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lunedì 30 settembre 2013

15º INCONTRO ANNUALE DELLA FONDAZIONE GUEVARA


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

martedì 24 settembre 2013

FUORILEGGE IN EGITTO I FRATELLI MUSULMANI, di Pier Francesco Zarcone

Un evento epocale e dalle conseguenze forse non imprevedibili
Il 23 settembre, i mezzi di informazione hanno dato notizia che la Corte del Cairo per le Questioni Urgenti – su istanza del partito di sinistra Tagammu - ha disposto la messo al bando della Fratellanza Musulmana, la chiusura di tutte le sue sedi e di “qualunque istituzione che ne derivi oppure riceva assistenza finanziaria da essa”, nonché “la confisca di tutti i soldi, beni e immobili del gruppo”, suggerendo che il governo crei una commissione indipendente per gestire il denaro della confraternita fino all’emissione di ordini appositi da parte della Corte.  Ancora non è stata resa nota la motivazione del grave provvedimento: si sa però che il ricorso di Tagammu accusava la Fratellanza di essere un gruppo terroristico che sfrutta la religione a fini politici. Per inciso, già in altri tribunali egiziani erano state depositate denunce similari. La predetta decisione della citata Corte cairota consente alle nuove(-vecchie) autorità egiziane di agire legalmente contro la rete della Fratellanza nel settore dei social media sferrando un pesantissimo colpo agli strumenti di sostegno di base della confraternita. Il legale della Fratellanza, ‘Ali Kamal, ha annunciato appello alla Corte superiore, e staremo a vedere.
Va intanto notato che anche in passato erano stati presentati ricorsi contro la Fratellanza sostenendosi che essa fosse priva dei requisiti legali sulle Organizzazioni Non-Governative. Le doglianze dovevano avere un qualche fondamento se a marzo di quest'anno, con Muhammed Morsi ancora Presidente, la Fratellanza aveva ottenuto lo status di associazione.

domenica 22 settembre 2013

LE ARMI E LA MORTE, di Marcelo Colussi

Preferisco svegliarmi in un mondo in cui gli Stati Uniti
forniscano il cento per cento delle armi mondiali.
(Lincoln Bloomfield, funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti)

I
Quando i nostri antenati scesero dagli alberi e cominciarono a camminare eretti sulle due gambe circa due milioni e mezzo di anni fa, per la prima volta nella storia fabbricarono un oggetto, un elemento che trascese la natura. Questo inizio dell'umanità fu dato, né più né meno, dall'ottenimento di una pietra affilata; in altri termini: un'arma. È allora contrassegnata da questo inizio la storia della nostra specie? Ci sono le armi all'origine stessa del fenomeno umano?
Sì, senza alcun dubbio. La violenza è umana, non si tratta di un "corpo estraneo" nella nostra costituzione. Ebbene: come siamo passati dall'aggressione necessaria per la sopravvivenza alla violenza umana, al disprezzo per l'altro, all'attuale industria della morte? Anche l'organizzazione attorno al potere è umana; gli animali, al di là dei loro meccanismi istintivi di sopravvivenza, non esercitano poteri. Noi sì. In questa dialettica (chi disse che un "bianco" vale più di un "negro", o che una donna è "meno" di un uomo?…, ma questa dialettica contrassegna le nostre relazioni), l'uso di qualcosa che aumenti la capacità di attacco è vitale. Lo fu sugli alberi, come necessità di assicurarsi la lotta per la sopravvivenza (la pietra affilata, il randello, la lancia), e continua a esserlo anche oggi. Ebbene: le armi attuali non sono in alcun modo al servizio della sopravvivenza biologica; le armi attuali, da quando sappiamo che la storia ha cessato di essere pura sopravvivenza in qualche caverna e nella costante lotta con l'ambiente naturale, allora le armi delle società di classe sono al servizio dell'esercizio del potere dominante, dalla più rustica spada fino alla bomba all'idrogeno.
Sigmund Freud in vecchiaia, come riflessione filosofica più che come formulazione di una pratica clinica, con la sapienza che può conferire tutta una vita di acuta meditazione, parlò di pulsione di morte: ritorno all'inanimato. Da qui che la psicoanalisi possa parlare di un malessere intrinseco a ogni formazione culturale, a ogni società: perché facciamo la guerra? Si potrà dire che l'organizzazione sociale strutturata attorno alle classi sociali porta inesorabilmente a ciò (e, pertanto, alla produzione di armi). Allora resta in piedi la domanda: perché l'essere umano ha costruito queste società stratificate e guerrafondaie e non, al contrario, organizzazioni orizzontali basate sulla solidarietà? Il socialismo è la proposta che punta a costruire queste alternative. Ci riusciremo? Sarà realizzabile quel che proponeva il subcomandante Marcos nel Chiapas «prendiamo le armi per costruire un mondo in cui non siano necessari gli eserciti», o la pulsione di morte ci trascinerà prima all'autodistruzione come specie?

mercoledì 18 settembre 2013

LAS ARMAS Y LA MUERTE, por Marcelo Colussi

Prefiero despertar en un mundo donde Estados Unidos 
sea proveedor del cien por ciento de las armas mundiales.
(Lincoln Bloomfield, funcionario del Departamento de Estado de Estados Unidos)

I
Cuando nuestros ancestros descendieron de los árboles y comenzaron a caminar erguidos en dos patas hace dos millones y medio de años, por vez primera en la historia fabricaron un objeto, un elemento que trascendió la naturaleza. Ese inicio de la humanidad estuvo dado, nada más y nada menos, que por la obtención de una piedra afilada; en otros términos: un arma. ¿Es que la historia de nuestra especie está signada entonces por ese inicio? ¿Las armas están en el origen mismo del fenómeno humano?
Sí, sin ningún lugar a dudas. La violencia es humana, no es un “cuerpo extraño” en nuestra constitución. Ahora bien: ¿cómo fuimos pasando de la agresión necesaria para la sobrevivencia a la violencia humana, al desprecio del otro, a la industria de la muerte actual? La organización en torno al poder igualmente es humana; los animales, más allá de sus mecanismos instintivos de supervivencia, no ejercen poderíos. Nosotros sí. En esa dialéctica (¿quién dijo que un “blanco” vale más que un “negro”, o que una mujer es “menos” que un varón?..., pero esa dialéctica marca nuestras relaciones), el uso de algo que aumente la capacidad de ataque es vital. Lo fue en los albores, como necesidad para asegurar la lucha por la sobrevivencia (la piedra afilada, el garrote, la lanza), y lo sigue siendo hoy día. Ahora bien: las armas actuales en modo alguno están al servicio de la supervivencia biológica; las armas actuales, desde que conocemos que la historia dejó de ser la pura sobrevivencia en alguna caverna y en constante lucha con el medio ambiente natural, las armas de las sociedades de clases, entonces, están al servicio del ejercicio del poder dominante, desde la más rústica espada hasta la bomba de hidrógeno.
Sigmund Freud en su senectud, como reflexión más filosófica que como formulación de la práctica clínica, con la sabiduría que puede conferir toda una vida de aguda meditación, habló de una pulsión de muerte: retorno a lo inanimado. De allí que el psicoanálisis pueda hablar de un malestar intrínseco a toda formación cultural, a toda sociedad: ¿por qué hacemos la guerra? Se podrá decir que la organización social vertebrada en torno a las clases sociales lleva inexorablemente a ellas (y por tanto, a la producción de armas). Queda entonces en pie la pregunta: ¿pero por qué el ser humano construyó esas sociedades estratificadas y guerreristas y no, por el contrario, organizaciones horizontales basadas en la solidaridad? El socialismo es la propuesta que apunta a construir esas alternativas. ¿Lo lograremos alcanzar? ¿Será realizable lo que proponía el subcomandante Marcos en Chiapas: “tomamos las armas para construir un mundo donde ya no sean necesarios los ejércitos”, o la pulsión de muerte nos arrastrará antes a la autodestrucción como especie?

sabato 7 settembre 2013

SULLA GEOTERMIA IN UMBRIA, di Vittorio Fagioli


Comunicato stampa delle associazioni ambientaliste e comitati di cittadini dell’Orvietano, della Tuscia viterbese e del lago di Bolsena in merito alla vertenza contro gli impianti pilota geotermici dell'Alfina.
Cordiali saluti,
a nome e per conto delle  associazioni

Vittorio Fagioli
presidente CISA-Orvieto
Geotermia sull’Alfina: nella legge 98/2013 di conversione del “Decreto del fare”  inserite norme  che sottraggono la valutazione di impatto ambientale  alla competenza della Regione Umbria e escludono gli impianti pilota geotermici dalla Direttiva Seveso sulla prevenzione di incidenti rilevanti. La risposta contro la realizzazione di tali impianti da parte delle popolazioni, ambientalisti ed amministratori uniti non potrà che essere  ancora più determinata.

I denunciati estesi conflitti di interesse, gli errori nelle procedure per le autorizzazioni, l’opposizione su vasta scala di cittadini ed amministrazioni, sia umbre che laziali, che,  avevano sin dall’inizio  accompagnato la vicenda dell’impianto  geotermico  pilota di  Castel Giorgio, avevano avuto vasta eco presso la Regione Umbria che aveva  determinato di approfondire con  una “ inchiesta pubblica” la ingarbugliata vicenda. Che la vicenda si potesse concludere con una bocciatura del progetto era nelle cose, visti  i pesanti dubbi in merito a problematiche, non di poco conto, come  la sismicità indotta ed il possibile  inquinamento delle falde dell’altopiano dell’Alfina e del sottostante  lago di Bolsena. Il tutto poi senza che si potesse solo ipotizzare un ritorno economico ed occupazionale sul comprensorio.

venerdì 6 settembre 2013

IN RICORDO DI MAURO ROSTAGNO, di Antonio Marchi

Antonio Marchi
Mauro Rostagno nasce a Torino nel 1942, i suoi genitori sono dipendenti presso la Fiat. Prima dell’esperienza universitaria viaggia molto: lavora in Germania, Inghilterra, manifesta in Spagna contro il regime franchista, si reca in Francia, dove subisce un provvedimento di espulsione. Tornato in Italia si trasferisce a Trento; studente prodigio a 17, operaio a 18, psiuppino a 24, matricola di sociologia a Trento a 26, movimentista nel ‘68, candidato alle elezioni per Dp nel ‘76.
Dopo le annate di dibattiti e manifestazioni studentesche, e dopo una serie di 30 e lode conseguiti agli esami universitari, decide di far contenta la madre e completare gli studi: nel 1973 si laurea in Sociologia, la sua tesi è  ispirata dal senso di giustizia sociale da perseguire mediante un radicale sovvertimento della società e delle istituzioni, compresa la stessa università, e viene discussa in un’aula affollatissima, in un clima singolare e surreale.
In quegli stessi anni Mauro Rostagno fonda (assieme ad Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Guido Viale, Marco Boato) Lotta Continua, movimento politico votato all’ideologia comunista-libertaria. Una vita complessa, e forse anche per questo le “piste” seguite dagli inquirenti per il suo omicidio furono le più diverse e lontane: in carcere finì inizialmente la compagna Chicca Roveri, madre di sua figlia Maddalena, quando si pensò a un delitto maturato nell’ambito della comunità Saman, fondata dalla coppia e dall’amico Francesco Cardella. Poi si pensò a un collegamento con il delitto Calabresi, visto che Rostagno era stato con Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Giorgio Pietrostefani e Paolo Brogi tra i fondatori del movimento Lotta Continua, nel 1969. E poi a un traffico d’armi, o di droga, o ai servizi segreti.

lunedì 2 settembre 2013

SIRIA: ASPETTANDO L’AGGRESSIONE DI OBAMA, di Pier Francesco Zarcone

Bush with Obama mask © Dustin Spagnola
ARROGANZA E BUGIE

L’aggressione alla Siria è al momento - pare - rimandata a tempo determinato, almeno fino alla riapertura del Congresso statunitense dopo le ferie estive. Così ha deciso il premio Nobel per la Pace 2009 (!) e presidente degli Stati Uniti Barack Hussein Obama. Decisione non autonoma, ma indotta dalla richiesta scritta di 200 congressisti. Una frenata che viene dopo il voto contrario all’attacco da parte della Camera dei Comuni britannica, ma che potrebbe non essere definitiva. Infatti Obama - pur costretto a sospendere per il momento le sue pulsioni belliciste - non ha spiegato cosa accadrebbe in caso di un eventuale decisione del Congresso che facesse il paio con quella britannica. Inoltre è pacifico che se il Congresso desse via libera, Obama si sentirebbe “legittimato” a scatenare l’attacco.
In questa sequenza c’è la reiterazione di una pesantissima anomalia di fondo non più mistificabile, soprattutto da quando è imploso il blocco del “socialismo reale”, e che ovviamente i media nostrani, per lo più acritici portavoce delle posizioni della Casa Bianca, non rimarcano mai. Nella loro arrogante libidine di superpotenza gli Usa, calpestando di continuo la legalità internazionale, hanno riportato e mantengono il mondo nella prepotenza della barbarie. Civiltà con la “C” maiuscola e diritto sono sempre andati in coppia, e quando al diritto si sostituisce la forza bruta - sovente capricciosa - allora anche la civiltà è compromessa. Non è il caso di stupirsi, ma di indignarsi sì. Semmai lo stupore trova spazio quando si assiste alla meraviglia con cui tanti candidi cittadini statunitensi si chiedono come mai ci sia al mondo tanto odio verso gli Stati Uniti. Non disse una volta Karl Rove, consigliere politico del famigerato George W. Bush, «ora noi siamo un Impero e quando agiamo creiamo la nostra realtà»?
Finché sarà così, l’odio potrà solo estendersi. Come del resto accade oggi nel mondo arabo, dove l’odio verso gli Stati Uniti va dagli islamisti radicali fino ai laici e alle superstiti sinistre.
Nel caso della Siria - il cui turno fa seguito ad Afghanistan, Iraq e Libia - ancora una volta quel che asseriscono gli Stati Uniti vale come prova, e tanto basta perché si faccia a meno dell’unico organo internazionale formalmente legittimato ad autorizzare interventi militari del genere: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Semmai è il Congresso statunitense a prenderne di fatto il posto!
Una considerazione per inciso, indignazione a parte: già la storia è ricca di precedenti dominati dall’illusione di politici e militari circa la brevità temporale e la limitatezza spaziale dei conflitti che si andava a scatenare; ma se si ha presente la costante mistura di approssimazione operativa, di ignoranza dei contesti, di rozza psicologia da film hollywoodiani di serie B, d’incapacità nel prevedere gli scenari possibili - e quindi di venirne fuori - che fa parte del bellicismo statunitense, allora è legittimo che a ogni intervento militare Usa si finisca col tremare.