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martedì 23 febbraio 2016

REPORT ISTAT 2015: UN PAESE IN GRAVE CRISI SOCIALE STRETTO FRA DECLINO ECONOMICO, POLITICHE DI AUSTERITY E RIFORME STRUTTURALI, di Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

Il report sulla popolazione italiana 2015 pubblicato venerdì 19 febbraio dall'Istat dipinge uno scenario a tinte fosche, ma drammaticamente fedele, delle condizioni sociali del nostro paese. La crisi economica, che dal 2008 sembra non trovare vie d'uscita concrete, e gli effetti delle riforme neoliberiste imposte dalla Commissione europea e attuate dagli ultimi governi, hanno prodotto inevitabili contraccolpi sociali che gli indicatori dell'istituto centrale di statistica fotografano in maniera impietosa.
Un Paese piegato da una crisi economica senza sbocchi che, anche a causa di una politica industriale ormai inesistente, non solo ha registrato, dal 2008, una perdita del 25% della produzione industriale e una contrazione del Pil di circa il 10%, ma non riesce nemmeno a fermare l'incontenibile emorragia di aziende nazionali verso l'estero. Negli ultimi sette anni ben 473 marchi del made in Italy sono finiti in mano straniera: Telecom, Pirelli, Italcementi, Ansaldo Breda e Ansaldo Sts sono alcuni fra gli assi portanti della nostra economia sfuggiti al controllo dello Stato e del declinante capitalismo nostrano.
All'interno di questa cornice economica, il quadro sociale che emerge dagli indicatori dell'Istat non poteva che risultare allarmante, tant'è che il 2015 passerà alla storia come l'anno dei record negativi:

1) La popolazione residente diminuisce di 139.000 unità, attestandosi al 31/12 a quota 60.569.000, registrando, dopo la rettifica censuaria del 2011, la prima effettiva contrazione dal dopoguerra (tabella 1)1.
2) Le morti, in allarmante crescita (+54.000), salgono a ben 663.000 (+9,1%), raggiungendo il massimo dalla Seconda guerra mondiale (tabella 2)2.
3) Le nascite continuano a ridursi (-15.000), crollando a 488.000, minimo storico dall'unità d'Italia.
4) La speranza di vita, dopo una lunghissima fase - interrotta solo dalle Guerre mondiali - caratterizzata da un inarrestabile allungamento che ci ha portato ad essere una fra le tre popolazioni più longeve del pianeta, ha invertito la tendenza, iniziando per la prima volta a ridursi.
5) Continua il trend negativo, iniziato nel 2008, del numero di immigrati in entrata, fermatosi a 245.000 unità, mentre 45.000 stranieri residenti hanno lasciato il nostro paese (tabella 3)3.

lunedì 22 febbraio 2016

ROZŁAM W OPERAIZMIE W ŚWIETLE DYNAMIKI WŁOSKIEGO RUCHU ROBOTNICZEGO W „CZERWONYM DZIESIĘCIOLECIU” (1969–1980), Zbigniew Marcin Kowalewski

«Split within operaismo in the context of dynamics of the Italian workers movement during the “Red Decade” (1969-1980)»

«Le divisioni nell'operaismo alla luce della dinamica del movimento operaio italiano durante il "Decennio rosso" (1969-1980)»

Abstract:
In consequence of initiative of Raniero Panzieri operaismo emerged in 1960-1961 as a stream of radical theoretical revival of Marxism in the context of widespread domination of objectivism and historicism and equally radical revival of strategy of workers movement in its struggle against its internal dominant reformist tendency. Its foundation was supposed to be a reading of Capital “from the workers point of view”. It soon become apparent that it is a fundamentally divided project, both politically and theoretically. 1963 marks a split within operaismo. Majority that sided with Mario Tronti detached, developing an anti-materialist revision of Marxism that resulted in creation of metaphysics of workers’ autonomy. In 1969-1980 an enormous wave of working class struggles brought to the fore clear conclusions in fundamental disputable issues that divided operaistas.

Keywords:
operaismo, split, Mario Tronti, Raniero Panzieri, autonomy of the political, Marxism.
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Trzy fale rewolucyjne w dwudziestowiecznych Włoszech

W XX wieku przez Włochy przetoczyły się trzy wielkie fale walk masowych, z których każda doprowadziła do sytuacji przedrewolucyjnej. Wszystkie były dziełem klasy robotniczej. W ciągu XX wieku „skład klasowy” proletariatu zmieniał się pod względem technicznym, politycznym i kulturalnym. Jednak we wszystkich zrywach robotniczych siłę napędową, uderzeniową i przewodnią stanowiły załogi turyńskich zakładów Fiata – najbardziej skoncentrowanego segmentu włoskiej klasy robotniczej – oraz w ogóle zakładów przemysłu metalowego i mechanicznego, a także innych wielkich fabryk, głównie skupionych w północnowłoskim „trójkącie przemysłowym”, obejmującym Turyn, Mediolan i Genuę.
Przypływ pierwszej fali przypadł na lata 1919–1920, zwane „czerwonym dwuleciem”. Przejawił się głównie w ruchu turyńskich rad fabrycznych, w którym, ze swoją gazetą L’Ordine nuovo, działał Antonio Gramsci, oraz w okupacji fabryk przez pół miliona metalowców. To ten przypływ doprowadził do przebudowy politycznych form ruchu robotniczego w tym kraju i powstania Komunistycznej Partii Włoch (PCd’I). W okresie odpływu, w latach 1921–1922, najważniejszym przejawem tej fali był rozwój ruchu Arditi del Popolo, Bojowników Ludowych – zbrojnej samoobrony robotniczej, stawiającej czoło bojówkom faszystowskim, które podczas tego „czarnego dwulecia” zaczęły rozprawiać się z ruchem robotniczym (Kowalewski 2006).
Druga fala przypadła na lata 1943–1948. Po długim okresie spokoju społecznego pod faszystowskim jarzmem walki masowe zaczęły się od strajku robotników turyńskiego Fiata Mirafiori, a następnie fabryk mediolańskich. Pierwsza ulotka strajkowa była prosta i jasna: o chleb i wolność, przeciwko dwunastogodzinnemu dniu roboczemu i przeklętej wojnie, o obalenie Mussoliniego, o pokój, niepodległość oraz podwyżkę zarobków – oraz o to, aby je wypłacano. „Po raz pierwszy jakimś reżimem faszystowskim trzęsą od wewnątrz robotnicy, których być może, przynajmniej częściowo, inspiruje, ale nie kontroluje partia komunistyczna” (Broué 1997, 779). Proletariat wielkoprzemysłowy zadał reżimowi faszystowskiemu śmiertelny cios, po którym wkrótce nastąpił jego upadek.

venerdì 19 febbraio 2016

THE PROGRAM (Stephen Frears, 2015), di Antonio Marchi

Lance Armstrong e l'ossessione di vincere

[…] 4. QUANDO BARTALI E COPPI CORREVANO IN BICICLETTA
La partenza è l'Aubisque.
L'arrivo è l'Izoard.
Minuti di ritardo. L'episodio cruciale. E al tramonto
sul traguardo il colpo di reni, un colpo di pedale.
La memoria non si caccia via coi sassi come un cane.
La memoria è storia non è oblio.
QUANDO COPPI E BARTALI
ero giovane anch'io.
Gino sembrava un todesco, Fausto un gatto
anzi no, una livra
e andava su storto per la fatica prima di scomparire sotto
un ponte dietro l'acqua del fiume.
Era sudato e come un lume senza più olio è andato a morire.
(Roberto Roversi, da L'Espresso, 29 luglio 1979)

Cominciò tutto dopo la morte tragica di Fabio Casartelli, caduto per sempre sulle strade del Tour del '95. Il giorno dopo, i sei compagni di squadra di Casartelli tagliarono il traguardo schierati uno di fianco all'altro: vincitori per decisione di tutti gli altri, per ricordare uno del gruppo, lasciando arrivare per primo, mezza ruota avanti, Andrea Peron, amico più amico di Fabio. Due giorni dopo, un giovanissimo e sconosciuto atleta in maglia Motorola, Lance Armstrong - che non aveva ancora conosciuto lo spettro della malattia e l'onta del doping - vinse a mani alzate e con lo sguardo rivolto al cielo per onorare e salutare il compagno di squadra scomparso. Tutti i cicloamanti non dimenticano il dito di Armstrong che indica lassù, mentre vince a Limoges.
Vita a pedali, morte sportiva e miracoli chimici di un texano che amava solo vincere. A ogni costo… come a ogni costo ha lottato per anni e vinto la battaglia contro quel male maligno che sotto forma di metastasi voleva sottrarlo alla vita, come alle gare.
Dopo anni di sollecitazioni, il texano ha ammesso in un'intervista televisiva di aver effettivamente assunto sostanze proibite durante gran parte della sua carriera. «Il piano era conservativo, - ha ripetuto - per niente rischioso e matematico», ha aggiunto descrivendo il programma di doping della squadra US Postal. Armstrong ha ammesso di capire di non avere più credibilità e si è detto dispiaciuto che le sue bugie abbiano alimentato la speranza delle vittime del cancro, malattia da lui sconfitta: «Ho dato loro speranze, ho fatto pensare che la storia era perfetta. Mi piacerebbe cambiare tutto questo, ma non posso». L'ex ciclista ha fatto anche ammenda per esser stato tanto aggressivo con i giornalisti che sospettavano di lui: «È stato un tremendo errore».

mercoledì 17 febbraio 2016

L'ORO DEI POVERI: I CERCATORI D'ORO DEL BURKINA FASO, di Pino Bertelli

a Thomas Sankara,
per avere insegnato ai biechi governanti di tutto il mondo
che la dignità di un popolo ha più valore di qualsiasi ricchezza.

L'Africa agli africani!…
Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero…
È inammissibile che ci siano uomini proprietari di quindici ville, quando a cinque chilometri da Ouagadougou la gente non ha i soldi nemmeno per una confezione di nivachina contro la malaria…
Non c'è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per anni…
Per l'imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità…
(Thomas Sankara)

In Burkina Faso è stato scoperto l'oro… in uno dei paesi più poveri del mondo esiste una delle più grandi miniere d'oro della terra… naturalmente è in mano alle multinazionali… così nella zona di Goron Goron (che significa "Sediamoci e parliamo"), in pieno deserto, a pochi chilometri dal confine con il Mali, è arrivata la strada… le pompe di benzina… le associazioni no profit, gli aiuti internazionali, anche… i pochi villaggi di pastori sono scomparsi e i padroni dell'oro hanno costruito delle casette, tutte uguali, di un paio di stanze per i burkinabé espropriati della loro misera quotidianità… ci atterrano anche gli aerei degli americani (non solo militari), dei canadesi ecc.… molti burkinabé lavorano nell'enorme miniera a cielo aperto (una buca di centinaia di metri)… e molti sono anche felici di spendere il salario nella capitale, Ouagadougou, nei centri commerciali… alcuni sembrano più felici, altri si perdono con la birra, le prostitute, le droghe, gli "affari sporchi" che accompagnano il "progresso" dei persuasori occulti della società consumerista.
Intorno alla miniera di Goron Goron c'è l'oro dei poveri… centinaia di uomini, donne e bambini scavano buche o pozzi nel terreno per raccattare poche pagliuzze d'oro, pesate poi con un piccolo bilancino… da una parte c'è un fiammifero, dall'altra l'oro raccolto… naturalmente chi tiene il bilancino fa parte della famiglia del capo del villaggio (in accordo col comune, la chiesa, il governo)… i minatori ricevono uno straccio di soldi per una pagliuzza d'oro… dietro la speranza di ricchezza si nasconde un mondo di desolazione di cui risparmierò i particolari.
I militari governativi e le guardie della miniera sorvegliano la zona… grazie al conformismo e all'illuminata stupidità del governo del Burkina Faso (e dei nuovi colonizzatori), dove si segnalano soltanto istrioni, saprofiti o criminali in formato grande, la tolleranza è applicata con abbastanza candore, tutti sanno e tutti stanno al gioco… la paura genera la stabilità… la genuflessione il delirio… le stigmate del provvisorio s'appiccicano su tutti e la mediocrità striscia davanti agli oracoli del "benessere". Nella maggior parte dei casi si dedicano al (piccolo) profitto per vendicarsi della miseria della vita.

martedì 16 febbraio 2016

UNICO TESTIMONE: UN MANICHINO SENZA TESTA - SOLO PER GLI AMANTI DEGLI SCACCHI, di Riccardo Vinciguerra (Mongo)

dedicato a Marco

Nella storia di questo pazzo, pazzo mondo ci sono due anni da cui ogni scacchista degno di questo nome sa subito arrivare a un minimo comun denominatore: il 1953, l'anno del super torneo di Zurigo magnificamente tramandato ai posteri da Bronstein, e il 1972, l'anno della sfida mondiale tra Spasskij e Fischer, in piena Guerra fredda.
Ed è proprio di un fatto accaduto nel 1972 che vi voglio raccontare…
Tranquilli, non vi parlerò affatto del match valevole per il titolo di campione del mondo di scacchi, e nemmeno delle tragiche olimpiadi tedesche di quell'anno, ma di un fatto accaduto in quell'ormai lontana estate, poco prima del congresso della FIDE.
Lento, lento percorro la lunga strada per Soncino, dove ho un appuntamento con l'amico Johnny.

«Chi è Johnny?»
Johnny è un canoista estremo, la cui filosofia di vita è «canoa estrema, lotta al sistema». Hippy prima della nascita del movimento e hippy ancor oggi, che del movimento non è rimasta traccia.
Grazie a Johnny sono diventato il miglior canoista teorico del mondo, senza mai aver messo il mio bel culetto dentro una canoa; so praticamente tutto sull'eskimo, l'appoggio, la candela, l'imbarco svizzero e le discese di IV e V grado.
Ho ancora in testa la canzoncina che cantava ogni sera davanti al fuoco del bivacco, una nenia in dialetto bergamasco che parlava di un grillo e di una formica che ebbe l'ardire di attraversare il campo di lino che apparteneva al grillo. Rabbrividisco ancora oggi, come rabbrividivo allora quando la cantavamo insieme, pensando alla tragica fine che tocca poi a quel poveretto di un grillo.

«… Larizzumparillallero larizzumparillalla…»
Per lui era come un rituale sacro cantare quella canzoncina prima di smorzare il fuoco ed entrare nel sacco a pelo dentro la sua tenda, una tenda che veniva dalle guerre d'indipendenza del nostro Risorgimento, con tanta storia da raccontare; io lo prendevo in giro perché mi ricordava un boy scout che al termine di una faticosa giornata, durante i campi estivi, per richiamare tutti in cerchio attorno al fuoco, anziché poter rientrare in tenda a riposare, è obbligato a cantare finché ha voce «Kamaludu». Se c'è qualche scout in ascolto, sa bene a cosa mi riferisco. Quanta nostalgia di quei campi…

lunedì 15 febbraio 2016

NICARAGUA: ARCHITETTURA DEL QUOTIDIANO, di Alberto Sipione

Il Nicaragua e l'America Latina continuano, nonostante le difficoltà della vita quotidiana, a sognare un cambiamento politico e sociale ancora possibile.
Anche le abitazioni esprimono con la loro semplicità e profondità una voglia di riscatto necessario. Qui le mura colorate e no accompagnano e riempiono la vita sociale, fatta di racconti, di sogni e di condivisioni. Alle lacrime si sostituisce necessariamente il suono della marimba, lo strumento musicale nazionale: c'è sempre tempo per ballare.
Ogni oggetto ha il suo valore fino alla sua morte, per poi trasformarsi e riadattarsi ad un nuovo uso. Niente viene buttato, niente è superfluo in uno dei paesi più poveri del mondo.
Con gli ospiti si divide tutto, anche il niente. L'ospite è ancora sacro, specialmente se straniero. Si sa che forse un giorno potrebbero anch'essi diventare stranieri: migranti, clandestini, extracomunitari. I rapporti sociali (famigliari, di amicizia, di vicinato) continuano ad essere un saldante forte in una società della sopravvivenza.

Che vantaggio c'è se uno guadagna tutto il mondo, ma poi perde la sua anima?
(Marco 8,36)

Radici che noi in Europa abbiamo definitivamente perso in questa accelerata della società globalizzata negli ultimi 30/40 anni. Abbiamo festeggiato/adorato l'indipendenza economica, il carrierismo, i beni di lusso e partecipato alla «società dello spettacolo». In questa corsa frenetica abbiamo dimenticato chi siamo e da dove veniamo. Viviamo nei «grattacieli», che si son rivelati delle prigioni del vivere adattati. Lontani dall'odore della terra, dal suo grido e dall'umanità.
Le luci, i colori e gli odori ci ricordano le nostre periferie degli anni '50 e '60, con le loro diversità, con un proletariato provvisto della propria cultura e identità.
Ciò che Pier Paolo Pasolini aveva sentito e annunciato, il processo di perdita culturale, si è pienamente realizzato. È difficile ritrovarsi in un mondo neutrale che ha perduto così velocemente le proprie tradizioni e i propri rituali.

Se insisti a sognare, insisti a ravvivare il fuoco della tua vita.
(Rubén Darío)

domenica 14 febbraio 2016

MILITARES LATINOAMERICANOS, por Marcelo Colussi

En Estados Unidos no hay golpes de Estado porque no hay embajada americana.

Los militares latinoamericanos, como todo militar, se han dedicado a la guerra; pero en muy buena medida a un tipo de guerra peculiar: las guerras civiles. En el transcurso del pasado siglo casi no hubo guerras interestatales en la región; la función de las fuerzas armadas se concentró en la represión interna.
Como parte de la Guerra Fría, prácticamente todos los países latinoamericanos vivieron guerras internas insurgentes y contrainsurgentes. Con distintas modalidades, en toda el área entre los 60 y los 90, tuvieron lugar feroces procesos de militarización. A la proclama revolucionaria siguieron invariablemente atroces acciones represivas.
La respuesta contrarrevolucionaria la dieron los Estados con sus cuerpos armados, ejércitos fundamentalmente. Esto pone en evidencia dos cosas: por un lado ratifica qué son en verdad las maquinarias estatales (“violencia de clase organizada”, según la definición leninista) a favor de qué proyecto se establecen y perpetúan (obviamente no del campo popular); y por otro lado, desnuda la estructura de los poderes: los ejércitos reprimieron el proyecto revolucionario, pero ellos cumplieron su mandato; el real poder que usó la fuerza para seguir manteniendo sus privilegios no aparece en escena.
Hoy día, terminada la Guerra Fría y el “peligro comunista”, dado que las sociedades fueron hondamente desmovilizadas –producto de la brutal represión– los ejércitos retornaron a sus cuarteles. Incluso en los últimos años, habiéndose tornados ya innecesarios para el mantenimiento de la “paz” interior –porque el trabajo estaba cumplido– se inician tibios procesos de revisión de las guerras internas, de sus excesos y abusos.
Pasadas las dictaduras militares, con distintas modalidades, con suertes diversas también en los procesos emprendidos, los países que sufrieron esos monstruosos conflictos armados iniciaron alguna suerte de ajuste de cuentas con su historia. Más allá de los resultados de esos procesos, desde el enjuiciamiento y condena a los comandantes argentinos hasta la total impunidad y el retorno al poder por vía democrática en Bolivia o en Guatemala, el común denominador ha sido y sigue siendo que los ejércitos contrainsurgentes cargan con todo el peso político y la reprobación social respecto a las guerras sucias transcurridas.
Sin ninguna duda, esas guerras fratricidas fueron sucias, de más está decirlo. La tortura, la desaparición forzada de personas, la violación sistemática de mujeres, el arrasamiento de poblaciones rurales enteras, fueron parte de las estrategias de guerra seguidas por todos los cuerpos castrenses. Hoy día, cuando pensamos en el fracaso de los proyectos revolucionarios latinoamericanos, tenemos inmediatamente la imagen del verde olivo y las botas militares. ¿Pero no estaban preparados para eso los ejércitos de esta región?

venerdì 12 febbraio 2016

LA SITUAZIONE MILITARE IN SIRIA, di Pier Francesco Zarcone

Si tratta di un argomento praticamente non trattato dai grandi media. Al massimo ogni tanto si comunica il numero di vittime civili a seguito di scontri e bombardamenti, e si dà notizia di successi militari dell'Isis e di altre formazioni jihadiste, magari dilatandone la portata suscitando il classico effetto di Hannibal ante portas, ma senza inquadrarli nelle oggettive proporzioni tattiche e strategiche. Cosa accada davvero sui campi di battaglia resta sconosciuto ai più, e nella presente fase, alquanto negativa per i cosiddetti takfiri (sinonimo dei jihadisti per il loro tacciare di apostasia i musulmani di orientamento diverso), il silenzio è pressoché totale. Eppure in questi circa quattro anni di guerra in Siria sul piano militare (e politico) ci sono stati sviluppi interessanti.

LE PREMESSE TATTICO-STRATEGICHE

In primo luogo va rimarcata l'opportunità della scelta fin dall'inizio effettuata dal governo di Damasco di fronte a una massiccia e capillare invasione di combattenti stranieri sostenuti (militarmente ed economicamente) dall'esterno. Le opzioni possibili erano due: a) cercare di difendere subito tutto il territorio siriano, con prevedibili esiti disastrosi sul terreno, oppure b) attestarsi nella difesa della capitale e della zona costiera (cioè dell'area con la maggiore concentrazione alawita e sciita in genere). Questa seconda ipotesi implicava il temporaneo abbandono al nemico dei territori orientali – che, seppure in buona parte desertici, presentano risorse energetiche importanti - e poi manovrare da quello "zoccolo duro" territoriale per un'auspicata azione di riconquista. La scelta è caduta sulla seconda opzione.
Al riguardo i grandi media l'hanno generalmente interpretata come segnale o della prossima sconfitta militare dei governativi o di una precisa exit strategy, nel senso che Assad avrebbe fatto della zona costiera il ridotto in cui rifugiarsi e concentrarvi la resistenza dopo il disastro sul campo, dato come inevitabile. La prospettiva strategica alla base di quella decisione era diversa e si basava - in ragione della globale situazione siriana, più complessa e comunque diversa rispetto a quelle di Egitto e Tunisia - sulla vera carta giocabile dal governo damasceno: l'appoggio pratico e concreto da parte di Russia, Iran e Hezbollāh libanese. Era quindi essenziale mantenere aperti i canali aerei, terrestri e marittimi con questi alleati, fornitori di aiuti non solo diplomatici, ma anche militari ed economici. Come infatti è avvenuto.

mercoledì 10 febbraio 2016

COBRA: LA SPIRALE DI UN'AVANGUARDIA, di Roberto Massari

La mostra dedicata a CoBrA. Una grande avanguardia europea (1948-1951) - organizzata dalla Fondazione Roma Museo (Pal. Cipolla: 4/12/15-3/4/16) - e le pagine introduttive del Catalogo che l'accompagna (a cura di Damiano Femfert e Francesco Poli, Skira, 2015, bilingue) possono indurre tre riflessioni preliminari o, meglio, tre constatazioni che ci sembra di poter riferire al contesto artistico italiano di quegli anni.

CoBrA e l'Italia
1) Nella ricchezza di presenze culturali all'interno o alla periferia del movimento CoBrA (acronimo che com'è noto sta a indicare la provenienza dei suoi fondatori da Copenhagen, Bruxelles e Amsterdam) appaiono assenti poeti o pittori italiani (con un paio di successive eccezioni).
Per un Paese che nel dopoguerra doveva riprendersi dai disastri culturali del ventennio fascista, costretto a inventarsi presunte avanguardie «nazionali» per recuperare parte del tempo perduto, intimidito o succube del miraggio neorealistico sovietico-zdanoviano e sotto l'influenza dilagante del pensiero estetico di Lukács (che aveva fatto un sol fascio del surrealismo e delle avanguardie europee, condannandone l'irrazionalità e la presunta decadenza), non c'è molto da stupirsi.
2) Ma se è vero che gli artisti italiani sono assenti dalla fase fondativa e di sviluppo di CoBrA, non lo sono del tutto rispetto al suo lascito teorico, vale a dire rispetto alla tradizione che si snoda lungo l'arco degli anni '50 e che permea di sé varie altre esperienze di avanguardia artistica. E ciò grazie in primo luogo a due coraggiosi pionieri presituazionistici attivi in campo figurativo.
E infatti, due anni dopo la fine di CoBrA - quindi nel 1953 - l'albese Pinot Gallizio (1902-1964) e il milanese Enrico Baj (1924-2003) saranno all'origine del Movimento internazionale per un Bauhaus immaginista, mentre lo stesso Gallizio sarà tra i fondatori dell'Internazionale situazionista (a Cosio d'Arroscia, tra Imperia e Cuneo, 28 luglio 1957).
L'Is, come è noto e come il Catalogo di cui sopra non manca di sottolineare, si considerò erede diretta anche dell'esperienza CoBrA, grazie soprattutto all'impegno multiforme di uno dei suoi principali esponenti - il danese Asger Jorn (Jørgensen, 1914-1973) - che s'impegnò in tutti e tre i movimenti citati. Jorn sarà anche a Cosio, immortalato nella storica foto dei «magnifici sette», con l'ottavo impegnato a scattarla.
3) Eppure, nonostante l'assenza da un momento di snodo così importante per la crescita di un discorso alternativo, anticonformistico e necessariamente antagonistico rispetto alle «accademie» culturali delle due «Chiese» dominanti (quella cattolica e quella togliattiana), col tempo un settore della cultura italiana arrivò ad assolvere un qualche ruolo d'avanguardia.

lunedì 8 febbraio 2016

CRÍTICA SOBRE POLONIA Y UE

Sono felice, anzi felicissimo, di presentare ai lettori di Utopia Rossa un esempio di discussione civile e costruttiva tra compagni di paesi diversi che condividono alcuni princìpi di fondo, ma dissentono nell'analisi politica della realtà attuale. Avevamo pubblicato sul nostro blog un importante articolo scritto da Roberto Savio in spagnolo («Europa se está desintegrando bajo la mirada indiferente de sus ciudadanos»), in cui si prende atto del processo regressivo sulla strada dell'unità europea. L'articolo per noi ha un valore speciale, visto che la maggior parte della ex estrema sinistra italiana gongola a vedere questo insuccesso di unificazione politica extranazionale essendo ormai tornata al più trito nazionalismo (per giunta a favore di un nazionalismo italiano, cioè di uno Stato-nazione che fa schifo sotto il profilo etico, istituzionale, economico e culturale, trovandosi collocato molto al di sotto anche di «normali standard» capitalistici).
Personalmente provo solo ribrezzo verso questa deriva della ex estrema sinistra, che ci riporta indietro di un secolo e mezzo, al di sotto dei sogni e valori della Prima internazionale che considerava qualsiasi caduta di barriere nazionali come un progresso dell'umanità in sé e per sé. Ed è una vergogna che la bandiera del superamento dei confini nazionali sia lasciata in mano a settori borghesi più o meno capaci di assicurare un'autentica unificazione. Ma di questo non hanno colpa solo i poveri nazionalisti della ex estrema sinistra, bensì il movimento operaio nel suo insieme che dopo le atroci esperienze dello stalinismo (basti pensare al patto di Stalin con Hitler e l'avvio della Seconda guerra mondiale) non è stato più capace di risollevare se stesso e la bandiera dell'internazionalismo. Sono alcuni anni che cerco/cerchiamo di arginare questa marea nazionalistica «rossa» o «rosa» e il compito rimane intatto. Chi lo capisce, dovrebbe aiutarci. Chi non lo capisce, dovrebbe almeno astenersi.
Ebbene, nel testo di Savio ci sono alcuni giudizi sulla Polonia che hanno spinto Zbigniew Kowalewski (membro del comitato internazionale di UR) a criticare il testo di Savio. Poi è stato il turno di Michele Nobile, che ha fornito alcuni dati sulle vicende elettorali più recenti della Polonia e, sulla base dei risultati elettorali, ha voluto verificare quanto i governi di Polonia e Ungheria si possano considerare rappresentativi dei cittadini di quei paesi. Infine la replica di Savio, che nella sua modestia e generosità dovrebbe rappresentare un esempio per tutti noi.
Resta il fatto che il virus del nazionalismo continua a circolare in ambienti presuntamente di avanguardia e trarrà nuovo alimento proprio dall'incapacità unificatrice che dimostrano le borghesie di ciascuno Stato o perlomeno i loro settori meno nazionalistici. Questo con buona pace di qualcuno che anni fa ci spiegava che ormai lo Stato borghese non esiste più… [r.m.]
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Andrzej Duda, presidente de Polonia
Un breve comentario.
Creo que es importante rendir cuenta de los hechos de manera objetiva, porque una propaganda anti-UE no es mejor que una propaganda pro-UE: no son, justamente, analisis sino propaganda. Ignorando algunos hechos importantes, este texto se desliza facilmente de un analisis hacia una propaganda, la anti-UE en ocurrencia. En el titulo exagera, porque no es verdad que la UE “se esta desintegrando bajo la mirada indiferente de sus ciudadanos”. Dice el texto: “Dos países, primero Hungría y luego Polonia, rechazan explícitamente ‘el modelo y los valores europeos’, el primero para defender un modelo autocrático de gobierno y el segundo los valores cristianos, haciendo caso omiso de todas las declaraciones de Bruselas”.

domenica 7 febbraio 2016

CURIOSA ABERRACIÓN: LOS CONCURSOS DE BELLEZA, por Marcelo Colussi

I

La belleza, si bien siempre difícil de definir, es algo inherente a todos los seres humanos aunque no se la problematice en forma explícita. Entendámosla, para dar un marco general mínimo a partir del que poder seguir hablando del asunto, como la búsqueda del placer estético, el placer de los sentidos. La belleza, por tanto, va de la mano de lo sublime, de lo que en términos perceptivos nos deleita. De las artes, sin dudas –quizá la forma superior de búsqueda de la belleza; pero también la podemos encontrar en la cotidianeidad, en cada pequeño detalle de la vida práctica.
¿Puede hablarse de la “belleza” de los seres humanos? Tema arduo, polémico; la ética ha tratado inmemorialmente estos asuntos. ¿Es la belleza algo material o espiritual? Convengamos que efectivamente sí hay belleza humana. Lo cual nos lleva a plantear qué es su opuesto: ¿la fealdad? ¿Quién es bello y quién es feo? ¿Con qué criterios medir eso? Y más aún –hablando de ética–: ¿es posible medirlo? Y más aún: ¿para qué medirlo?
Si de belleza material se trata, el problema se torna muy complejo. La belleza de la que podemos dar cuenta con el sentido de la vista es totalmente social, cultural, histórica. ¿En nombre de qué alguien es más bello que un feo? ¿Quién es más feo o fea que otro u otra? Si extremamos la indagación, vemos que los valores ligados a la belleza física son absolutamente relativos, convencionales. ¿Es más bella la piel negra o la blanca? ¿Es más bella una nariz atravesada por un hueso de animal o un labio con un aro de metal que una no tiene nada de eso? ¿Cuándo comenzamos a decir que algo es feo? ¿Es más bello un seno femenino que nunca usó sostén –como el de las mujeres de algunas tribus en el África negra–, flácido y caído casi hasta la cintura, o aquel que lleva muchas siliconas, como el de tantas mujeres occidentales, rígidos y firmes? ¿Qué es más bella: una cabellera rubia o las trenzas de pelo negro? ¿Un calvo no es bello entonces? ¿Los pies de una mujer china, amarrados desde niña y por tanto muy pequeños, son más bellos que un número 44? ¿Son bellos los tatuajes? ¿Por qué ahora los y las occidentales los usan tan profusamente? Antes, unas décadas atrás apenas, ¿eran feos? ¿Y por qué ahora en Occidente se atraviesan narices, labios, orejas y ombligos con aros de metal? ¿Pasaron a ser bellos esos accesorios que antes usaban algunos pueblos “primitivos”? ¿No eran bellos hace unos años? ¿Era bella la Mona Lisa, o era una gorda con muchos kilitos de más? Como vemos, todo esto nos pone ante planteos difíciles. Primera conclusión, entonces: la belleza es relativa, los patrones de belleza son históricos, convencionales.

venerdì 5 febbraio 2016

EUROPA SE ESTÁ DESINTEGRANDO BAJO LA MIRADA INDIFERENTE DE SUS CIUDADANOS, por Roberto Savio

Todos somos testigos de la lenta agonía del sueño de la integración europea, sin una sola manifestación en cualquier lugar, entre sus 508 millones de ciudadanos. Está claro que las instituciones europeas atraviesan una crisis existencial. Sin embargo, el debate se ha limitado al nivel intergubernamental.
Eso demuestra claramente que los ciudadanos europeos no se sienten relacionados con Bruselas. Atrás han quedado los años cincuenta, con la movilización de los jóvenes en el Movimiento Federalista de la Juventud y los activistas del Movimiento Federal encabezado por Altiero Spinelli, o la campaña masiva para una Europa que trascendería las fronteras nacionales, un tema frecuente de los encuentros de los intelectuales de la época.
Ha sido un crescendo de la crisis. Primero la división Norte-Sur, con un norte que no quería rescatar el sur y que ha convertido la austeridad en un tabú monolítico, con Alemania como líder inflexible. Grecia fue el lugar elegido para entrar en conflicto y ganar, incluso si su presupuesto era sólo el 4% de la Unión Europea.
El frente de la disciplina fiscal y la austeridad fácilmente rebasaron a aquellos que abogaban por el desarrollo y el crecimiento como una prioridad. Pero había alienar a muchos de los ciudadanos atrapados en la lucha.
Dos países, primero Hungría y luego Polonia, rechazan explícitamente “el modelo y los valores europeos”, el primero para defender un modelo autocrático de gobierno y el segundo los valores cristianos, haciendo caso omiso de todas las declaraciones de Bruselas.
Al mismo tiempo apareció otro asunto de mal agüero. El primer ministro británico David Cameron amenazó con que si no obtenía condiciones especiales, salía de la Unión Europea. En Davos dijo explícitamente que el Reino Unido está en la UE debido al mercado, pero rechaza todo lo demás, sobre todo una posible mayor integración, tal como se indica en los tratados de la UE.
La canciller alemana Angela Merkel ha estado enviando señales tranquilizadoras, mientras todos los países europeos se empeñan en el proceso de recuperación de soberanía tanto como sea posible. Por lo tanto, sea lo que sea que Londres obtenga, será un punto de referencia para todo el mundo. Es revelador que en el Reino Unido la campaña pro europea está dirigida por el sector financiero y económico y no hay ningún movimiento ciudadano.

martedì 2 febbraio 2016

ЙОЗЕФ ТИСО: ПРЕЗИДЕНТ, СВЯЩЕННИК И НАЦИСТСКИЙ КОЛЛАБОРАЦИОНИСТ, Петер Горенфлос

КАТОЛИЧЕСКАЯ МАРИОНЕТКА ГИТЛЕРА В СЛОВАКИИ, ШЕСТИНЕДЕЛЬНАЯ ПРИОСТАНОВКА ДЕПОРТАЦИИ ИЛИ НЕГОДНОЕ АЛИБИ ПАЧЕЛЛИ

IN CINQUE LINGUE (Inglese, Italiano, Tedesco, Ceco, Russo)
НА ПЯТИ ЯЗЫКАХ (Английский, Итальянский, Немецкий, Чешский, Русский)

Введение

В своей работе о Холокосте в Словакии израильский историк Йешаяху Андрей Елинек описывает, как еще до возникновения словацкого национализма в XIX веке, даже еще со времен Средневековья территория, впоследствии ставшей Словакией, подвергалась разорению. Правда, здесь обходилось без обычных для таких явлений погромов не только еврейского населения, но и дворянства, духовенства, постепенно формировавшейся буржуазии. Тогда в словацком языке даже не существовало слова «погром». Эти разбойничьи набеги, называвшиеся «rabovačka», имели скорее анархический характер, они определялись социальным отчаянием, желанием установить справедливые материальные отношения и в меньшей степени религиозной ненавистью. С XIX века общественная элита Словакии была прежде всего лютеранской, лишь в концу столетия сформировалась католическая Словацкая народная партия по образцу венгерской, с 20-х годов ХХ века ее называли партией Глинки по имени ее председателя, папского камергера. Ее политика имела прежде всего античешскую направленность, однако в некоторых аспектах, прежде всего после прихода Гитлера к власти она все больше приобретала антисемитские черты. Выдвинутый новым правительством федеративной словацкой республики после 1938 г. лозунг «Обогащайтесь!» был воспринят населением, которое беспощадно обрушилось прежде всего на собственность беззащитного еврейского населения.

Предыстория

2 марта 1939 г. Эудженио Пачелли был избран Папой Пием XII и спустя десять дней состоялась его интронизация. Он был более дружелюбен к нацистам, чем его предшественник Пий XI, регулярно впадавший в ярость, но не из-за террора или военной истерии, разжигавшихся Гитлером, а вследствие нарушений Конкордата, нарушения интересов католиков. Ведь Гитлер был меньшим злом, которое должно было предотвратить большее зло – захват власти КПГ по советскому образцу. В остальном национал-социализм – при всей общности, которую постоянно подчеркивали обе стороны – был прежде всего идеологическим конкурентом: культ Сердца Иисусова против культа крови и земли. Газета Гиммлера «Дас шварце кор» (черный корпус) перестала нападать на Католическую Церковь после избрания Пачелли.

JOZEF TISO: PREZIDENT, KNĚZ A NACISTICKÝ KOLABORANT, Peter Gorenflos

HITLEROVA KATOLICKÁ LOUTKA NA SLOVENSKU, ŠESTIDENNÍ DEPORTAČNÍ STOP NEBO PACELLIHO POCHYBNÉ ALIBI

IN CINQUE LINGUE (Inglese, Italiano, Tedesco, Ceco, Russo)
V PĚTI JAZYCÍCH (Angličtina, Ital, Němec, Český, Rus)

Úvod

Ve své práci o slovenském holokaustu izraelský historik Yeshayahu Andrej Jelinek popisuje, jak už před začátkem slovenského nacionalismu v 19. století, dokonce už od středověku, existovala pravidelná plenění v oblasti, která se později stala Slovenskem. Lidé se zde ovšem neobohacovali pouze na úkor židovského obyvatelstva, jak bylo obvyklé u pogromů, ale také na úkor šlechty, kléru, pozvolna vznikající buržoasie. Slovo pogrom ještě ani ve slovenském jazyce neexistovalo. Tyto loupežné výpravy nazývané „rabovačka“ měly spíše anarchistický charakter, byly utvářeny sociální zatrpklostí, touhou po spravedlivých materiálních vztazích a méně už náboženskou nenávistí. Od 19. století byla slovenská společenská elita především luteránská, teprve koncem století vznikla podle maďarského vzoru katolická Slovenská ľudová strana, která byla od 20. let nazývána po svém předsedovi, papežském komořím, prostě Hlinkova strana. Její politika byla orientována především protičesky, v některých částech, především po převzetí moci Hitlerem, se však stále více vyznačovala antisemitskými rysy. Heslo „Obohaťte se!“, vydané v roce 1938 novou vládou autonomní slovenské republiky, bylo následně přijato i obyvatelstvem, které ho uskutečňovalo především na úkor majetku bezbranných židů.

Prolog

Eugenio Pacelli byl 2. března 1939 zvolen papežem Piem XII. a o deset dní později intronizován. Byl přátelsky nakloněn nacismu stejně jako jeho předchůdce Pius XI., který pravidelně propadal vzteku, ne však kvůli hrůzovládě nebo válečnému štvaní Hitlera, nýbrž kvůli porušování Konkordátu, poškozování katolických zájmů. Vždyť Hitler byl menším zlem, které mělo zabránit většímu, převzetí moci KPD (Komunistická strana Německa) podle sovětského vzoru. Jinak byl nacionální socialismus – při ze všech stran proklamovaných společných rysech – především ideologickým konkurentem: Kult Nejsvětějšího Srdce Ježíšova versus kult Blut und Boden (Krev a půda). Himmlerův deník „Das Schwarze Korps“ po Pacelliho nástupu k moci už každopádně na katolickou církev neútočil.

JOZEF TISO: PRESIDENTE, PRESBITERO E COLLABORATORE DEI NAZISTI, di Peter Gorenflos

LA MARIONETTA CATTOLICA DI HITLER IN SLOVACCHIA E LE SEI SETTIMANE DI SOSPENSIONE DELLE DEPORTAZIONI: OVVERO, LA PATETICA SCUSA DI PAPA PACELLI

IN CINQUE LINGUE (Inglese, Italiano, Tedesco, Ceco, Russo)

Introduzione

Nella sua Tesi sull'Olocausto slovacco, lo storico israeliano Yeshayahu Andrej Jelinek descrive come, nel pezzo di terra che sarebbe diventato la Slovacchia, c'erano già stati regolarmente dei pogrom prima che avesse inizio il nazionalismo slovacco, nel XIX secolo. Ma non si trattava di classici pogrom. Non erano solo gli ebrei ad essere depredati e spogliati delle loro ricchezze: ciò accadeva anche alla nobiltà, al clero e alla borghesia che si stava lentamente sviluppando. La parola «pogrom» non esisteva nemmeno nella lingua slovacca dell'epoca. Queste incursioni, chiamate rabovačka, avevano un carattere anarcoide, ed erano indotte dal disagio sociale e dal desiderio che la ricchezza fosse equamente distribuita, più che dall'odio religioso. Fin dal XIX secolo, l'élite sociale slovacca era stata principalmente luterana; solo verso la fine del secolo si era formato il Partito popolare slovacco [Ľudáks], d'ispirazione cattolica e basato sul modello ungherese, che sin dagli anni Venti era stato chiamato «Partito di Hlinka» dal nome del suo leader, un ciambellano del Papa. Le sue politiche erano prevalentemente anticeche, ma alcuni suoi settori assunsero in forma crescente anche tratti antisemiti, soprattutto dopo che Hitler ebbe preso il potere. Lo slogan proclamato nel 1938 dal nuovo governo della Repubblica federale, in parte slovacca - «Arricchitevi!» - venne poi accolto anche da coloro che si appropriavano dei beni degli ebrei indifesi.

Il contesto

Eugenio Pacelli venne eletto papa il 2 marzo 1939 col nome di Pio XII e salì al trono pontificio dieci giorni dopo. Il nuovo Pontefice era più vicino ai nazisti del suo predecessore, Pio XI, che spesso si era infuriato non a causa del clima di terrore messo in atto da Hitler o per la sua propaganda guerrafondaia, ma per le violazioni del Concordato, vale a dire violazioni degli interessi cattolici. Considerato il minore fra due mali, Hitler doveva servire a evitare il male maggiore, cioè la conquista del potere da parte del Partito comunista tedesco ispirato al modello sovietico. A parte questo, il Nazionalsocialismo - per tutti gli elementi in comune che venivano enfatizzati da entrambe le parti - era soprattutto un concorrente ideologico: culto del Sacro Cuore di Gesù opposto a quello del Sangue e del Suolo. Ad ogni modo, da quando Pacelli era diventato papa, il giornale di Himmler, Das Schwarze Korps [Il corpo nero], aveva smesso di attaccare la Chiesa cattolica.

JOZEF TISO: PRESIDENT, PRIEST AND NAZI COLLABORATOR, by Peter Gorenflos

HITLER’S CATHOLIC MARIONETTE IN SLOVAKIA, THE SIX-WEEK SUSPENSION OF THE DEPORTATIONS OR PACELLI’S LAME EXCUSE

IN CINQUE LINGUE (Inglese, Italiano, Tedesco, Ceco, Russo)
IN FIVE LANGUAGES (English, Italian, German, Czech, Russian)

Introduction

In his thesis on the Slovakian holocaust, the Israeli historian Yeshayahu Andrej Jelinek describes how there had already been regular pogroms in the piece of land that was to become Slovakia before the beginning of Slovakian nationalism in the 19th century. But these were not the usual kinds of pogrom. It was not only the Jews who were plundered in order to obtain riches: it was also the nobility, the clergy and the slowly developing bourgeoisie. The word “pogrom” had not even existed in the Slovakian language at that time. These raids, called “rabovačka”, had more of an anarchistic character and were characterised by social bitterness and the desire for fair distribution of means rather than religious hatred. Since the 19th century, the Slovakian social elite was predominantly Lutheran; only towards the end of the century did the Catholic Slovakian People’s Party [“Ľudáks”] form, based on the Hungarian model, which had been named after its leader, a Papal chamberlain, since the 1920s – the Hlinka Party. Its policies were predominantly anti-Czech but parts of it also increasingly took on anti-Semitic traits, especially after Hitler has seized power. The slogan issued by the new government of the federal Slovakian partial republic in 1938, “Enrich yourselves!”, was then also taken up by the people, who primarily took advantage of the property of defenceless Jews.

Background

Eugenio Pacelli was elected Pope on 2 March 1939 as Pius XII and enthroned ten days later. He was more Nazi-friendly than his predecessor Pius XI, who regularly became enraged: not because of any rule of terror or warmongering on the part of Hitler, but because of violations of the concordat, violations of Catholic interests. Hitler was simply the lesser of two evils with whose aid the greater evil, the seizure of power by the German Communist Party according to the Soviet model, was to be prevented. Apart from that, National Socialism – for all the common elements that were constantly being emphasised by both sides – was above all an ideological competitor: Heart-of-Jesus cult versus blood-and-soil cult. Himmler’s paper, “Das Schwarze Korps” [“The Black Corps”], had in any case no longer attacked the Catholic church since Pacelli had become Pope.

JOZEF TISO: PRÄSIDENT, PRIESTER UND NAZI-KOLLABORATEUR, von Peter Gorenflos

HITLERS KATHOLISCHE MARIONETTE IN DER SLOWAKEI, DER SECHSWÖCHIGE DEPORTATIONS-STOPP ODER PACELLIS FAULES ALIBI

IN CINQUE LINGUE (Inglese, Italiano, Tedesco, Ceco, Russo)
IN FÜNF SPRACHEN (Englisch, Italienisch, Deutsch, Tschechisch, Russisch)

Einführung

In seiner Arbeit über den slowakischen Holocaust beschreibt der israelische Historiker Yeshayahu Andrej Jelinek, wie es schon vor Beginn des slowakischen Nationalismus im 19. Jahrhundert, ja schon seit dem Mittelalter, regelmäßige Plünderungen in dem Landstrich gab, der später die Slowakei wurde. Man bereicherte sich hier allerdings ohne die sonst üblichen Pogrome, nicht nur an der jüdischen Bevölkerung, sondern auch am Adel, am Klerus, an der sich langsam entwickelnden Bourgeoisie. Das Wort Pogrom existierte noch nicht einmal in der slowakischen Sprache. Diese „rabovačka” genannten Raubzüge hatten mehr anarchistischen Charakter, waren von sozialer Bitterkeit geprägt, vom Wunsch nach gerechten materiellen Verhältnissen und weniger von religiösem Hass. Seit dem 19. Jahrhundert war die gesellschaftliche Elite der Slowakei vor allem lutherisch, erst gegen Ende des Jahrhunderts bildete sich die katholische Slowakische Volkspartei [„Ľudáks”] nach ungarischem Vorbild heraus, die seit den 1920er Jahren nach ihrem Vorsitzenden, einem päpstlichen Kammerherrn, auch einfach nur Hlinka-Partei genannt wurde. Ihre Politik war insbesondere anti-tschechisch orientiert, trug aber in einigen Teilen, vor allem nach der Machtergreifung Hitlers, zunehmend antisemitische Züge. Die von der neuen Regierung föderativen slowakischen Teilrepublik 1938 ausgegebene Parole „Bereichert Euch!” wurde dann auch von der Bevölkerung angenommen, die sich vor allem am Eigentum wehrloser Juden schadlos hielt.

Vorgeschichte

Eugenio Pacelli wurde am 2. März 1939 zum Papst Pius XII. gewählt und zehn Tage später inthronisiert. Er war Nazi-freundlicher als sein Vorgänger Pius XI., der regelmäßig in Rage geriet, nicht etwa wegen der Terrorherrschaft oder Kriegstreiberei Hitlers, sondern wegen Verletzungen des Konkordates, Verletzungen katholischer Interessen. Hitler war ja nur das kleinere Übel, mit dem man das größere, die Machtübernahme durch die KPD nach sowjetischem Vorbild, verhindern wollte. Ansonsten war der Nationalsozialismus – bei von allen Seiten ständig betonten Gemeinsamkeiten – v.a. auch ideologischer Konkurrent: Herz-Jesu-Kult versus Blut-und-Boden-Kult. Himmlers Blatt „Das Schwarze Korps” hatte seit Pacellis Regierungsantritt die katholische Kirche jedenfalls nicht mehr angegriffen.