i Protocolli segreti del Patto Hitler-Stalin rimasero segreti quasi fino al crollo, svolgendo un ruolo importante nei movimenti nazionali dei Paesi baltici e, in minor misura, in Ucraina. Sul Patto Hitler-Stalin e l’aggressione all’Ucraina: Michele Nobile, Invasioni russe. Polonia 1939-Ucraina 2022, Massari editore, Bolsena 2022.

4     Per il vissuto dei combattenti e dei reduci sovietici, l’eroismo e le pagine nere della loro guerra, attraverso lettere, memorie, documenti ufficiali e interviste con i reduci, si veda Catherine Merridale,Ivan’s war. The Red army 1939-1945, Faber and Faber, Londra 2005; trad. ital. I soldati di Stalin. Vita e morte nell'Armata Rossa, 1939-1945, Mondadori, Milano 2007. 

5     Office of the High commissioner for human rights-United Nations human rights monitoring mission in Ukraine, 27 gennaio 2022, https://reliefweb.int/report/ukraine/conflict-related-civilian-casualties-ukraine-december-2021-enruuk.Per i numeri della sedicente repubblica del Done’ck si veda: Human Rights Ombudsman in the Donetsk People’s Republic, https://eng.ombudsman-dnr.ru, documento del 31 dicembre 2021. 

6     Nei giorni precedenti erano stati abbattuti diversi velivoli delle forze armate ucraine: è quindi senz’altro possibile che il volo civile sia stato scambiato per uno militare. Esiste però anche un’altra teoria, i cui elementi di base ho controllato (topografia e rotte). Il dirigente dei Servizi di sicurezza ucraini (Sbu) del tempo notò che Pervomays’ke, è un toponimo diffuso (significa Primo maggio) e che oltre alla località di Pervomays’ke a est della città di Donetsk (vicino Torez), zona dove venne abbattuto il volo MH17, esiste Pervomays’ke a ovest di Donetsk (vicino Pisky). Ebbene, è possibile che chi operava la batteria antimissile non conoscesse bene la topografia della zona (perché russo, non separatista ucraino): se la batteria russa fosse stata piazzata in Pervomays’ke ovest avrebbe potuto abbattere il volo Aeroflot da Mosca a Larnaca invece del MH17 da Amsterdam. Di questo attentato a un volo civile la Russia avrebbe quindi accusato l’Ucraina, così giustificando un intervento militare scoperto e totale. Si veda: Maryna Lysytska, «Nalyvaychenko says separatists intended to shoot down Russian passenger plane», Kyiv Post, 7 agosto 2014, https://www.kyivpost.com/post/10371.

7     Raphael Lemkin, Axis rule in occupied Europe. Laws of occupation. Analysis of government. Proposals for redress, Carnegie Endowment for international peace, Division of international law, Washington, 1944, p. 79. Per la storia dell’elaborazione della Convenzione: Anton Weiss-Wendt, «Somebody else’s crime. The drafting of the Genocide Convention as a Cold war battle, 1946-48», in Andrea Graziosi-Frank E. Sysyn, a cura di, Genocide. The power and problems of a concept, McGill-Queen’s University Press, 2022.

8     Si veda: Bertrand Russell,War crimes in Vietnam, Monthly Review Press, New York 1967, trad. ital. Crimini di guerra nel Vietnam, Longanesi, Milano 1967. 



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