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venerdì 27 giugno 2014

IL GINEPRAIO IRACHENO DI OBAMA, di Pier Francesco Zarcone

Da Bush a Obama
A fare il danno, a monte, non è stato tanto Obama quanto George W. Bush, attraverso l’invasione del 2003 e lo scioglimento delle Forze Armate irachene, disposto con l’Ordinanza n. 2 del 23 maggio 2003 dell’Autorità Provvisoria di occupazione. È cominciata da lì buona parte della successiva rivolta sunnita, di cui l’avanzata di ad-Dawlah al-Islāmīyah fī al-‘Irāq wa-al-Shām - ovvero lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (l’acronimo arabo è Diish) – rappresenta solo l’ultimo atto in ordine di tempo, ma non il definitivo. Se quello scioglimento è stato frutto di una decisione “imperiale” presa dopo aver valutato ogni aspetto possibile e per meglio piegare l’Iraq, la conclusione dev’essere che anche i conseguenziali problemi erano stati messi in conto; e allora il giudizio critico s’incentra su come sia stata globalmente gestita la situazione. Una gestione pessima, senz’ombra di dubbio.
Se invece non è avvenuto quel che i Romani chiamavano omnibus rebus perpensis, e la cosa è stata decisa alla cieca, deve dirsi che si è trattato di una somma manifestazione di imbecillità: cosa peraltro non atipica nella politica estera di Washington. Gli Stati della Mezzaluna Fertile sono per lo più artificiali costruzioni dell’imperialismo anglo-francese dopo la Prima guerra mondiale, e in essi - piaccia o no, e per quanto possa risultare anomalo a osservatori occidentali - le Forze Armate sono la spina dorsale di pesudonazioni estremamente fragili, e in certi casi (come in Iraq) s’identificano con esse. Distruggere queste Forze Armate significa scompigliare un puzzle poi di difficilissima ricomposizione. Nell’Iraq di Saddam Husayn, gestito (lasciamo stare in che modo) da una dittatura formalmente sunnita ma in concreto laica, le Forze Armate fungevano un po’ da tampone nelle immemorabili diatribe religiose e politiche fra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita, mettendo un certo freno a quelle che i media occidentali definiscono (alquanto riduttivamente) lotte settarie. In più erano queste Forze Armate a fare in modo che lo stesso Iraq svolgesse una funzione di equilibrio nell’area tra le diverse e spesso contrapposte ambizioni egemoniche dell’Iran sciita, dell’Arabia Saudita sunnita e di una Turchia ufficialmente laica e oggi governata da islamisti ma con la preoccupazione (riguardante anche i laici kemalisti) di evitare il sorgere di uno Stato curdo unitario per i Curdi di Turchia, Iraq, Iran e Siria.

lunedì 23 giugno 2014

LA DERIVA NAZIONALISTA DEL MOVIMENTO DI GRILLO, di Antonella Marazzi e Roberto Massari

Cari amici e amiche del Meet-up bolsenese, caro Sandrone,

abbiamo atteso sino alla fine che il gruppo bolsenese si riunisse, prima di comunicare le nostre dimissioni dal gruppo stesso e dal Movimento 5 Stelle. Non volevamo mettere nessuno/a di voi davanti al fatto compiuto e ci sembrava giusto avere un confronto verbale, prima di formalizzare per iscritto la nostra decisione.
Ma arrivati ormai a un mese dalle elezioni, a fronte dell'ennesimo rinvio dell'incontro (che, quando sarà, sarà il primo postelettorale!), ci vediamo costretti a rompere gli indugi. Procediamo quindi per iscritto, senza aver avuto la possibilità di esporvi serenamente - a parole e con dovizia di argomenti - le ragioni per le quali due rivoluzionari internazionalisti come noi (uno, rivoluzionario internazionalista dal 1966, cioè da 48 anni, e una, rivoluzionaria internazionalista dal 1969, cioè da 45 anni) non possono restare un minuto di più dentro il M5S, sia pure su basi semplicemente locali.
In realtà la nostra decisione di dimetterci è sorta appena Grillo ha proposto l'ingresso nell'EFD di Nigel Farage (Europe of Freedom and Democracy), raggruppamento nazionalista, antieuropeo, filoimperialistico britannico, conservatore per genesi, storia e programmi. (Sull’Ukip non ci dilunghiamo perché speriamo che abbiate letto l'analisi proposta da Roberto nello scambio di lettere con Michele Nobile. Chi non l'ha letta può richiederla a noi o a Sandrone.)

Fernando Botero, Ratto d'Europa
Il solo fatto che Grillo potesse pensare possibile una simile scelta ci ha fatto rabbrividire. Sì, rabbrividire perché, a differenza di ciò che pensa tutta la gruppettologia erede della ex estrema sinistra, noi attribuivamo al Movimento una funzione progressista (in Italia), un ruolo coerentemente e istintivamente antisistema e comunque storicamente superiore in radicalità a quanto sia mai stato fatto da tutti i gruppi della ex estrema sinistra nel Parlamento italiano (da Lotta continua a Rifondazione, passando per Avanguardia Operaia o Democrazia proletaria o i Verdi). Ovviamente questa funzione progressista del M5S verrà ora severamente limitata dalla sua collocazione in campo reazionario a livello europeo, sicuramente segna l’inizio di una sua crisi qualitativa e, in più lontana prospettiva, una sua scomparsa quantitativa.
Per assolvere a compiti realmente reazionari, infatti, il sistema capitalistico dispone già di suoi strumenti consolidati e difficilmente acconsentirà a sponsorizzarne di nuovi. E al momento il principale strumento della reazione in Italia è certamente il PD diretto da Renzi e composto dalla nuova e vecchia nomenklatura di origine pciista. A livello europeo, invece, il fronte delle varie borghesie nazionali è diviso trasversalmente come minimo tra europeisti e antieuropeisti, passando per i cosiddetti «euroscettici».

domenica 22 giugno 2014

UNA TRIPARTIZIONE DELL’IRAQ?, di Pier Francesco Zarcone

Per quanto una situazione di estremo dinamismo, come quella irachena, induca ad astenersi da previsioni sui futuri sviluppi, tuttavia è possibile iniziare a decifrare – almeno in termini generalissimi - i cambiamenti imputabili agli eventi odierni riguardo alla situazione preesistente.
A breve o medio termine i possibili scenari di base sono due: nel primo i Jihadisti sunniti vittoriosi saldano i conti millenari con gli Sciiti, in un enorme bagno di sangue e causando immani devastazioni di un plurimillenario patrimonio culturale, impadronendosi di tutto l’Iraq e delle sue riserve energetiche. Uno scenario dalle conseguenze micidiali, ma difficilmente concretizzabile; e non già per le aspettative di un salvifico “arrivano i nostri” made in Usa, che probabilmente non ci sarà (almeno, così sembra). In uno scontro ormai palesemente intraislamico (cioè fra Sunniti e Sciiti) l’aspetto rilevante si incentra su alcuni elementi di fatto fra loro relazionati: la presenza maggioritaria sciita nella popolazione irachena, il concentramento degli Sciiti per lo più nel sud del paese, la contiguità dell’Iran con l’Iraq.

Gli Sciiti
Tutto ciò fa escludere che i jihadisti riescano a impadronirsi di una megalopoli come Baghdad (a maggioranza sciita), per non parlare del sud iracheno. Militarmente gli sciiti non sono affatto disarmati né privi di organizzazioni combattenti, che anzi ricevono addestramento e armamento dall’Iran. Sul campo sono operative due milizie sciite locali, armate, finanziate e assisite da Teheran: Kataib Hezbollah (Falange del Partito di Dio) e Asaib Ahl al-Haqq (Lega della Gente della Verità), che già hanno combattuto in Siria con le truppe di Bashar al-Assad, e ora stanno reclutando volontari nei centri sciiti iracheni contro i jihadisti. Anzi, elementi di Asaib Ahl al-Haqq già si sono scontrati a Fallujah contro i miliziani dell’Emirato Islamico dell’Iraq e del Levante (Dawlat al-Islaamiyya fii al-Iraq wa-l-Sham), e il gruppo sciita Liwa Abu Fadl al-Abbas (Brigata Abu Fadl al-Abbas) - originariamente costituito per combattere in Siria - si sta posizionando a Nord di Baghdad; vi sono poi le milizie dell’Organizzazione Badr (Luna piena). Secondo taluni media occidentali - nonostante le affermazioni di segno contrario del governo di Teheran - truppe iraniane sarebbero già in Iraq e avrebbero aiutato l’esercito iracheno a  riprendere il controllo della maggior parte di Tiqrit. Il britannico Guardian del 15 giugno riportava di centinaia di volontari iraniani giunti in Mesopotamia, tra cui due battaglioni delle Forze Quds dei Pasdaran; inoltre 1.500 elementi dei Basij (paramilitari) avrebbero attraversato il confine nell’Iraq centrale il 13 giugno, e nella stessa data il Maggior-Generale Qasim Sulaymani, capo dei Quds delle Guardie Rivoluzionarie, sarebbe arrivato a Baghdad per supervisionarne la difesa. La notizia data dal Wall Street Journal circa combattimenti fra iraniani e jihadisti è coerente col fatto che i Pasdaran hanno avuto il loro primo pasdar ucciso dai sunniti.
Inoltre l’Iran potrebbe operare sui partiti sciiti nel senso di decidersi a cooperare per la formazione di un nuovo governo. A ciò si aggiunga che proprio Teheran non potrà assolutamente mai consentire che i centri più sacri della storia sciita (Karbala, Najaf, Samarra ecc.), con i loro veneratissimi santuari, siano devastati dalla furia iconoclasta dei jihadisti. E l’esercito iraniano non è confrontabile con quello iracheno di al-Maliki. Sembrar comunque che la resistibile avanzata jihadista abbia  perso un po’ del suo vigore, e che l’esercito iracheno abbia ripreso a combattere, come è successo  a Bakuba (grazie anche ai miliziani sciiti), Tal Afar, Baiji e Samarra (quest’ultima, pur se sopravanzata dai jihadisti, non è però caduta). Rimandiamo a molto breve scadenza il tema del crollo di questo esercito, e diciamo solo che l’attuale stabilizzazione degli eventi bellici sembra mostrare un’estensione del fronte jihadista al di là delle sue effettive capacità operative.


mercoledì 18 giugno 2014

LA CATASTROFE IRACHENA: GRAZIE WASHINGTON!, di Pier Francesco Zarcone

Indipendentemente da come si evolveranno le cose sul piano militare, è possibile un primo bilancio sull’enorme crisi che sta sconvolgendo l’Iraq. Qui emergono in tutta la loro tragicità le catastrofiche conseguenze della dissennata politica statunitense, capace di  produrre costi umani di immane portata, ma incapace di realizzare altresì i propri interessi imperialistici, creando un mare di guai per gli Iracheni e per il mondo intero. Lo squagliamento del nuovo esercito di Baghdad addestrato dagli Stati Uniti (quello di Saddam Husayn fu sciolto dagli Usa subito dopo la conquista dell’Iraq) tratteggia quanto accadrà domani in Afghanistan, col suo logico seguito. In più vanno contati fin d’ora le sanguinose conseguenze del ritorno nei paesi di origine delle migliaia di combattenti jihadisti con passaporti europei. Il massacro al Museo ebraico di Bruxelles è stato, con tutta probabilità, solo un anticipo.

Una polveriera in  fiamme
Tuttavia il vero nucleo del problema sta nel fatto che la sconclusionata azione di Washington, di cui l’attuale insipienza di Obama è il punto di arrivo attuale, provoca la progressiva esplosione dei settori più a rischio della polveriera araba, dall’Africa settentrionale al Vicino e Medio Oriente, e porterà a una terribile deflagrazione finale. Non si dimentichi che solo pochi mesi fa gli Stati Uniti avevano tutta l’intenzione di bombardare la Siria: senza l’escamotage di Putin essi avrebbero consegnato quel paese proprio ai jihadisti che oggi marciano su Baghdad. Sull’irresistibilità di questa marcia ci sarebbe molto da dire, se sono vere le voci che li valutano in circa 30.000 miliziani per lo più armati alla leggera. Tuttavia dai depositi militari abbandonati di corsa dai soldati iracheni sicuramente i jihadisti hanno ricavato materiali qualitativamente consistenti e utilizzabili sia in Iraq sia in Siria.
Per quanto sia stata una sorpresa la rapidissima disintegrazione dell’esercito iracheno, i segnali premonitori di un’azione dei jihadisti c’erano eccome, ma il governo centrale se ne è infischiato, a parte inascoltate richieste di aiuto agli Stati Uniti. A questo punto le male lingue arabe attribuiscono quest’inerzia a un machiavellico gioco del premier sciita Nuri al-Maliki, il quale avrebbe lasciato precipitare la situazione per potersi poi fare attribuire poteri straordinari a tempo indeterminato. Fantapolitica? Gioco rischioso? Non si sa, ma da quelle parti tutto è possibile. Sta di fatto che forse una politica di al-Maliki un po’ meno settariamente antisunnita avrebbe contribuito a migliorare le cose. Invece anche lui ha puntato alla resa dei conti.  
Circa l’estrema gravità della situazione la carta geografica è assai eloquente e rivelatrice.

martedì 3 giugno 2014

LO TSUNAMI NAZIONALISTA DI GRILLO, di Roberto Massari e Michele Nobile


Michele,
sarebbe meraviglioso se tu facessi un breve articolo (anche una o due pagine) di definizione e descrizione dell'Ukip (e non tanto di personalizzazione su Farage).
La discussione nel Mov. 5 stelle è scoppiata in forma pessima ed è tutta concentrata su questa o quella frase di Farage.
In realtà basterebbe andare a cercare la voce Ukip in wikipedia (voce che si presume l'abbiano scritta loro stessi e nel leggerla si vede che è proprio così) per capire che ci si trova davanti a un partito nato dalla tradizione dei conservatori inglesi (quindi dal mondo della Thatcher), che è profondamente nazionalista, ma alla maniera degli inglesi: cioè vogliono essere estranei a qualsiasi forma di collaborazione internazionale che non sia da loro dominata (nostalgie del Commonwealth), a qualsiasi abbassamento delle frontiere della Gran Bretagna insulare, secondo una tradizione di isolazionismo imperialistico che l'Inghilterra ha sempre avuto e che anche i laburisti appoggiarono. Non dimenticherò mai l'anno delle prime elezioni europee (1979) in cui addirittura Ernest Mandel andò a fare campagna per i laburisti e per l'uscita della Gran Bretagna dalla Cee.
Insomma, ci troviamo davanti a un partito filocapitalistico in forma esplicita, nazionalista e profondamente conservatore (loro si definiscono anche liberali, ma nel senso di fautori del liberismo). E se mi mettessi a parlare dell'Irlanda del Nord (di cui stranamente si sono tutti dimenticati) si vedrebbe che l'Ukip la pensa come la stragrande maggioranza dell'establishment politico britannico, e cioè che l'Ulster è loro e guai a chi lo tocca (a me basterebbe questo per condannare l'Ukip e tutti coloro che lo sostengono). 
Le loro preoccupazioni per le politiche di controllo dell'immigrazione sono cosa seria - da non confondere quindi con il razzismo (casomai la xenofobia) - ma hanno il difetto di puntare alla difesa degli interessi capitalistici (imperialistici) britannici visti in opposizione a quelli «stranieri». Dopodiché è vero che non si può proseguire con l'immigrazione selvaggia: ma se questa preoccupazione la esprimo io che sono per la rivoluzione mondiale e che vorrei investire energie per risolvere il problema degli immigrati nel loro paese d'origine, è un conto. Se lo dice un difensore dell'imperialismo (italiano o britannico poco importa) è un'altra cosa. La differenza è di classe - si sarebbe detto un tempo.

lunedì 2 giugno 2014

VENEZUELA: EL DERRUMBE DEL MODELO ECONÓMICO EN PUERTAS. EL INICIO DE UN NUEVO CICLO, por José Rafael Mendoza Márquez [«Ruptura», Venezuela]


Todo gobierno y sus altos directivos, deben tener la capacidad técnica y política de comunicar, informar y sobre todo persuadir, sobre los asuntos de interés colectivo, y sobre decisiones gubernamentales, es su responsabilidad. De lo contrario estaremos en presencia de un gobierno débil, sin las capacidades políticas adecuadas para dirigir a la sociedad. Parece que esta situación ya se esta haciendo cotidiana en el gobierno del Presidente Nicolás Maduro.

Este señalamiento se hace, ya que basta con observar y leer en los medios de comunicación a un vocero no oficial, que representa una asociación de carácter privado, informando sobre la aplicación de los precios de las tarifas en los pasajes internacionales a tasa Sicad II, por encima del funcionario del gobierno, a quien le corresponde la responsabilidad política de hacer el anuncio.
A lo anunciado (el ajuste de tarifas de los boletos aéreos a tasa Sicad II), ahora se suma que Bolipuertos, cobrará en Bs, a cambio de tasa Sicad II los aranceles que le corresponden, lo que comienza a evidenciar que el sector público está comenzando a establecer dicho cambio (casi 50 Bs.) como referencia para las operaciones en divisa extranjera. A la larga, se viene generando un devaluación excesiva de la moneda nacional. Porque finalmente, si se obtiene divisas a 6,3 (Cencoex) o Sicad I (10 Bs.), tanto el sector público como el privado finalmente los costos lo establecerán a Sicad II. Toda una distorsión y barbaridad económica. Lo que producirá irremediablemente que la Ley de Precios Justos se vaya a la basura, y los mecanismos de control que de por si son ineficientes, terminen por desaparecer.

Esta situación, de igual forma evidencia una serie de fallas estructurales que tiene las políticas económicas adoptadas, porque no hay que ser un erudito en materia económica para demostrar que el Sistema de Control de Cambios ya es un sistema totalmente anacrónico, cumplió su ciclo real, y debe ser revisado científica y políticamente. No es posible sostener la economía nacional con 4 tipos de cambios, máximo cuando son los más altos valores lo que determina la estructura de costos, aún cuando se adquieren en los más bajos valores. De allí, que se está generando una enorme inflación, desabastecimiento y distorsiones en la oferta de bienes y servicios.