CONTENUTI DEL BLOG

sabato 29 novembre 2014

NEL 20º DELLA MORTE (30 novembre 1994) - La società dello spettacolo di Guy Debord e la critica rivoluzionaria, di Michele Nobile

L’inattualità della Società dello spettacolo, nel mondo falso in cui è verificata 

A rileggerla oggi, vien da pensare che la Società dello spettacolo di Guy Debord sia di straordinaria inattualità: ma proprio perché, da quel lontano 1967, il processo storico di spettacolarizzazione della società è ora giunto a compimento.
Nel discorso contemporaneo i termini spettacolo e spettacolarizzazione ricorrono frequentemente: ad esempio, non sono rare espressioni come politica-spettacolo e spettacolarizzazione della politica; il termine americanizzazione li implica entrambi, essendo erroneamente considerati gli Stati Uniti come patria dello spettacolo (come si vedrà, invece, i partiti operai europei hanno svolto un ruolo di primo piano nella formazione della società dello spettacolo); è una banalità sottolineare l’importanza, ai fini del successo, dell’immagine degli individui, sia comuni spettatori che pubblici attori. Ed è un fatto che, quale sia il campo nel quale sono state fatte emergere, le vedette dello spettacolo possono trascorrere tranquillamente dal commento sportivo alla discussione di bioetica, dalla dietetica alla politica internazionale. Altamente spettacolari sono le grandi mostre itineranti, che rappresentano l’imbalsamazione commerciale dell’arte, e massimamente spettacolare fu l’attacco terroristico alle torri gemelle: a dimostrare che perfino i nostalgici dell’Umma medievale hanno fatto propria la spettacolarità quale dimensione essenziale della politica postmoderna e postdemocratica. Logica postmodernista nell’uso dei mezzi comunicativi - e distruttivi - e neomedievalismo integralista possono fondersi nell’azione e nella falsa coscienza spettacolare. La società dell’immagine e degli eventi spettacolari è messa in scena da un insieme di apparati vastissimo e diversificato.

martedì 25 novembre 2014

REGIONALI 2014 IN EMILIA ROMAGNA: CROLLA IL CONSENSO, MA RENZI CANTA VITTORIA, di Michele Nobile


«Vittoria netta, bravissimi Bonaccini e Oliverio. Massimo rispetto per chi vuole chiacchierare. Noi nel frattempo cambiamo l'Italia»; «grande Lega Nord Padania, grande Matteo Salvini, il futuro della nuova politica passa da noi». Così cinguettano Matteo Renzi e Roberto Maroni, due galletti spennati che hanno l’indecenza di elevare chicchirichì di vittoria.

Al contrario, a vincere è di sicuro il disgusto degli elettori: tra astenuti, bianche e nulle, in Emilia Romagna l’astensionismo in senso ampio ha fatto un balzo di 30 punti di percentuale, pari al 64% del corpo elettorale. Un dato impressionante, tanto più che tradizionalmente si tratta di una regione con alta partecipazione elettorale. Sull’eccezionale crescita dell’astensionismo hanno inciso certamente gli scandali locali, ma forse anche più la politica del governo Renzi. Possiamo dire che anche l’Emilia Romagna si allinea, anzi assume una posizione d’avanguardia, nel rifiutare il voto alla casta politica in tutte le sue versioni. Un fatto che consideriamo di buon auspicio per il futuro e la conferma di un’indicazione politica: che se ne vadano tutti!
I fatti bruti sono che nelle regionali emiliane il Partito democratico ha perso 322 mila voti sulle regionali del 2010, 538 mila sulle politiche del 2013, 677 mila sulle europee 2014; la Lega nord ha un risultato più ambiguo, perdendo 55 mila voti sulle regionali precedenti, ma guadagnando in modo notevole sulle politiche del 2013. In questo caso, però, non di sfondamento si tratta ma di un ritorno al livello delle politiche 2008. 

domenica 23 novembre 2014

LUCIANO FERRARA: SULLA FOTOGRAFIA IN RIVOLTA, di Pino Bertelli

«Oggi nessuna saggezza può pretendere di dare di più. La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere un nuovo slancio. L'uomo può signoreggiare in sé tutto ciò che deve essere signoreggiato. Deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Dopo di che i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta. Nel suo sforzo maggiore l'uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo... La coscienza viene alla luce con la rivolta».
(Albert Camus)

I. Sulla filosofia della fotografia eversiva


Prologo dissennato sulla caduta degli oracoli. La fotografia in rivolta o eversiva (fuori dal “verso” corrente) è una scrittura, una filosofia iconografica del margine, per niente marginale, che eredita le fiammate di verità della resistenza antifascista (’43-’45) e la gioia della ribellione libertaria del ’68... è una seminagione di idee sulla libertà, la giustizia, l’accoglienza e la fraternità che in questo inizio di secolo ancora scuotono alla base gli edifici marci delle istituzioni, della politica, della religione... conniventi con la criminalità organizzata e responsabili della miseria secolare nella quale versano grandi pezzi di umanità. La figura cristica del potere mostra tutta la sua ferocia tanto nelle democrazie consumeriste che nei regimi comunisti... sono le medesimi cimici che infettano l’anima del mondo e fanno della propria brutalità il boccascena di terrori di prima qualità... le banche, i partiti, la polizia, i saperi accademici, i mezzi di comunicazione di massa (saldamente in mano ai potentati) erigono profeti, demiurghi, imbecilli di prim’ordine per educare il maggior numero alla rinuncia della ragione. Tutte le aureole sono intrise di sangue innocente e alla fine di tutti i sarcasmi, solo il grido insurrezionale dei popoli infrange rassegnazioni e imposture e senza mezzi termini frantuma l’ideologie dell’assoluto.

mercoledì 19 novembre 2014

I «CARNETS» DI VICTOR SERGE, di Roberto Massari

Prefazione alla prima edizione integrale dei Carnets di Victor Serge [Carnets (1936-1947), a cura di Claudio Albertani e Claude Rioux, Massari editore, Bolsena 2014, pp. 384, € 24,00], tradotta da Antonella Marazzi e curata per l'italiano da Roberto Massari.

Era il 17 aprile 2013… Esattamente 797 mesi da quel 17 novembre 1947 (quanti 7!) in cui Serge morì - a mio avviso, probabilmente ucciso da agenti staliniani, come egli si aspettava da tempo che prima o poi accadesse. Lo aveva scritto nei Carnets, in pagine che ora possiamo finalmente leggere. Per es. quando annota (18 gennaio 1942, qui pp. 92-3): «il mio assassinio è stato deciso a breve scadenza». O quando poco avanti, tra le probabili vie per eliminarlo, indica «soprattutto la misteriosa crisi "cardiaca"» - come poi effettivamente si verificherà. Basterebbero a) questa lucida consapevolezza, che siamo in grado ora di ricostruire giorno per giorno, anno dopo anno, e b) questa relativamente serena convivenza con la prospettiva d'essere assassinato da un nemico cinico e spietato - affiancate entrambe alla capacità di continuare ugualmente a godersi la vita, la natura, l'arte, la bellezza femminile, lo studio, la riflessione storica, le culture precolombiane… - per giustificare la lettura attenta di questi diari.
Chi si accinge a leggere Serge per la prima volta, avrà qui l'occasione per innamorarsene perdutamente. Chi con la sua opera è già familiare, ravviverà la fiamma della passione e forse concorderà con noi, in mente et pectore, che questa nuova lettura conferma le precedenti. Essa ci consente di viaggiare in termini letterari nel mondo psicologico della figura emblematicamente più significativa prodotta dall'intero Novecento (e non solo dalla prima metà): del più lucido, più profondo e culturalmente più ricco rappresentante della specie sapiens fiorita all'ombra delle grandi passioni rivoluzionarie di quello stesso Novecento… tutte ferocemente soffocate nel sangue, tutte inesorabilmente sconfitte. E infatti, il Kibal'čič di cui qui penetriamo l'intimità mentale, è il Serge delle grandi sconfitte storiche. Si vedano le funeste date d'inizio e fine nel frontespizio - 1936-1947 - che racchiudono anche la più bestiale carneficina della storia umana, avviata dai due grandi totalitarismi alleati (il nazista e lo stalinista), con la compiaciuta connivenza delle principali nazioni capitalistiche.

sabato 15 novembre 2014

TODOS SOMOS AYOTZINAPA, por Claudio Albertani

“Es el momento de enfrentarse al gobierno”Las palabras de don Roberto caen como piedras. Todos permanecemos en silencio, un silencio ensordecedor que cala en lo más hondo de nuestros corazones. Don Roberto -así le llamaré- no es un agitador profesional. Es un campesino de Ayotzinapa, Guerrero, que habla de manera pausada, midiendo sus palabras y sin levantar la voz. No es arrogante, no nos quiere impresionar; sólo transmitir su dolor, un dolor indecible. Don Roberto es el padre de uno de los 43 muchachos desaparecidos en Iguala hace 45 días.
Hoy ofreció su testimonio ante estudiantes y profesores de la Universidad Autónoma de la Ciudad de México, plantel San Lorenzo Tezonco. Doscientas personas nos apretamos en el domo Ricardo Flores Magón, símbolo de nuestra luchas en años pasados. Don Roberto no ve a su hijo de 19 años desde el 24 de septiembre, dos días antes de la tragedia. No se explica por qué desapareció, pero sabe que se lo llevó “la autoridad” y exige que la autoridad se lo devuelva. “Aunque sea la última cosa que hago en mi vida, aunque después me manden a matar”.

mercoledì 12 novembre 2014

¿CUÁNTO TIEMPO LE QUEDA AL MATRIMONIO COMO INSTITUCIÓN?, por Marcelo Colussi

Amigos con derechos, aminovios, parejas abiertas, matrimonios homosexuales…, a lo que podría agregarse, quizá con otro estatuto sociológico, pero igualmente “inquietante” para una visión tradicional: sexo cibernético, relaciones en el espacio virtual, ¿muñecas y/o muñecos inflables de silicón?, etc., etc. Todo esto es nuevo, y aún sigue produciendo mucho escozor a las visiones conservadoras. Pero ahí están, tocando la puerta de nuestras atribuladas sociedades.
“Adán y Eva y ¡no Adán y Esteban!”, vociferaba un predicador evangélico, Biblia en mano. De todos modos el campo de la sexualidad y las relaciones afectivas en su sentido amplio siguen siendo –no hay otra alternativa, parece– el doloroso talón de Aquiles de lo humano. ¿Por qué, indefectiblemente, en toda cultura y todo momento histórico, se ocultan las “zonas pudendas”? Pero, ¿por qué son pudendas?, justamente. ¿Por qué toda la construcción en torno a esto es tan pero tan problemática? El psicoanálisis nos da la pista (no queremos saber nada de la incompletud, de la falta, por eso tapamos los órganos que nos ¿avergüenzan?, porque descubren que estamos en una carencia original: no podemos ser al mismo tiempo todo, machos y hembras), aunque se prefiera una psicología de la felicidad que nos otorgue manuales y fórmulas de autoayuda para ¿triunfar en la vida? y asegurar el “amor eterno” (que, en realidad, no dura mucho). Resaltar la incompletud no es muy grato que digamos; mantener la ilusión de la completud, obviando el conflicto a la base, es mucho más gratificante. Las religiones, en general, no dicen algo muy distinto a esta psicología de la buena voluntad. Por eso todavía siguen ocupando un importante lugar en la dinámica humana. Y la gente, aunque luego se separe, sigue cumpliendo con el rito del matrimonio, en una amplia mayoría de casos, en una iglesia, colocándose un anillo y jurándose fidelidad.
Si bien la “infidelidad” –mejor llamada, con más propiedad científica, relación extramatrimonial– es una práctica tan vieja como el mundo (de ahí el décimo mandamiento de la tradición cristiana, que indica “no codiciar la mujer ajena” –machismo mediante, por supuesto: las mujeres no tienen dueño–), el matrimonio monogámico y heterosexual, al menos en Occidente, se sigue levantando como un paradigma y sinónimo de normalidad. A lo que podría sumarse, como obligado complemento, aquello de “haz lo que yo digo y no lo que yo hago”. El matrimonio tiene mucho que ver con todo esto: hay transgresiones por todos lados, hace agua, pesa. A veces agobia. En otros términos: es como cualquier institución. No es una determinante natural; no tiene que ver con ningún instinto biológico. Es un código, una construcción histórica.
Sin dudas, una construcción socio-cultural más: ni tan “normal” ni tan “sana” en sí misma. Construcción, posicionamiento, no más que eso al fin de cuentas, pues en la historia y en diversas modalidades civilizatorias puede encontrarse la monogamia tanto como la poligamia. Y justamente por el machismo patriarcal que mencionábamos, muy raramente la poliandria. Si mantenemos la neutralidad científica y no consideramos el mundo sólo desde lo visceral, lo ideológico cerrado, rápidamente tenemos que agregar que ninguna construcción es más “normal” ni “sana” que otra.

mercoledì 5 novembre 2014

SERATA ENOGASTRONOMICA E GUEVAROLOGICA con Roberto Massari

Venerdì 7 novembre, ore 20.00
℅ Circolo Arci Petroio
via Villa Alessandri 3, 50059 Vinci (FI)

martedì 4 novembre 2014

FONDAZIONE GUEVARA - Presentazione del Quaderno n. 9 a Pisa



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

domenica 2 novembre 2014

RE DELLA TERRA SELVAGGIA - BEASTS OF THE SOUTHERN WILD (Benh Zeitlin, 2012), di Pino Bertelli

So di essere un piccolo pezzo di un grande, grande universo, perfettamente incastrato nel resto...
L'intero universo è fatto di tutti piccoli pezzi incastrati insieme. Se un pezzetto si rompe, anche il più piccolo, l'intero universo cade in pezzi…
I bambini che non hanno né mamma né papà né nessuno devono vivere nel bosco e mangiare l'erba e rubare le mutande…
Spero che muori. E dopo che sei morto vengo sulla tua tomba e mangio la torta di compleanno tutta da sola.
(Hushpuppy, dal film Re della terra selvaggia)

I. Le nere bandiere dell’anarchia

C’era una volta e una volta non c’era un film anarchico che ha avuto innumerevoli riconoscimenti internazionali e oltre a quattro candidature al premio Oscar, Gran Premio della giuria al Sudance Film Festival, Camera d’oro al Festival di Cannes... è risultato uno dei film più premiati del 2012: Re della terra selvaggia, di Benh Zeitlin. I velinari della stampa italiana hanno speso stellette e amenità di vario genere per descrivere questo film... dopo poche fugaci apparizioni nei circuiti più importanti, quest’opera indipendente viene relegata ai cinema d’essai... e dimenticata... infatti è inconcepibile che un film si chiuda con le nere bandiere dell’anarchia al vento... i mercanti del cinema (autori, critici, attori, produttori, puttanelle televisive che dissertano di cinema in televisione, senza sapere nulla della Camera magica)... sanno bene che la macchina/cinema è parte del sistema che garantisce un ordine sociale/autoritario di cui è espressione... il feticismo della merce e l’alienazione dei consumatori (di tutti i mercati) trionfano su cumuli di miserie infinite e attraverso la mediocrazia della politica asservita ai saprofiti della finanza confermano la dittatura dell’illusione che impera nella civiltà dello spettacolo.
Così Noam Chomsky: “Oggi abbiamo a disposizione le risorse tecniche e concrete per soddisfare i bisogni materiali dell’uomo. Non abbiamo ancora perfezionato quelle morali e culturali, cioè le forme democratiche dell’organizzazione sociale, che ci permetterebbero di utilizzare in modo umano e razionale la nostra ricchezza e potenza materiale. Gli ideali del liberalismo classico espressi e sviluppati nella forma di socialismo libertario sono realizzabili. Ma può farlo solo un movimento rivoluzionario radicato in ampi strati della popolazione, che miri ad eliminare le istituzioni repressive e autoritarie, private o statali”[1], e passare alla fondazione della società in anarchia.