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mercoledì 31 marzo 2021

Israele: alle elezioni del 23 marzo la destra avanza ma non vince

di Andrea Vento
(Gruppo Insegnanti di geografia Autorganizzati)
 
Le quarte elezioni legislative degli ultimi 2 anni rischiano, come da noi ventilato (https://codice-rosso.net/israele-alle-urne-il-23-marzo-la-quarta-volta-dal-2019/), di far precipitare il Paese in una fase di perdurante instabilità politica. 

I risultati definitivi usciti dalle urne il 23 marzo potrebbero non fornire la possibilità di creare una maggioranza stabile e coesa. Procedendo con ordine nell'analisi rileviamo i seguenti aspetti salienti.

1)Riduzione dell'affluenza. Le elezioni appena svolte hanno registrato un calo dell'affluenza di circa 330.000 votanti, pari a -4,3%, facendo scendere la partecipazione totale al 67,2%, solo in parte causata da timori per il contagio pandemico, visto l'ottimo stadio di avanzamento della campagna vaccinale e gli appositi seggi riservati ai positivi. Riduzione in prevalenza determinata dal minor afflusso della minoranza araba che, infatti, si è concretizzato in un arretramento della Lista Comune arabo-israeliana che raccoglie solo 212.048 voti, che sommati a quelli del partito islamista Ra'am presentatosi da solo ottenendone 167.132, corrispondono a circa 200.000 in meno rispetto ai 577.355 della Lista Comune Araba del marzo 2020. In base all'analisi del voto risulta, infatti, che circa il 60% dell'incremento dell'astensionismo è riconducibile al voto palestinese.

2) Aumento della frammentazione politica. In Israele si sta riproducendo il classico copione dei periodi di instabilità politica con forti tensioni interne alle forze politiche che determinano  scioglimento di partiti, frequenti scissioni e nascita di nuove formazioni e coalizioni. Fra le scissioni dell'ultimo anno citiamo: 

·   Nuova Speranzadi Gideon Sa'ar che l'8 dicembre scorso fuoriesce dal Likud, 

·   il partito islamista Ra'am che il 28 gennaio 2021 lascia La lista Comune,

·   lo sfaldamento di Blu e Bianco, dal quale si erano distaccati al momento della formazione del governo di coabitazione con Netanyahu, nel marzo 2020, Yair Lapid, leader di Yesh Atid, e Moshe Ya'alon, di Telem, quest'ultima formazione poi dissolutasi il 1 febbraio 2021.

 

Dalla coalizione di destra Yaminasono fuoriusciti, invece, i partiti La casa Ebraica Tkuma, con l'ex ministro Naftali Bennet che ne mantiene il nome rimanendone il leader.

Nell'area della destra estrema registriamo, invece, la formazione del nuovo Partito Sionista Religioso, nato, su regia di Netanyahu per coprire l'area a destra del Likud, dall'aggregazione fra il partito di estrema destra Tkuma, la formazione kahanaista[1], Oztma Yehudit, e il partito omofobo Niam.

Nell'ambito dell'area di centro sinistra si registra la formazione di due nuovi partiti che, tuttavia, non hanno partecipato alle elezioni del 23 marzo: Gli Israeliani fondato dal sindaco laburista di Tel Aviv, Ron Huldai, e Tnufa, promosso dall'ex deputato di Yesh Atild, Ofer Shelah.

Un quadro politico, quindi, estremamente fluido quello attuale interno israeliano nel quale l'incertezza si accompagna a dinamicità e frammentazione. Le forze politiche presenti alla Knesset salgono, infatti, dalle 9 nove delle precedente legislatura (tab 1), alle ben 13 attuali, rendendo sempre più complessa la formazione di una maggioranze stabile.

mercoledì 24 marzo 2021

77° DELLE FOSSE ARDEATINE (24 marzo 1944)

di Roberto Massari

A 77 anni dalla morte di mio nonno materno, assassinato (è il termine giusto) dal regime nazifascista nella rappresaglia per la sconfitta subìta nella battaglia (è il termine giusto) di via Rasella. Lì non era stato un semplice attentato, come hanno scritto in tre quarti di secolo di menzogne, ma una battaglia vera e propria organizzata nella forma di agguato: l’esplosione del secchio della spazzatura fu solo l’inizio di uno scontro a fuoco, con tanto di mitra e bombe a mano.
Tre quarti di secolo di menzogne sulle Fosse Ardeatine sono sempre serviti per giustificare il tradimento degli ideali della Resistenza, vale a dire la speranza di chi combatteva, sui monti o in città, che alla caduta del fascismo sarebbe subentrato un regime di democrazia sociale: comunista o socialista per alcuni, radicale nel suo progressismo sociale per altri. Entrambe queste speranze furono sconfitte dalle direzioni dei principali partiti e per questo il cosiddetto «arco costituzionale» ha sempre voluto presentare come guerra di liberazione nazionale quella che fu un’autentica guerra civile.
Ma 77 anni dopo per fortuna c’è chi ancora non dimentica.
R.M.  

DI PEPPE OTELLO

 

            Abruzzese di Chieti, era falegname con laboratorio in via Silla 6, in Prati. “Ebanista dalmato” , recava nell’intestazione la cartolina di presentazione del laboratorio. Otello infatti era emigrato giovanissimo a Spalato e lì aveva vissuto a lungo, sposando una dalmata (Domina Rozic) e mettendo al mondo vari figli.

            Tornato in Italia e vivendo a Roma al Trionfale (via Santamaura), Otello era passato dall’antifascismo istintivo all’azione militante, entrando a far parte clandestinamente del Pci. Secondo la sua biografia custodita all’Anfim, Otello «collaborava con il Partito comunista, trovando viveri per i partigiani delle bande, nascondendo i ricercati e conservando documenti importanti».

            Il nipote, Roberto Massari, ci racconta che il nonno era un vero e proprio artista del legno, aveva un’ampia cultura, leggeva libri inusuali per un operaio artigiano (per es.di filosofia indiana) e che, appassionato d’opera, poteva cantare a memoria intere arie. 

            Come tanti altri, Otello fu colpito da vile segnalazione, anche se il nome del delatore non si è mai saputo. Nel negozio di falegnameria le Ss trovarono del “materiale clandestino” e lì lo arrestarono il 1° febbraio 1944. 

            Venne condotto a via Tasso, ove rimase fino al 27 dello stesso mese. Al riguardo ci racconta il nipote: «Mia madre Daria, potè visitarlo nel carcere di Regina Coeli dopo che era stato torturato in via Tasso, e mi ha sempre narrato, con fierezza, fin da quando ero bambino, che nonno Otello la incaricò di riferire il seguente messaggio: “Dì ai compagni che non ho parlato”» (Massari).

            Il Tribunale tedesco lo condannò a tre anni di reclusione e venne rinchiuso a Regina Coeli, ma il suo destino si compì alle Fosse Ardeatine: Egli fu incluso tra i primi nomi della lista stilata personalmente da Kappler:

            «Nella categoria delle persone già processate e condannate a morte, Kappler aveva trovato soltanto tre nomi…Nella seconda categoria, cioè quella che comprendeva quanti erano stati processati e condannati a pene detentive, Kappler trovò soltanto 16 nomi…Fra di loro c’erano un architetto, due fratelli sui trent’anni, uno studente, un falegnamee un cantante d’opera» (da R.Katz, Morte a Roma).

            Il riconoscimento del cadavere venne fatto dalla figlia Daria. Tra gli oggetti recuperati vi è un orologio da tasca – ora esposto al Museo della Liberazione – un Omega col vetro incrinato (ma non infranto). E’ fermo alle ore 5,20:

            «Se l’orologio si è fermato per il colpo subito, potrebbe essere l’ora di quel tragico pomeriggio del 24 marzo, in cui mio nonno fu assassinato. Insisto sul termine “assassinato”, perchè per il modo in cui avvenne il massacro non me la sento di usare espressioni come “giustiziato”, “esecuzione” né altri termini che evochino alla lontana un concetto “militare” di uccisione, per quanto ingiusta e spietata. Fu un assassinio, bestiale e premeditato, compiuto congiuntamente dai nazifascisti tedeschi e italiani» (Massari).

            Il suo volto è in un tondo a bassorilievo, nell’epigrafe posta presso la vecchia sezione del Pci di via Pietro Giannone, accanto al cinema Doria, al Trionfale.

            «Quando da ragazzo accompagnavo mia madre a fare la spesa al mercato di via Andrea Doria – venendo da via Cunfida, dove abitavamo – ci capitava a volte di passare davanti alla sezione del Pci. A me è rimasto il ricordo vivido dell’emozione con cui mi affacciavo sull’uscio, guardavo il medaglione con il ritratto di nonno Otello e gli mandavo un saluto insieme a mia madre. Se le lapidi a qualcosa servono, quella di mio nonno ha certamente contribuito a fare di me  il rivoluzionario che ancora oggi credo e spero di essere» (Massari).

 

                                                                       -----------

 

Scheda del martire presso Anfim; Conversazioni con Roberto Massari, che ha fornito alcuni dettagli sul nonno materno. Massari è stato tra i primi a costituirsi parte civile nel processo contro Priebke, affidando la difesa all’avv. Paolo Sodani; G. Mogavero, Un ebanista alle Fosse Ardeatine. Otello Di Peppe D’Alcide (1890-1944), Massari editore, Bolsena 2014.


* Scheda su Otello Di Peppe D’Alcide, scritta da R. Massari per i tre libri di Giuseppe Mogavero, I muri ricordano (Massari ed. 2002), Un ebanista alle Fosse Ardeatine(Massari ed., 2013) e I muri ancora ricordano (Massari ed., 2013). 



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 22 marzo 2021

¿POR QUÉ STALIN?



por Esteban Valenti

Hay preguntas que aunque pueden parecer totalmente fuera de nuestra época y referir a la prehistoria revolucionaria y política, en realidad son elementos claves para explicar el mundo actual y en particular el de las izquierdas. Por lo tanto son profundamente actuales, vigentes y no sólo sobre el sujeto mismo de la pregunta, sino sobre el método, tanto si evitamos las preguntas, como si las formulamos cueste lo que cueste.

Obvio que para los seguidores anteriores o actuales de Marx y de Lenin y más en general de las ideas socialistas, estos temas tienen mucha mayor importancia en sus vidas, pero al representar cambios radicales en relación a la guerra fría, a la existencia y posibilidades de todas las fuerzas políticas se podrá apreciar que no es solo historia, es presente y por lo tanto es futuro y exige además de rigor, cierta extensión en el tratamiento del tema. 

Stalin, es sin duda alguna el personaje más controvertido de la historia de los partidos comunistas, por lo tanto de una parte importante de la izquierda, pero también de toda la historia del siglo XX, por su papel en la Segunda Guerra Mundial, el dominio absoluto en la URSS  y la extensión del socialismo “real”.

Un personaje discutido en Rusia, naturalmente en la URSS y en todo el planeta. Para que no haya ninguna duda, considero que su papel fue nefasto, fue un asesino de millones de soviéticos, que mandó ejecutar a miles de sus propios compañeros, responsable de utilizar el terror como el principal método para imponer sus ideas, sus objetivos y el responsable de la mayor deformación de las ideas originales de Marx y del socialismo y sus diversas corrientes, incluyendo las del POSDR, originalmente los bolcheviques. Incluso las de Lenin, pero con esta afirmación no eximo a Wladimir Ulianov “Lenin” de sus responsabilidades en la deformación profunda del socialismo. A pesar de la violencia utilizada por Lenin en la polémica con otros pensadores socialistas, y su sentido de una “única verdad”, no tengo dudas revisando su obra y su trayectoria que si hubiera seguido al frente de la URSS y del PCUS otra hubiera sido la historia, con cambios y correcciones importantes. Pero se murió a los 53 años. El cambio fundamental habría sido que Stalin no hubiera llegado nunca al poder total, seguramente hubiera terminado afuera del PCUS. Es mi especulación. También contrasto y comparo la dureza implacable de Lenin en la polémica con otros socialistas, incluso bolcheviques y la parquedad con Stalin.

domenica 21 marzo 2021

Elezioni legislative in Israele, la quarta volta in 2 anni

Dalle urne risposte sull'instabilità politica e il futuro dei palestinesi

di Andrea Vento

(Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)  

 

Le nuove, imminenti elezioni anticipate israeliane per il rinnovo della Knesset, alle quali il Paese è chiamato per la terza volta in 3 anni, causate, da un lato, dalla frammentazione e dalla litigiosità delle forze politiche e, dall'altro, dai problemi giudiziari del premier di destra Netanyahu, pongono al centro del dibattito, oltre alla crisi economica e sociale innescata dalla pandemia, la questione della tipologia di politiche da adottare nei confronti dell'Occupazione dei Territori Palestinesi.  

Le posizioni interne di Israele in merito alle politiche espansionistiche e di colonizzazione dei Territori Palestinesi, oltre che frutto di dinamiche autonome, come il graduale spostamento a destra dell'asse politico degli ultimi 20-25 anni, risultano inevitabilmente condizionate dagli atteggiamenti della comunità internazionale. L'appoggio più o meno incondizionato statunitense, con i livelli inesplorati raggiunti dall'amministrazione Trump, e il basso profilo delle potenze e dell'Unione Europea, non propense a limitare i propri rapporti con Israele, nonostante le ripetute violazioni del diritto internazionale, hanno finito per rafforzare le posizioni oltranziste della destra tradizionale, dei partiti dei coloni e di quelli religiosi. Le migliorate condizioni di sicurezza degli oltre 600.000 israeliani insediati nelle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, inoltre, sono stati percepiti all'interno di Israele come il raggiungimento di un livello di "sostenibilità" del conflitto, allontanando la necessità di risoluzione dello stesso. Una porzione crescente di israeliani, pertanto, sono arrivati a ritenere il mantenimento dell'occupazione un "costo accettabile" e, comunque, il "minore dei mali". 

Conseguentemente, il sostegno al cosiddetto "partito della pace" a favore della soluzione a "Due Stati" ha perso progressivamente consensi, scendendo al livello più basso dell'ultimo ventennio, come indica anche il sondaggio effettuato fra giugno e luglio del 2018 dal Palestinian Center for Policy and Survey (Psr) e il Centro Tami Steinmetz per la ricerca sulla pace dell'Università di Tel Aviv[1]Nell'indagine demoscopica veniva presentata una proposta di accordo basata sui "Due Stati" (concernente uno stato palestinese smilitarizzato, il ritiro israeliano sulla linea precedente al 1967, la Green line, con scambi territoriali, il rimpatrio di 100.000 rifugiati palestinesi in Israele come parte del ricongiungimento familiare, Gerusalemme Ovest come capitale di Israele e Gerusalemme Est del futuro stato palestinese, il quartiere ebraico della Città Vecchia e il Muro Occidentale sotto la sovranità israeliana e i quartieri musulmani e cristiani e il Monte del Tempio sotto la sovranità palestinese) che ha raccolto solamente il favore del 39% degli ebrei israeliani e del 37% dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania.

giovedì 18 marzo 2021

A 15O AÑOS DE LA COMUNA DE PARÍS

Cuando los obreros tomaron el cielo por asalto
por Horacio Tarcus

El 18 de marzo de 1871, los artesanos y los obreros tomaron el poder en la ciudad de París; mantuvieron el control durante 71 días. Aunque no respondió a un plan premeditado, la Comuna de París quedó asociada a la Internacional y la raíz común de «comuna» y «comunismo» favoreció el deslizamiento de sentidos. Aunque finalmente fue derrotada a sangre y fuego y muchos de sus participantes fueron fusilados, su difusión global capturó la atención tanto de las clases dominantes como de los sectores populares. Muchos de los símbolos de la izquierda surgieron de ella. Y los communards exiliados alimentarían a las corrientes socialistas en diversos países, incluso en América Latina.

El 18 de marzo de 1871, los trabajadores y los sectores populares de la ciudad de París tomaban el cielo por asalto. La metáfora homérica, que alude a los titanes que tuvieron la osadía de irrumpir en el Olimpo reservado a los dioses, quedó estampada en una carta que ese mismo año Karl Marx le enviaba a su amigo, el médico socialista Ludwig Kugelmann.

A partir del día siguiente, la prensa oficial francesa denunció ante el mundo la temeridad del «populacho» que había formado su propio ejército y convocaba a elegir su gobierno comunal. En pocos días, la prensa de todo el globo se hacía eco de las imputaciones de su par francesa: la Comuna de París era obra de la Internacional, la temible Asociación Internacional de los Trabajadores. Y tras la internacional obrera se escondía un sabio maléfico, empeñado en destruir la obra de la civilización: el «prusiano» Karl Marx, aquel Prometeo que había robado el moderno saber burgués –la Economía Política– para volverlo contra la propia burguesía y entregarlo al proletariado.

sabato 13 marzo 2021

Per il diritto universale alla salute. Basta con le petizioni al WTO (OMC)

di Riccardo Petrella – Agorà degli Abitanti della Terra





L’abolizione dei brevetti dei vaccini è urgente, come anche ridurre i vincoli messi all’esportazione dei vaccini in commercio, ma non bisogna chiederlo al WTO: purtroppo è inutile.

Non dobbiamo attendere nulla di buono dall’ennesima riunione del consiglio TRIPS  del WTO di oggi. Sono mesi che più di 100 Stati,  centinaia a centinaia di associazioni e istituzioni e migliaia di personalità del mondo (da Premi Nobel ad artisti) si stanno battendo, ad ogni riunione del WTO in materia, per ottenere unicamente la sospensione provvisoria ( non l’abolizione) delle regole dei brevetti sul commercio dei vaccini  e altri prodotti medici,  senza ottenere un fico secco.


Le petizioni al WTO sono inutili

I poteri pubblici dei paesi più ricchi e potenti del mondo non osano, non possono farlo, perché sono prigionieri degli interessi economici e finanziari delle imprese private multinazionali che essi stessi hanno difeso con appropriate leggi e misure economiche.

Sanno benissimo che se concedono la sospensione, la loro opposizione all’abolizione dei brevetti sul vivente ne uscirà indebolita e con essa la difesa dei loro interessi e e dei loro poteri sul sistema economico e politico mondiale.

Lo hanno confermato in maniera chiara dieci giorni fa al Consiglio generale del WTO a proposito della richiesta di alcuni paesi (Colombia,Costa Rica, Ecuador, Panama, Paraguay, Norvegia, Nuova Zelanda…) rivolta, de facto, all’Unione europea di ridurre i vincoli messi all’esportazione dei vaccini in commercio.

La dichiarazione del 4 marzo della Ue

Nella sua Dichiarazione del 4 marzo la Commissione Europea (Ue) è stata molto chiara e esplicita.

Essa ha spiegato che i mecanismi di trasparenza e di autorizzazione da essa recentemente introdotti relativi all’esportazione di vaccini dai paesi EU  mirano  a “ to ensure that vaccines and their ingredients are not directed to export destinations in unjustified volumes”. 

Per quali ragioni? “Like many other countries, the European Union has also struggled with the lack of transparency in the delivery of vaccines, the production of which it has pre-financed Our inquiries into reasons for delays did not result in satisfactory answers from some vaccine manufacturers”. 

Altrimenti detto, la Commissione europea conferma che i ritardi registrati nella consegna delle dosi sono stati dovuti all’esportazione non autorizzata delle dosi promesse ( già pagate dall’UE) e prodotte in Europe.

Inoltre, la Commissione riconosce che:

  • “We are in a situation where some vaccine producers have overpromised and under delivered. They have committed more than what they produce”. L’UE lo sapeva, C’è da sperare che non lo abbia scoperto solo alcune settimane fa. E perché allora ha firmato dei contratti che danno a dette imprese il monopolio esclusivo di produzione? 
  • “We need to ensure a transparent distribution of vaccines and avoid a situation where the much-awaited vaccine goes to the highest bidder or distribution is left to the arbitrary decision of vaccine producers “. Ma come possono le imprese multinazionali private produttrici dei vaccini esercitare decisioni arbitrarie in materia di distribuzione? Qual é allora il potere decisionale degli Stati che hanno pagato in anticipo le dosi? Dobbiamo interpretare la dichiarazione dell’UE come un’ammissione che il potere degli Stati è limitato e che i loro poteri di controllo sulle imprese sono inadeguati?
  • “It should be recalled that the Covid-19 vaccine production capacity in Europe, that we share with the world, was created through the European Union’s support to vaccine producers in the form of the Advanced Purchased Agreements. The European Union has not restrained the ability of vaccine producers to engage with other partners, but expects them to be fair when delivering on their contractual obligations. In realtà, pur protestando nei confronti delle imprese produttrici di vaccini e ricordando loro che la produzione dei vaccini, e quindi i loro profitti, è stata resa possibile grazie principalmente agli Adanceved Purchased Agreements dei poteri pubblici, la Commissione  si limita a domandare loro un comportamento leale!.  Appiattimento?

Infine, e soprattutto,  la Commissione dichiara:

 Scaling-up of production on a global level (…)t will not happen without increased global collaboration with the pharmaceutical industry. Bella proposta! We should facilitate this collaboration, while also recognising that intellectual property provides the necessary platform for it to take place” .Ottima affermazione. Peccato che la realtà, non solo degli ultimi venti anni ma anche degli ultimi 12 mesi, dimostra il contrario.

E, ciliegina sulla torta”, “Waiving intellectual property rights would disrupt this collaboration and the transfer of know-how, which should facilitate the transfer of the right know-how and technology for the highly complex vaccine production process”. Ecco una falsità detta in maniera chiara e tonda senza mezzi termini. Sospendere l’applicazione delle regole dei brevetti sui vaccini “disturberebbe” la collaborazione con le imprese farmaceutiche.  Che dire di più?

Conclusione. Come si puo’ pensare che l’Ue , otto giorni dopo, accetti di approvare  decisioni totalmente contrarie alla dichiarazione del 4 marzo?

E’ evidente che mai  i dominanti attuali cederanno sul principio del  primato dei brevetti. Tocca ai cittadini obbligare i rappresentanti eletti a rispettare il diritto di vita di tutti gli abitanti della Terra. Per questo l’Iniziativa Europea “Right2Cure” è di fondamentale importanza. Essa non è una petizione alle autorità europee. Per quanto limitato, è uno strumento di partecipazione alle decisioni nel campo della politica europea della salute. 

Esso deve essere accompagnato da una forte mobilitazione di denuncia della tendenza attuale nel mondo da parte dei poteri pubblici di accettare e rinforzare la loro abdicazione e trasferimento dei loro poteri a soggetti privati mondiali i cosidetti stakeholders, detentori di più di 120 000 brevetti sul vivente e sull’intelligenza artificiale. Gli stakeholders sono soggetti che non hanno, per definizione, il compito di garantire e promuovere i diritti universali alla vita per tutti gli abitanti  della Terra.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 8 marzo 2021

ROSA LUXEMBURG: FELIZ CUMPLEAÑOS! (150 Y SIEMPRE VIVA…)

BILINGUE: ESPAÑOL - ITALIANO

REVOLUCIONARIA, MUJER, FEMINISTA
por Antonella Marazzi

Recordando el asesinato de Rosa Luxemburg y Karl Liebknecht el 15 enero de 1919, publicamos la intervención de Antonella Marazzi en el Encuentro sobre Rosa Luxemburg - a 90 años de la muerte - organizado por Utopía Roja en Roma en septiembre de 2009. [la Redacción]

Rosa Luxemburg en 1893
Mi primer encuentro con Rosa se remonta a los comienzos mismos de los años 70, cuando, joven militante, intentaba darme una formación teórica de base con métodos tan apasionados como caóticos. Recuerdo que tuve la impresión de una mujer decidida, de fuerte personalidad política y brillantes dotes teóricas que atravesó como un cometa el horizonte político de la Segunda Internacional para acabar siendo asesinada por la contrarrevolución alemana, después de haber polemizado con algunas de las mentes revolucionarias de su época. En el curso de los años, volví sobre algunas de sus obras, siendo la última de ellas en orden temporal La Revolución rusa. El encuentro organizado en Roma por Utopía Roja a noventa años de su muerte me ha dado la oportunidad de reencontrarla. Y es así que he pasado con ella el último trozo de un calurosísimo verano, leyéndola sobre las ondas de un lago, en contacto inmediato con esa naturaleza que ella amó en sus múltiples aspectos y en la cual buscó sumergirse siempre que le fue posible.
A mi juicio, Rosa ha representado, de modo insuperable, el único ejemplo de mujer revolucionaria a tiempo completo que lograra practicar de modo concreto la fusión entre la militancia activa entre los movimientos de lucha de su época – como agitadora y dirigente – y el empeño teórico. Un empeño volcado en el campo de la polémica con algunos de los más famosos y prestigiosos intelectuales de su tiempo como Bernstein, Kautsky y el propio Lenin (además de Trotsky con quien estuvo con frecuencia de acuerdo). Una producción teórica dirigida a denunciar posiciones que, a sus ojos, representaban un peligro concreto en la vía de la revolución: contra el revisionismo de Bernstein (¿Reforma social o revolución?); contra la teoría leninista del partido (Problemas de organización de la socialdemocracia rusa) y contra la concepción burocrática de la relación entre movimiento de masa, partido y sindicato (Huelga de masa, partido, sindicatos); contra el nacional-chovinismo de Kautsky y de la mayoría del Spd a partir de 1907 (La crisis de la socialdemocracia); contra los peligros de degeneración de la revolución rusa del 17 (La Revolución rusa).
Tampoco hay que olvidar sus textos de economía política como la Introducción a la economía política y La acumulación del capital - en el cual se mide directamente con el Marx de El Capital - elaborados en el período en el que enseñó en la escuela de cuadros del Spd a partir de 1907. Por no hablar también de la prodigiosa mole de artículos publicados en los órganos de prensa del partido en los cuales militó y/o contribuyó a fundar: Partido socialdemócrata alemán (Spd), Partido socialdemócrata de Polonia y Lituania (Sdkpil), Spartakusbund, Kpd. Todo ello la coloca, única mujer en toda la historia del movimiento obrero de la Primera a la Tercera Internacional, en el mismo plano de personalidades político-revolucionarias consumadas como Lenin y Trotsky, que supieron unir la militancia activa a la cabeza de las masas en medio de las revoluciones sociales de su época a una producción teórica de alto nivel, íntimamente ligada a las temáticas que las tareas de la revolución mundial ponían al orden del día.
Pero ¿quién era esta mujer que supo conquistar un puesto de tanta autoridad en la socialdemocracia alemana y en la Segunda Internacional?

sabato 6 marzo 2021

KRONŠTADT (marzo 1921). 100 ANNI FA, L’ULTIMA RIVOLUZIONE COMUNISTA DELLA STORIA

di Roberto Massari

Cari compagni/e, in questi giorni ricorre il 100° anniversario della rivolta degli operai e marinai di Kronštadt che fu soffocata nel sangue dal governo bolscevico il 17 marzo 1921. Quella rivolta Ia considero da sempre (almeno dal 1972-73, quando ne parlai nel mio primo libro, sull’autogestione, Jaca Book 1974) come l’ultimo tentativo di rivoluzione operaia, soviettista, anticapitalistica e antiburocratica: «comunista» in questo senso.
L’anniversario sta passando inosservato. Io vorrei invece attirare l’attenzione sull’evento, fornendovi il Pdf del capitolo che ho dedicato alla Terza rivoluzione russa, al Soviet di Kronštadt e al suo massacro nel mio libro Lenin e l’Antirivoluzione russa (2018, pp. 368-381). Purtroppo è solo in italiano (ma forse qualche persona volenterosa lo tradurrà in altre lingue).

Kronštadt è stato uno spartiacque nella storia del comunismo e del movimento operaio internazionale. Purtroppo all’epoca Lenin, Trotsky, Kollontaj e tutti i dirigenti della Seconda rivoluzione russa si trovarono dall’altra parte, dalla parte dell’Antirivoluzione che stava rapidamente trasformandosi in Controrivoluzione (anche grazie al massacro di Kronštadt).
Per me (e spero anche per molti di noi, utopisti rossi e non) è una data storica nella sua tragicità. Ma è anche un criterio storiografico per qualsiasi spiegazione di ciò che è poi avvenuto, dallo stalinismo ai nostri giorni.
Vi prego quindi di leggere il mio testo e di farlo circolare. Io ve lo invierò ancora un paio di volte fino al 17 marzo.

Bon 100ème anniversaire.
R.M.
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P.S. Allego in Word solo la prima pagina del capitolo

100 ANNI FA, L’ULTIMA RIVOLUZIONE COMUNISTA DELLA STORIA:
KRONŠTADT (marzo 1921)
di Roberto Massari

(dal libro Lenin e l’Antirivoluzione russa, 2018, p. 368)

La Terza rivoluzione russa (Kronštadt)
«1917-1919 Гг. Β здании Морcкого офицерского cобрания помещался и работал первый Совет рабочих, матросских и солдатских депутатов (B zdanii Morskogo ofitserskogo sobranija pomeščalsja i rabotal pervyj Sovet rabočich, matrosskich i soldatskich deputatov) [Anni 1917-1919. Nell’edificio dell’assemblea degli ufficiali della Marina ebbe la sede e lavorò il primo Soviet dei deputati operai, marinai e soldati]»
             (epigrafe da me fotografata a Kronštadt nel 2014)

Era un giorno luminoso di primavera e mi aggiravo per le vie di Kronštadt nello stato d’animo del pellegrino che, percorsa la via Francigena, è finalmente arrivato alla tomba in cui s’illude che sia sepolto l’Apostolo Pietro. Ero in pellegrinaggio anch’io e m’illudevo o piuttosto speravo di trovare in quell’estrema insenatura del mar Baltico una scheggia di memoria della grande epopea lì vissuta nel 1921, novantatré anni prima. Sicché, quando giunsi alla palazzina un po’ malridotta in cui si era riunito il più combattivo e il più democratico soviet della storia, dovetti cedere all’emozione. Ma durò poco. Appena lessi l’epigrafe sul muro esterno mi trovai d’un tratto nella situazione opposta rispetto al pellegrino romeo: a lui volevano far credere che nella tomba sacra del cristianesimo la «cosa» c’era; a me invece volevano far credere che in quella tomba un po’ meno sacra del comunismo-leninismo la «cosa» non c’era mai stata.
Sulla lapide di granito, infatti, era inciso che il Soviet si era lì riunito dal 1917 al 1919. Se ne sarebbe dovuto dedurre, quindi, che dopo quella data esso fosse scomparso, volatilizzato nella storia.
Se si cancella in tal modo un biennio decisivo nella vita del Soviet di Kronštadt, tutto diventa più facile: nel 1921 lì non c’era stata alcuna rivolta dei lavoratori da domare, nessun soviet dei deputati operai, marinai e soldati da distruggere, nessuna opposizione alla dittatura bolscevica da decimare, nessun inizio di una nuova terza rivoluzione. Al massimo vi sarà stato un tentativo di putsch della controrivoluzione bianca.
Eppure i muri di quell’edificio avrebbero potuto raccontare tutt’altra storia. E lì a un tratto mi parve quasi di riascoltarla, con il vocìo e il trambusto provenienti dall’interno, da quella prima euforica assemblea in cui a Kronštadt si cominciò a mettere in pratica la democrazia diretta, per realizzare il sogno di una società egualitaria, più giusta e libera. Tutto prese il via nei saloni di quell’edificio che all’epoca avrà certamente avuto ancora una sua aristocratica bellezza: cominciò il primo marzo 1917, il giorno che vide l’elezione del «Comitato di Kronštadt del Movimento nazionale» (poi più semplicemente Comitato del Movimento) a base soprattutto militare; proseguì il giorno dopo con la nascita dell’Assemblea dei delegati dell’esercito e della marina. Al terzo giorno i due organismi si riunirono e per farlo scelsero come sede proprio il palazzo dell’Assemblea navale, ex circolo degli ufficiali di Kronštadt davanti al quale mi ero fermato. Il 5 marzo nasceva il Soviet dei delegati operai, mentre il 6 si istituiva la milizia cittadina e l’assemblea costitutiva del Soviet dava mandato per formare anche il Soviet dei soldati e marinai (con delegati di fanteria, artiglieria, genio, amministrativi e ovviamente marinai).
In pochi giorni le istituzioni della vecchia Russia zarista erano scomparse, mentre i rappresentanti locali del Governo provvisorio venivano a loro volta privati di ogni autorità e destituiti dalle loro cariche, anche se per lo più furono le cariche a scomparire prima dei funzionari. Nella prima settimana di marzo, Kronštadt aveva realizzato in pochi giorni il proprio Febbraio, dando avvio anche lì alla Seconda rivoluzione russa; ma in modo così rapido che il prezzo in vite umane pagato dalla vecchia guardia zarista finì con l’essere tutto sommato modesto, per i tempi che correvano: furono uccisi una cinquantina di ufficiali e una trentina fra poliziotti e spie, nessuna vittima tra i civili. 
[continua]


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martedì 2 marzo 2021

Corrupción en Guatemala:

¿Estados Unidos tiene que arreglarla?

 

por Marcelo Colussi 


Corrupción e impunidad son dos constantes que recorren toda Latinoamérica. Partamos por decir que ambos fenómenos (en otros términos: la transgresión, la fascinación con el poder) son notas distintivas de lo humano. Se dan en todos lados, en los empobrecidos países del Sur así como en la prosperidad insultante del Norte. Sucede que en nuestra empobrecida región, donde las carencias son tan abrumadoras, hechos corruptos por parte de los gobernantes cobran una relevancia monumental. En Guatemala, por ejemplo, el tráfico de influencias contribuye a mantener las impresionantes diferencias económico-sociales; en Estados Unidos, por el contrario, existen empresas de lobbytotalmente legales (son lo mismo: cabildeo a espaldas de la población). Ante la pobreza generalizada, la corrupción de un funcionario se presenta como “excesiva”. ¿Por qué sería “honesta” la fortuna de un millonario -hecha con el trabajo de los explotados trabajadores- y “deshonesta” la de aquel que robó fondos públicos? No olvidar nunca que “la propiedad privada[de los medios de producción]es el primer robo de la historia”, como decía el anarquista Proudhon. 

 

No es cierto que la corrupción abierta de los venales funcionarios públicos del Tercer Mundo sea la causa de la miseria de sus poblaciones. Pero es ese un muy útil chivo expiatoriopara las clases dirigentes, un expediente fácil para descargar responsabilidades: las penurias crónicas de las masas empobrecidas se “debería” al robo descarado de los gobernantes. Ese es el discurso dominante; e incluso, con toda la carga moral de por medio, es muy creíble, porque toca fibras íntimas. Apelar a los “malos de la película”, en una macabra maniobra maniquea, da resultado: “estamos mal por culpa de los políticos corruptos que se roban todo”. 

 

¡Tremenda falacia! La exclusión de las grandes mayorías es producto del sistema capitalista, ¡de la explotación!, de la extracción de plusvalía, donde solo una pequeñísima fracción de la población (los dueños de los medios de producción, y nadie más) se queda con el fruto del trabajo de la inmensa clase trabajadora (obreros, campesinos, cualquier tipo de asalariado, el trabajo hogareño no remunerado, en general desarrollado por las mujeres). Los vueltos y sobrefacturación de viáticos (y alguna que otra cosita más por ahí) con que se quedan los dirigentes, los políticos profesionales que operan las palancas del Estado, son limosnas al lado de las gananciasde las clases explotadoras (por ejemplo: 4,000 dólares mensuales de salario de un diputado contra 10 millones de dólares al mes de los grandes grupos económicos, los verdaderos y únicos dueños de la fincallamada Guatemala). 

 

Guatemala, no es ninguna novedad, presenta altísimos índices de corrupción. Su oligarquía tradicional (agroexportadora, diversificada en algunas industrias y servicios, dueña del capital financiero, tradicional dueña del país, en muchos casos orgullosa de su linaje español no contaminadacon la “indiada”), los nuevos ricos de estos años, con fortunas amasadas desde la contrainsurgencia anticomunista durante los años en que el generalato manejó la política oficial en la guerra interna (negocios “calientes”: narcoactividad, contrabando, trata de personas, contratos espurios con el Estado) y los operadores políticos de ambos grupos de poder (léase: los gobiernos de turno), se mueven con la más absoluta impunidad.