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martedì 25 settembre 2018

The Russia, Iran, Turkey, Israel and Syria Mosaic


 by Pier Francesco Zarcone*

ROME (IDN) – Recent events in Syria (downing of a Russian Ilyushin plane and an agreement between Russian President Vladimir Putin and Turkish President Recip Erdoğan on Idlib) lead to some reflections starting with the Israeli bombing that caused more than ten Russian deaths. 
Many political observers, including Alberto Negri writing in a September 19 article on the Antidiplomaticosite, have noted that when Israel is involved Putin is less decisive than usual. In fact, so far there has been no real Russian reaction to many Israeli violations of Syrian sovereignty, apart from certain formal protests.  
However, caution in this case is more than justified, because – beyond the fact that about one million Russian Jews live in Israel – with the United States (and France) burning with the desire to launch a military attack on Syria, the situation could become critical at any moment and modern history teaches us that it is known how certain things begin but not how they evolve.
In the case of the Ilyushin, Israel risked a lot and perhaps those who claims that the (so far) measured Russian reaction and Putin's phone call to Benjamin Netanyahu – in which the violation of agreements to prevent dangerous incidents was denounced – together with Israeli silence would confirm that the powers in Jerusalem are aware of having come a hair's breadth from the limit. The fact is that in six months Israel has carried out about 200 air and/or missile attacks on Syrian targets.

lunedì 24 settembre 2018

Guatemala: La política no es “cosa de locos”… ¿O sí?

de Marcelo Colussi


“Locura” no es un término científico. Si bien es cierto que se asocia inmediatamente con la siempre mal definida idea de “enfermedad mental”, hay que hay notar que es, en todo caso, una designación de signo ideológico que sirve para marcar, para etiquetar, para sacarse de encima lo que molesta a la “sana” normalidad. Proviene del latín “locus”: lugar, significando entonces –jugando un poco con la semántica–: “el que está en un lugar determinado, que no es el lugar correcto”. Padecer “locura”, estar “loco”, entonces, sería no sólo haber perdido el sano juicio sino ocupar un lugar de exclusión. Y, por supuesto, ahí entra de todo un poco, desde psicóticos alucinados a marginales varios, desde “inmorales” de toda laya hasta todo aquel que la “sana” conciencia ve como raro, peligroso, un atentado al orden y las buenas costumbres.  
“Los pueblos tienen los gobiernos que se merecen”, se ha dicho por allí (expresión atribuida incorrectamente a Nicolás Maquiavelo, pero en verdad del francés Joseph de Maistre), frase que levanta las más enconadas reacciones. En todo caso, hay que situar la aseveración: la clase política es una expresión de la dinámica social. No es que, como pueblo, nos merezcamos “corruptos y ladrones”. Sucede, en todo caso, que los políticos profesionales que supuestamente representan a las grandes mayorías son una expresión –¿un síntoma?– de cómo funciona la sociedad en su base.  

venerdì 21 settembre 2018

RUSSIA, IRAN, TURCHIA, ISRAELE E LA SIRIA

di Pier Francesco Zarcone



I recenti avvenimenti siriani (abbattimento di un Ilyushin russo e accordo tra Putin ed Erdoğan su Idlib) inducono ad alcune riflessioni a cominciare dalla gherminella israeliana che ha causato più di dieci morti russi. In un articolo comparso il 19 settembre sul sito l’Antidiplomatico, Alberto Negri notava che quando c’è di mezzo Israele Putin è meno decisionista del solito. E infatti finora non c’è stata alcuna concreta reazione russa a tante violazioni sioniste della sovranità siriana, al di là di certe formali proteste. Comunque, la prudenza in questo caso è più che giustificata, poiché – al di là del vivere in Israele circa un milione di ebrei russi – con Stati Uniti (e Francia) che ardono dalla voglia di scatenare un attacco militare contro la Siria, la  situazione potrebbe diventare critica da un  momento all’altro e la storia moderna ci insegna che certe cose si sa come cominciano ma non come poi evolvono. 
Nel caso dell’Ilyushin Israele ha rischiato molto e forse non sbaglia chi sostiene che la (finora) misurata reazione russa e la telefonata di Putin a Benjamin Netanyahu - in cui si è denunciata la violazione degli accordi per prevenire incidenti pericolosi  - insieme al silenzio israeliano attesterebbero che a Gerusalemme si è consapevoli di essere arrivati a un pelo dal limite. Sta di fatto che in sei mesi Israele ha affettuato circa 200 attacchi aerei e/o missilistici su obiettivi siriani.    
D’altro canto entrare in campo contro Israele è militarmente pericoloso, in ragione delle predette e non nascoste velleità degli alleati dello Stato sionista, per cui è più consigliabile per Mosca limitarsi alle manovre diplomatiche; quand’anche non sempre funzionino. Da tener presente che Israele fa comodo alla Russia per il suo prestarsi a manovre finanziarie utili per aggirare le sanzioni degli Usa e dell’Eu; il controfavore è dato dagli ostacoli russi alla campagna di boicottaggio antiisraeliana.
Ma nel Vicino Oriente la fiducia è moneta assai rara, e lo dimostrano i continui interventi israeliani in Siria in funzione antiiraniana. Vale a dire, il governo di Israele sa benissimo cosa rappresenti per esso la presenza russa in territorio siriano, cioè un ostacolo all’egemonia dell’Iran su quel paese, ma – evidentemente non fidandosene sino in fondo – non rinuncia a propri interventi per colpire obiettivi e linee di rifornimento iraniani e di Hezbollāh. Tanto più che si tratta di nemici anche degli Stati Uniti, per cui può dirsi che tali azioni militari israeliane siano effettuate anche per procura statunitense.
Sembra che di fatto Israele si sia decisa ad accettare il salvataggio di Bashar al-Assad fatto dalla Russia, senza tuttavia rinunciare alle azioni contro la presenza iraniana in Siria, e in un certo senso la Russia lo permette, ma entro certi limiti, varcati nel caso dell’Ilyushin. Nella logica dei giochi internazionali di potenza non vale ricordare che sono stati appunto iraniani e milizie sciite a dare sul terreno una congrua mano per l’attuale vittoria del governo di Damasco, di cui la Russia è alleata; e neppure dice molto l’attuale ententefra Mosca e l’Iran.
Quest’ultimo aspetto è alquanto articolato. Sembra che quando nel 2015 Putin decise di intervenire in Siria (sede dell’unica base navale russa nel Mediterraneo, a Tartus) perché il governo di Assad era alle prese con una fase della guerra militarmente sfavorevole, a Damasco fosse in atto uno scontro tra settori dei servizi segreti e delle Forze Armate divisi circa l’opportunità o meno di buttarsi in braccio all’Iran ai fini della salvezza. L’intervento russo ha sorpassato tale problema, e Mosca ha conseguito sei risultati al suo attivo: messa in sicurezza della base di Tartus; salvataggio del governo di Assad legandolo strettamente a sé; accrescimento del proprio prestigio almeno nelle zone sciite del Vicino Oriente e nei settori  musulmani (anche sunniti) in attesa che qualcuno si decidesse a intervenire con efficacia contro i jihadisti; allontanamento del pericolo di una massiccia azione militare degli Stati Uniti e loro alleati nel caso di vittoria a Damasco della fazione filoiraniana, per quanto Obama fosse restio a imbarcarsi in una guerra contro l’Iran; garanzie all’Iran circa la possibilità di azione delle milizie sciite; ma anche virtuali garanzie a Israele circa il controllo russo sull’azione di queste milizie. Quest’ultimo tassello a maggio di quest’anno si sarebbe concretizzato in un accordo russo-israeliano, più o meno segreto, sul posizionamento di questi miliziani a un’adeguata distanza dal confine. 
L’attuale ententetra Russia e Iran non va sopravvalutata, bensì considerata semplicemente per quello che è: una contingente convergenza di interessi di ciascuna delle parti, nella quale la millenaria, astuta e paziente diplomazia persiana sa benissimo che al  momento conviene mandar giù il boccone - un po’ amaro - dell’interferenza russa sulle mire egemoniche dell’Iran anche riguardo alla Siria. D’altro canto, seppure col tratto terminale in cui “l’azionista di maggioranza” è la Russia, per certi versi l’agognato corridoio sciita potrebbe dirsi realizzato. Poi si vedrà, a seconda dell’evolversi degli scenari internazionali e locali. 
L’ulteriore successo di Putin si è verificato a Sochi il 16 settembre  mediante l’accordo concluso con Erdoğan su Idlib, sostanzialmente rinviando a data da destinarsi l’offensiva militare russo/siriana contro l’ultimo pezzo di Siria in mano ai jihadisti. In questo modo si è scongiurato il minacciato intervento statunitense (a tutela dei jihadisti accampando pretesti umanitari) qualora l’offensiva avesse avuto inizio. Anche qui Putin si è mosso accortamente accordandosi con la Turchia e l’Iran e tagliando fuori Washington, a cui è stato altresì tolto il pretesto per l’intervento. Si potrebbe considerare l’ultima incursione israeliana in Siria come frutto della rabbia per l’accordo di Sochi. Difatti, nel citato articolo, Alberto Negri ha concluso chedue ex imperi, il russo e l’ottomano, benedetti da quello persiano, si sono accordati mentre l’impero americano ha lasciato che Israele bombardasse senza chiedere il permesso di nessuno.
Superfluo dire che si tratta di un’intesa pro tempore: la creazione di una zona-cuscinetto presidiata da una forza congiunta di polizia militare russa e soldati turchi, per separare jihadisti ed esercito siriano, come pure la consegna delle armi pesanti da parte dei primi sono misure palesemente funzionali a creare spaccature tra i ribelli più radicalizzati (per esempio Hayat Tahrir al-Sham, la costola di al-Qaida) e quelli maggiormente propensi a un accordo di accordo di pace garantito dalla Turchia. Una volta raggiunto questo obiettivo, la Turchia (in fin dei conti ancora membro della Nato) dovrebbe consentire l’attacco russo/siriano per eliminare gli ultimi irriducibili.  

          Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 10 settembre 2018

SUL «SOCIALISMO CON CARATTERISTICHE CINESI», OVVERO DEL CAPITALISMO REALMENTE ESISTENTE IN CINA

di Michele Nobile

1. Il problema posto dalla epocale trasformazione sociale della Cina 
La «pacifica ascesa» o «pacifico sviluppo» della Cina costituisce uno dei processi più notevoli dell’economia mondiale a cavaliere dei secoli XX e XXI, forse ilpiù importante. Nel corso dei quattro decenni dell’epoca delle riforme economiche i tassi di crescita del prodotto per abitante, della produzione industriale e delle esportazioni sono stati impressionanti. Il governo cinese può sostenere con orgoglio che dal 1978 il prodotto interno si è moltiplicato e la parte della Cina nella produzione mondiale è aumentata di 4 volte, che la Cina è il primo paese esportatore del mondo e quello con le più ampie riserve valutarie (la maggior parte in dollari). Per millenni l’Impero cinese è stato il più vasto serbatoio mondiale di forza lavoro contadina: nel 1949, anno di nascita della Repubblica popolare, la popolazione residente in aree urbane era l’11% del totale e solo il 19% trenta anni dopo, all’inizio delle riforme. Nel 1999 la quota della popolazione urbana era già salita al 35% ma entro il 2010 era cresciuta di altri 15 punti, fino al 50%, e nel 2017 ammontava a oltre 813 milioni di persone, il 58,5% della popolazione totale1

venerdì 7 settembre 2018

Vuelve la contrainsurgencia en Guatemala

Marcelo Colussi

En Guatemala, salvo el ya lejano gobierno revolucionario de 1944-54, nunca hubo una propuesta gubernamental de izquierda. El retorno de esta “democracia” en 1986 marcó, en todo caso, la salida de los militares de la primera línea del espectro político. Pero nunca, en ningún caso, algún gobierno tuvo posiciones de izquierda, ni militares ni civiles. Sucede, sin embargo, que en este momento del actual gobierno de Jimmy Morales, todo el accionar se vuelca peligrosamente hacia posiciones de ultra derecha.

¿Por qué decir “peligrosamente”? Porque la dinámica que se está viendo muestra un tremendo retroceso que nos acerca a posiciones que parecían ya superadas, aquellas que tuvieron lugar durante los peores años de la guerra contrainsurgente. 

Todas las administraciones que, luego de interminables años de generalato durante la guerra, continuaron a la iniciada en 1986 con Vinicio Cerezo, fueron de derecha. Eso está fuera de discusión. Impunidad y corrupción siguieron siendo práctica cotidiana, tanto en la forma de hacer política (con la llamada “clase política”) como en el mundo de los negocios. Empresariado, políticos mafiosos y militares –en todos los casos con la venia de la omnipresente embajada de Estados Unidos– continuaron sin variantes su dominación de clase. El supuesto voto popular no modificó en nada todo este panorama (¿por qué habría de modificarlo? ¡No seamos ingenuos!)