CONTENUTI DEL BLOG

giovedì 24 novembre 2016

DONALD TRUMP: ¿CAMBIOS A LA VISTA?, por Marcelo Colussi

¡Los libros son inútiles! Yo leí un único libro en mi vida: «Matar un ruiseñor». ¡Y no me dio ninguna información sobre cómo matar ruiseñores! Sí, es cierto que me enseñó a no juzgar a un hombre por el color de su piel, ¿pero eso para qué me sirve?

¡Televisión! Maestro, madre, amante secreta.
(Homero Simpson)

Las recientes elecciones en Estados Unidos, con el triunfo de Donald Trump, han abierto una serie interminable de especulaciones. La presente -quizá, finalmente, una más de tantas- pretende no ser eso sino, antes bien, una afirmación: no sabemos con certeza qué va a pasar. De eso podemos estar seguros: nadie sabe con exactitud para dónde van las cosas.
De haberse impuesto Hillary Clinton, la candidata natural de Wall Street, del gran capital financiero, las petroleras, del complejo militar-industrial y las grandes corporaciones mediáticas, todo se sabría con claridad: seguiría todo igual. Es decir: en lo que concierne a su política externa, los planes neoliberales impulsados por los organismos de Bretton Woods (Banco Mundial y Fondo Monetario Internacional), las guerras “preventivas”, la injerencia descarada de Washington en los asuntos internos de casi todos los países del mundo y su voracidad consumista sin límites, no se modificarían. Estados Unidos seguiría siendo la gran potencia, empantanada a partir de la crisis del 2008, perdiendo cada vez más terreno en el ámbito económico, compitiendo geopolíticamente con Rusia y China y coqueteando con la posibilidad de una tercera guerra mundial.
Nada de eso se hubiera modificado en la arena internacional. Y en lo interno, tampoco. Es decir: seguiría el proceso de empobrecimiento de su clase trabajadora a partir de la relocalización creciente de su parque industrial (instalación de sus empresas en otros puntos del mundo aprovechando mano de obra más barata y exenciones impositivas) y de la crisis capitalista que aún no termina, seguirían las deportaciones de inmigrantes indocumentados (con Barack Obama se deportaron 3 millones de “mojados”, la misma cantidad que promete expulsar Donald Trump), y probablemente seguirían ciertas acciones políticamente correctas, más cosméticas que otra cosa, en relación a derechos civiles de los estadounidenses (matrimonios gay, leyes de aborto, legalización de la marihuana para fines recreativos, reivindicación de algunas minorías y un discurso -léase bien: ¡discurso!, no otra cosa- con un talante medianamente socialdemócrata).
¿Qué pasará con Trump en la Casa Blanca? ¿Cambiará todo eso?

domenica 13 novembre 2016

A LEONARD COHEN: POETA, SCRITTORE, UOMO, di Antonio Marchi

Non ho dubbi: se c'era un premio Nobel da dare l'avrei senz'altro conferito a un più completo (nel senso della letteratura e della poesia) Leonard Cohen, poeta e scrittore di talento - a differenza di Bob Dylan - cantante acclamato da più generazioni; schivo e solitario, perennemente inquieto e insoddisfatto, ma non per questo disdegnoso del confronto coi media.
Di Cohen Fabrizio De André disse: «Lui è il maestro. Tutti noi siamo partiti da lì».

Ed ecco come tutto cominciò: «È stato Lorca a commettere il terribile crimine contro natura, spingendomi verso la letteratura. Avevo quindici anni quando mi accostai alla sua opera. I primi versi che lessi furono:

Sotto l'arco di Elvira
voglio vederti passare
per conoscere il tuo nome
e iniziare a piangere.

Quella frase distrusse la mia vita. Compresi che la mia esistenza sarebbe stata uno sforzo continuo per scrivere, un giorno, una frase come quella».

sabato 12 novembre 2016

A CENA CON ROBERTO MASSARI, di Serena Campani

Andrea Vento e Roberto Massari
È impossibile non rimaner affascinati da Roberto Massari: tre lauree e una piccola ma agguerrita casa editrice nei pressi del lago di Bolsena. Fine intellettuale e poliedrico artista: musicista, poeta, pittore, sociologo. Presidente della Fondazione Guevara internazionale, ispiratore del blog Utopia Rossa.
Giovedì 10 novembre Massari, venuto a Pisa in occasione del Pisa Book Festival, importante appuntamento per l'editoria indipendente che si tiene al Palazzo dei Congressi dall'11 al 13 novembre, ha presentato il saggio di Deschner Con Dio e con i fascisti, incontrando un pubblico interessato e numeroso presso il ristorante Soul Kitchen, sulla via Aurelia.
L'iniziativa, organizzata dal Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (Giga) e dall'Associazione Pisorno, ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti di associazioni locali che operano sul territorio pisano e livornese: la Libera Università Popolare di Livorno, l'Associazione di cooperazione internazionale Italia-Nicaragua, l'associazione Lucca contro la guerra di Aldo Zanchetta. Inoltre sono intervenuti studenti universitari, insegnanti di vario ordine e grado, cittadini provenienti da Pisa, Livorno e Lucca interessati ad approfondire le tematiche proposte.
Dopo una buona carrellata di cucina locale, durante la quale i commensali si sono potuti intrattenere a conversare in maniera informale con Massari, ha avuto luogo la presentazione del saggio. Nello specifico l'editore si è soffermato sulle connivenze tra la Chiesa, in particolare quella tedesca, e il nazismo, e sulla mancata presa di posizione di papa Pio XII di fronte alle indicibili atrocità commesse, come la Shoah e il programma di sterminio dei malati, denominato «Aktion T4».
Roberto ci ha raccontato anche un fatto assai toccante e personale: suo nonno materno, Otello, è stato barbaramente ucciso nella strage delle Fosse Ardeatine e lui dopo tanti anni ha potuto costituirsi parte civile nel processo contro Priebke. La vicenda, raccontata nel libretto Un ebanista alle Fosse Ardeatine, ha intimamente toccato tutti i presenti.

venerdì 11 novembre 2016

PRESIDENZIALI USA: TRUMP VINCE PERDENDO MENO DI HILLARY, di Michele Nobile

La vittoria elettorale di Donald Trump ha suscitato notevole clamore, quasi fosse destinato a diventare un novello Ronald Reagan. Certamente, la conquista della presidenza e delle due camere da parte di repubblicani radicalizzati verso destra è cosa che promette male per i lavoratori, i comuni cittadini statunitensi e gli immigrati. Non a caso Trump ha ricevuto sincere congratulazioni dalla destra pseudopopulista europea: da Marine Le Pen e dal padre, dall'ungherese Viktor Orbán, dall'austriaco Heinz-Christian Strache, l'olandese Geert Wilders, dal britannico Farage, dagli italiani Matteo Salvini, Roberto Fiore (Forza Nuova), via via fino a Putin, il caso più significativo. Non che nella postdemocrazia europea socialiberisti tipo Hollande o Renzi promettano chissà cosa…
Tuttavia, per le ragioni che seguono, non ritengo che il successo di Trump, in realtà un insuccesso di Hillary Clinton, costituisca una svolta per l'opinione pubblica statunitense, di sicuro non nel senso di una rivolta indirizzata a destra e in senso xenofobo dei forgotten men and women – un'allusione che evita termini sgradevoli come working class o working poor o unemployed. La questione cruciale - tanto più con le tendenze elettorali della postdemocrazia - è che la ripartizione dei voti validi è determinante ai fini istituzionali e del governo ma può non essere significativa per comprendere lo stato d'animo di un popolo in quel determinato momento o delle tendenze profonde e delle motivazioni1. Ed è questo che mi interessa ora. Per questo, però, occorre andare oltre il fuoco d'artificio del dato istantaneo e aggregato sui voti validi, altrimenti si resta abbagliati dallo spettacolo pirotecnico. E Trump in questo è stato bravo, come Berlusconi a suo tempo.

Diamo i numeri: ha vinto chi ha perso meno
La prima considerazione da fare è che Trump non ha vinto con il consenso del 47,7% degli elettori statunitensi, ma dei votanti. Questa è una percentuale calcolata sui voti validi, non sul totale degli elettori, o meglio sul totale della voting-eligible population (Vep), l'insieme di coloro - maggiori di 18 anni - che hanno diritto di voto, a sua volta da distinguere dalla voting-age population (Vap), popolazione in età di voto di cui una parte non è registrata o è stata privata del diritto di voto a causa di condanne penali. Ebbene, calcolato sul totale degli elettori (Vep) di 231.556.622, il consenso per Trump è al 25,8%, quello per Clinton al 25,9%. Nel 2008 Obama ottenne il 32% del consenso sul totale degli elettori, il 52,9% dei voti validi.
Il motivo è ovvio - benché puntualmente trascurato - ed è l'alto tasso di astensione dal voto: 99,8 milioni di persone. È fatto arcinoto che il drastico declino della partecipazione elettorale negli Stati Uniti avvenne durante la cosiddetta Progressive Era, tra la fine del XIX e i primi due decenni del XX secolo, riducendosi da circa l'80% al 50-60% per le elezioni presidenziali e al 40-50% per le legislative. Questi sono dati stabili oramai da un secolo, per cui il punto veramente interessante è: come si colloca nella serie storica la partecipazione a queste elezioni?
Nel secondo dopoguerra la partecipazione elettorale raggiunse il massimo del 64% nelle presidenziali del 1960 - quelle vinte da JFK, un record ineguagliato dal 1908 - cadde di 6 punti di percentuale tra le elezioni del 1968 e del 1972, iniziando una tendenza al calo interrotta dal primo successo di Reagan nel 1980 e in modo più significativo dalle presidenziali del 1992 – le prime vinte da Bill Clinton, partecipazione al 58%2. Nel 1996 Clinton venne rieletto, ma la partecipazione cadde al minimo storico dal 1948 (o dal 1836): sotto il 52%. Nelle successive tornate elettorali per la presidenza - quelle vinte da Bush Jr. - la tendenza fu alla crescita, specialmente tra il 2000 e il 2004: dal 54% al 60% (ma nel 2000 Bush ottenne la presidenza solo grazie al particolare sistema di elezione indiretta, perché nel voto popolare Gore era in vantaggio di mezzo milione di voti). La prima vittoria di Barack Obama nel 2008 vide solo un modesto aumento della partecipazione - al 61,6%, il tasso più alto dal 1972 - ma la seconda vittoria, nel 2012, si verificò in concomitanza di un calo di 3 punti, al 58,6%, pari a 129 milioni di votanti. Ebbene, la partecipazione alle elezioni presidenziali del 2016 è ulteriormente calata al 56,8%. Questo perché quasi 9 milioni di americani si sono astenuti dal voto relativamente alle presidenziali del 2008 e 6 milioni rispetto a quelle del 20123.

lunedì 7 novembre 2016

KEY IDEAS ON THE MODERN REVIEW OF MARXISM EXPOSED IN THE BOLIVIAN UNIVERSITIES, by Carlos Barragán Vargas

Una recensione al libro di Barragán (15 febbraio 2015)
A review of Barragán’s book (15 February 2015)
in Utopia Rossa/Red Utopia

http://utopiarossa.blogspot.it/2015/02/sobre-la-revolucion-del-celular-por.html

IN DUE LINGUE (Inglese, Spagnolo)
IN TWO LANGUAGES (English, Spanish)

Estimado Roberto!
Me alegro saludarte y tener la oportunidad de intercambiar ideas contigo.
Efectivamente sigo los artículos que producen Uds. pero debe ser franco contigo en el sentido que lo hago para enterarme de lo producido por muchos compañeros que están en una línea que para mí resulta radical.
Como puedes interpretar del artículo que contiene las ideas-fuerza de mi actuación en mi país, estoy en una línea mas investigativa y tratando de entender las razones por las que generaciones de revolucionarios a nivel mundial fracasan en la construcción de la nueva sociedad. Nosotros mismos hemos vivido casi todos los experimentos: la lucha de masas: la lucha guerrillera, la lucha democrática y ahora la lucha de los movimientos sociales e indígenas. Igualmente y aunque mejor ubicados que Venezuela los síntomas son de retroceso porque nos devora la corrupción y lo único que se está logrando en mi país es la construcción de una nueva burguesía.
La línea que tienen Uds. es a mi entender de exaltación de la heroicidad en la lucha contra el imperialismo sea del Che o por ejemplo del c. Blanco que dicho sea de paso estuvo en contacto en su momento con un medio hermano mío, connotado dirigente del PCB. Esa línea expresa en cierto modo una visión dicotómica de la evolución social. Mi esfuerzo contenido en el libro La revolución del Celular y cuyo contenido no ha sido considerado por mis propios cc. marxistas tuvo que ser promocionado en conferencias con el título de “La revisión moderna del Marxismo”. Parece que ahora sí le pondrán atención y mi libro es, en los hechos, un intento de dar respuesta a los esfuerzos que hacen todavía miles de revolucionarios tratando de obtener la sociedad pronosticada por Marx. Desde ese punto de vista, considero al capitalismo no como un enemigo al que es necesario aniquilar sino un sistema que es necesario superar y tal como tú dices un sistema poderoso que debe ser superado con mucha inteligencia y con las consignas correctas de lucha.
Todo mi libro conduce entonces a las tres consignas que para mí son revolucionarias y no reformistas como se puede pensar: a) Límite a las ganancias de las empresas e individuos (que conducirá en una primera etapa a la democratización del capital y en una segunda a plantear nuevamente la socialización de los principales medios de producción de la sociedad); b) eliminación del dinero físico y generalización del dinero electrónico y c) uso del celular “integral” que pondrá los límites a la corrupción que es la que hace caer todos los experimentos prematuros de construcción de la nueva sociedad.
Tengo 80 años y eso no me impide realizar a lo largo de todo mi páis los trabajos de esclarecimiento que realizaba cuando era un inberbe militante comunista y es porque creo firmemente en esa nueva sociedad que debe ser conseguida a pesar o mejor dicho a causa de todos nuestros fracasos.
Aquí en nuestro país, Álvaro García Linera, con todo el aparato del Estrado, ha influido en crear la línea de “mirar el mundo desde Bolivia”. Ahora mismo se prepara para el 10/11 la publicación del libro de un paisano tuyo que se llama Diego Fusaro con el título de: Capitalismo flexible, precariedad y nuevas formas del conflicto. Para mí ese libro es un rebuscar en el “baúl de la abuela”, es decir revisar a Marx sin sacar ninguna conclusión práctica para la lucha por la nueva sociedad. En todo caso debo reconocer que mi libro está en la línea de mirar el mundo desde Bolivia (porque lo que digo en mi resúmen es más para los países del primer mundo que para nosotros) pero en una línea independiente de lo que hace Álvaro.
Finalmente, estimado Roberto, comprenderé perfectamente que no salga publicado la síntesis que te mandé como resúmen de mi libro La revolución del Celular o “La revisión moderna del Marxismo” porque evidentemente no se encuentra en la orientación de la red de UTOPIA ROJA. En todo caso me parece que con una introducción de alerta para tus lectores podrían ser muy útiles las reflexiones planteadas […].
Un fuerte abrazo,
Carlos

1. Marx correctly predicted that a new society will ensue after capitalism.
2. He was wrong to think that society was close.
3. Lenin was wrong to identify the objective and subjective conditions for the seizure of power with the existence of conditions for the construction of socialism.
4. Kautsky was right in 1919 by stating that Lenin would not build socialism but a dictatorship.
5. Berstein was right to propose a social democracy as the most advanced possible system and subsequently created the “welfare state” the Europeans enjoyed.
6. The “real socialism” collapsed because a lack of freedoms, less productive dynamism of the statist system and especially corruption.

IDEAS FUERZA SOBRE LA REVISIÓN MODERNA DEL MARXISMO EXPUESTAS EN LAS UU’S DE BOLIVIA, por Carlos Barragán Vargas

Una recensione al libro di Barragán (15 febbraio 2015)
Una reseña del libro de Barragán (15 de febrero de 2015)
in Utopia Rossa/Utopía Roja

http://utopiarossa.blogspot.it/2015/02/sobre-la-revolucion-del-celular-por.html

IN DUE LINGUE (Spagnolo, Inglese)
EN DOS IDIOMAS (Español, Inglés)

Estimado Roberto!
Me alegro saludarte y tener la oportunidad de intercambiar ideas contigo.
Efectivamente sigo los artículos que producen Uds. pero debe ser franco contigo en el sentido que lo hago para enterarme de lo producido por muchos compañeros que están en una línea que para mí resulta radical.
Como puedes interpretar del artículo que contiene las ideas-fuerza de mi actuación en mi país, estoy en una línea mas investigativa y tratando de entender las razones por las que generaciones de revolucionarios a nivel mundial fracasan en la construcción de la nueva sociedad. Nosotros mismos hemos vivido casi todos los experimentos: la lucha de masas: la lucha guerrillera, la lucha democrática y ahora la lucha de los movimientos sociales e indígenas. Igualmente y aunque mejor ubicados que Venezuela los síntomas son de retroceso porque nos devora la corrupción y lo único que se está logrando en mi país es la construcción de una nueva burguesía.
La línea que tienen Uds. es a mi entender de exaltación de la heroicidad en la lucha contra el imperialismo sea del Che o por ejemplo del c. Blanco que dicho sea de paso estuvo en contacto en su momento con un medio hermano mío, connotado dirigente del PCB. Esa línea expresa en cierto modo una visión dicotómica de la evolución social. Mi esfuerzo contenido en el libro La revolución del Celular y cuyo contenido no ha sido considerado por mis propios cc. marxistas tuvo que ser promocionado en conferencias con el título de “La revisión moderna del Marxismo”. Parece que ahora sí le pondrán atención y mi libro es, en los hechos, un intento de dar respuesta a los esfuerzos que hacen todavía miles de revolucionarios tratando de obtener la sociedad pronosticada por Marx. Desde ese punto de vista, considero al capitalismo no como un enemigo al que es necesario aniquilar sino un sistema que es necesario superar y tal como tú dices un sistema poderoso que debe ser superado con mucha inteligencia y con las consignas correctas de lucha.
Todo mi libro conduce entonces a las tres consignas que para mí son revolucionarias y no reformistas como se puede pensar: a) Límite a las ganancias de las empresas e individuos (que conducirá en una primera etapa a la democratización del capital y en una segunda a plantear nuevamente la socialización de los principales medios de producción de la sociedad); b) eliminación del dinero físico y generalización del dinero electrónico y c) uso del celular “integral” que pondrá los límites a la corrupción que es la que hace caer todos los experimentos prematuros de construcción de la nueva sociedad.
Tengo 80 años y eso no me impide realizar a lo largo de todo mi páis los trabajos de esclarecimiento que realizaba cuando era un inberbe militante comunista y es porque creo firmemente en esa nueva sociedad que debe ser conseguida a pesar o mejor dicho a causa de todos nuestros fracasos.
Aquí en nuestro país, Álvaro García Linera, con todo el aparato del Estrado, ha influido en crear la línea de “mirar el mundo desde Bolivia”. Ahora mismo se prepara para el 10/11 la publicación del libro de un paisano tuyo que se llama Diego Fusaro con el título de: Capitalismo flexible, precariedad y nuevas formas del conflicto. Para mí ese libro es un rebuscar en el “baúl de la abuela”, es decir revisar a Marx sin sacar ninguna conclusión práctica para la lucha por la nueva sociedad. En todo caso debo reconocer que mi libro está en la línea de mirar el mundo desde Bolivia (porque lo que digo en mi resúmen es más para los países del primer mundo que para nosotros) pero en una línea independiente de lo que hace Álvaro.
Finalmente, estimado Roberto, comprenderé perfectamente que no salga publicado la síntesis que te mandé como resúmen de mi libro La revolución del Celular o “La revisión moderna del Marxismo” porque evidentemente no se encuentra en la orientación de la red de UTOPIA ROJA. En todo caso me parece que con una introducción de alerta para tus lectores podrían ser muy útiles las reflexiones planteadas […].
Un fuerte abrazo,
Carlos

1. Marx predijo correctamente que una nueva sociedad advendría luego del capitalismo.
2. Se equivocó al pensar que esa sociedad estaba cercana.
3. Lenin se equivocó al identificar las condiciones objetivas y subjetivas para la toma del poder con la existencia de condiciones para la construcción del socialismo.
4. Kautsky acertó en 1919 al afirmar que Lenin no construiría el socialismo sino una dictadura.
5. Berstein acertó en proponer a la socialdemocracia como el régimen posible y más avanzado que posteriormente creó el “estado de bienestar” del que gozaron los europeos.
6. El “socialismo real” se derrumbó por una falta de libertades, menor dinamicidad productiva del sistema estatista y sobre todo por la corrupción.

domenica 6 novembre 2016

ELECCIONES EN NICARAGUA: GANA DANIEL ORTEGA. ¿QUÉ OPINARÍA CARLOS FONSECA DE ESTO?, por Marcelo Colussi

Desnudamos [a Daniel Ortega] de su falso ropaje revolucionario, no es más de izquierda, es un nuevo potentado, alumno aventajado del Fondo Monetario y de las políticas más duras del capitalismo salvaje.
(Hugo Torres, guerrillero sandinista)

Daniel Ortega, candidato del Frente Sandinista de Liberación Nacional, se encamina hacia un cómodo triunfo en las elecciones de Nicaragua. Por tercera vez consecutiva será presidente de esa nación. ¿Qué significa eso?
En el ámbito de la democracia representativa, que en la esfera política domina ampliamente hoy en todo el mundo, que un mandatario se relija no es precisamente un problema. Lo de Ortega puede ser cuestionable, pues forzó la Constitución y se ha venido convirtiendo en una suerte de “nuevo Somoza”. Ahora, en un acto de nepotismo, coloca a su esposa, Rosario Murillo, como candidata a vicepresidenta, y a sus hijos en puestos claves de la administración. Por otro lado, merced a argucias legales, se sacó de encima cualquier oposición, llegando a las elecciones de ayer prácticamente como único candidato.
Además, en un acto que también contradice las formas “políticamente correctas” de estas democracias formales, no hubo observadores electorales, sino apenas algunos invitados especiales. Todo ello ha llevado a la derecha (interna e internacional) a denostar estas elecciones, por considerarlas viciadas. “Farsa electoral”, se la ha declarado.
Que Estados Unidos o una derecha recalcitrante en cualquier país se preocupe por esta falta de transparencia no es el problema. Las elecciones de mañana en Estados Unidos son tan viciadas, o más, que las nicaragüenses. Y el fraude en esa nación, más allá de sus actuales pomposas declaraciones en nombre de la libertad y la democracia observando el proceso nicaragüense, no es algo raro. Recuérdese la elección que ganó Al Gore en el 2000 sobre Bush hijo, negociada luego a espalda de los electores.
Lo que sí preocupa es lo que se viene haciendo en Nicaragua en estas dos administraciones en que Daniel Ortega fue presidente, y lo que vendrá a partir de esta nueva reelección. Por lo pronto, veamos estos dos íconos incontrastables que hablan por sí solos: el Banco Mundial y el ex comandante de la Contra, Edén Pastora. Ambos ponderan la labor del otrora guerrillero revolucionario Daniel Ortega.

sabato 5 novembre 2016

LOS DE ABAJO RESPONDEN CON LUCHAS, por Hugo Blanco

En los primeros días del mes [de octubre] fui invitado a una reunión de juventudes de diferentes provincias del departamento del Cusco. Se realizó en la capital de la provincia de Paruro.
El tema que me asignaron fue el de la lucha campesina.
Expuse la lucha campesina en La Convención de principios de la década del 60, que culminó con la primera reforma agraria del Perú realizada 10 años antes que la de Velasco Alvarado. Fue una lucha contra los latifundistas y contra los gobiernos y la policía que eran sus sirvientes. Ante la represión armada, por mandato de las organizaciones campesinas, nos vimos obligados a desarrollar la autodefensa. Nos costó muertos y presos, pero triunfó. Fue más completa que la de Velasco, la tierra quedó en manos del campesinado sin pagar ni un centavo a los latifundistas y sin dejarles ni un palmo de tierra.
Señalé que la lucha campesina actual es fundamentalmente por la defensa del agua contra la minería a cielo abierto que la envenena con cianuro, contra la agroindustria que roba agua de la agricultura familiar que nos alimenta, depreda el suelo y ataca la naturaleza y envenena a los agricultores con agroquímicos. En la selva el ataque es de las compañías madereras depredadoras del pulmón del mundo, la Amazonía y contra el envenenamiento de las aguas por los derrames de petróleo.
Igual que antes, los gobiernos, los tribunales y la policía son sirvientes de los opresores. Antes servían a los gamonales, ahora sirven a las empresas transnacionales, matan y encarcelan a los defensores del medio ambiente.
El día 22 estuve en el plantón frente al Palacio de Justicia que denunció a la justicia corrupta, servil de la empresa depredadora de Las Bambas, que mantiene en prisión a comuneros apurimeños que rechazan a la minera.

venerdì 4 novembre 2016

CONVERSACIÓN CON DOUGLAS BRAVO, por Tito Núñez Silva (Ruptura/Utopía Tercer Camino)

Douglas Bravo y Alí Rodríguez Araque en las guerrillas, 1970
Tres documentos ha publicado recientemente Douglas Bravo. Además, ha sostenido entrevistas con periodistas de diferentes medios y países; durante este año ha recorrido tres veces el territorio nacional, ora en conferencias, ora en debates en universidades, en gremios profesionales, en comunidades populares, y ha participado en eventos internacionales con ponencias de variada temática: ecología, petróleo, agua, derechos humanos, y en particular, nuestra situación política y económica, en cuyas vanguardias ha participado desde su juventud en el Partido Comunista, sus luchas estudiantiles y obreras, la comisión cívica-militar que contribuyó al derrocamiento de la dictadura pérezjimenista, su enfrentamiento contra el betancourismo y el Pacto de Punto Fijo, y la lucha armada revolucionaria que lo ha llevado a ser uno de los comandantes guerrilleros más destacados de América Latina, en abierto combate por la independencia y la Soberanía Nacional frente a la rapiña poli-imperialista, la cual se ha acentuado en los últimos años bajo la conducción del chavismo autocalificado de bolivariano, robinsoniano y hasta de la tercera vía de Tony Blair; fracasado proyecto bufo, caricaturesco, mediocre en su política internacional y en la administración pública, malversador e innovador en hechos escandalosos de corrupción y narcotráfico.
Ampliamente conocido, Douglas Bravo nos sorprende por su claridad mental y expresiva, su buen humor y la precisión de sus respuestas.
Acaba de llegar de Europa. Conversamos en su apartamento. Aquí comienza el diálogo.

T.N.S. —Tienes casi 85 años… ¿Estás cansado?

D.B. —No. Me siento un poco incómodo por un tratamiento que mantengo debido a algunas molestias en la columna vertebral. Parece que es el mal de quienes hemos soportado pesos continuos o excesivos en la espalda y los hombros. Estoy en constante ajetreo y me reúno con gente joven y alegre preocupada por el país y por el cuerpo conceptual que hemos logrado construir desde 1966, hasta el presente, con los amigos y militantes del PRV-RUPTURA-TERCER CAMINO.

T.N.S. —¿No te parece muy largo ese nombre para un partido político?

D.B. —Pudiera parecerlo, pero hay razones éticas que nos han conducido a esa identidad. Te explicaré: ya expulsados del PCV por nuestra decisión de mantener la vigencia de la lucha armada, habíamos sido expulsados en 1965 junto a Luben Petkoff, Julio Chirinos, Daniel Buitrago -entre otros-, creamos el 23 de abril de 1966 el PRV (Partido de la Revolución Venezolana), fortalecimos los frentes guerrilleros abandonados por el PCV, y a mediados de los años 70 fundamos el periódico Ruptura, el cual se convirtió en un arrollador movimiento de masas, que nos llevó a plantearnos discusiones sobre la participación electoral en 1978.