L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

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giovedì 29 marzo 2012

CRISTIANESIMI IV - IL «PECCATO ORIGINALE»: UN PROBLEMA TEOLOGICO CHE DALLA BIBBIA NON RISULTA, di Pier Francesco Zarcone

Un dogma funzionale

Il primo libro della Bibbia - la Genesi - contiene la narrazione in forma mitica di quello che poi le Chiese cristiane, sulla scia di Paolo di Tarso, hanno chiamato “peccato originale” facendone - sia pure con sfumature diverse - la causa dell’imperfezione morale degli esseri umani. Vista in questi termini la cosa risulta del tutto assente nella religiosità israelita, tant’è che in seguito la Bibbia ebraica (cioè quello che per i Cristiani è il Vecchio testamento) non riprende più l’argomento e il discorso sulle problematiche morali dell’umanità viene svolto indipendentemente dalla cosiddetta “caduta primordiale”. Inoltre questo tema non ha mai fatto parte della predicazione di Gesù di Nazareth. Invece, soprattutto nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo esso occupa un posto fondamentale, grazie al quale Agostino di Ippona poté definire l’umanità in sé una “massa dannata”, che senza la Chiesa e i Sacramenti non si salva e che è attesa dal rovente calduccio dell’Inferno.
Questo mito - oltre a essere teologicamente significativo - ha svolto un’importante funzione nella creazione di una stretta rete di controllo ecclesiastico sulle società occidentali, proprio a motivo della situazione di insopprimibile peccaminosità in cui, grazie a tale mito, è stata vista l’umanità. E per salvarla le Chiese, soprattutto quelle di origine latina, dovevano sapere, controllare, indirizzare e punire.

«In generale si può dire che, a differenza della tradizione teologica occidentale, la quale si occupò con particolare insistenza del peccato dei progenitori, delle sue conseguenze e della sua trasmissone, quella orientale tratta dell’argomento solo incidentalmente e in modo per niente uniforme. Così non si può presentare la dottrina “ufficiale” della Chiesa orientale riguardante il peccato originale, perché, nell’ambito di questa tradizione, non vi è stato mai un dibattito in proposito e molto meno vi fu un tentativo di sistematizzare questa dottrina in modo obbligatorio per tutti, in quanto nessun concilio ecumenico o sinodo locale, tenuto in Oriente, ebbe occasione di ocuparsene»[1].

Forse è stato Paolo di Tarso il grande inventore del peccato originale, che si sarebbe trasmesso con la procreazione a tutto il genere umano posteriore all’umanità primordiale; il “forse” - cioè la mancanza di sicurezza per tale attribuzione - viene motivato più avanti. Tuttavia è ad Agostino di Ippona - mai liberatosi dai condizionamenti del suo passato da libertino e della sua precedente (e intensa) esperienza religiosa manichea, altresì afflitto da vari problemi psicologici e frustrazioni - che si deve la costruzione di un vero e proprio apparato teologico centrato sul tema in questione.

mercoledì 21 marzo 2012

PER ANDO GILARDI, AMICO E MAESTRO…, di Pino Bertelli

«Bisogna avere molto caos dentro di sé per partorire una stella danzante...
Un po’ di veleno ogni tanto: ciò rende gradevoli i sogni. E molto veleno alla fine per morire gradevolmente.
Si continua a lavorare, perché il lavoro intrattiene. Ma ci si dà cura che il trattenimento non sia troppo impegnativo.
Non si diventa più né ricchi né poveri: ambedue le cose sono troppo fastidiose.
Chi vuole ancora governare? Chi obbedire? Ambedue le cose sono troppo fastidiose.
Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali:
chi sente diversamente va da sé al manicomio. “Una volta erano tutti” - dicono i più raffinati e strizzano l’occhio.
Oggi si è intelligenti e si sa per filo e per segno come sono andate le cose: così la materia di scherno è senza fine.
Sì, ci si bisticcia ancora, ma si fa pace al più presto – per non guastarsi lo stomaco.
Una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte salva restando la salute.
“Noi abbiamo inventato la felicità”- dicono gli ultimi uomini e strizzano l’occhio».
Friedrich W. Nietzsche, il dinamitardo di tutte le morali.
Ando Gilardi
Arquata Scrivia 1921 — Ponzone 2012
Fotografo, storico, critico della fotografia sociale

Meglio ladro che fotografo...
L’ho conosciuto bene Ando Gilardi... mi è stato amico e maestro... ci siamo frequentati per quasi vent’anni... scambiati lettere, opinioni, invettive sull’uso politico o poetico della fotografia... lo andavo a trovare una o due volte l’anno... lassù nei boschi dove aveva fatto il partigiano, in quella casa in fondo al paese... colorata delle sue opere sparse dappertutto... si mangiava qualcosa con Luciana, sua moglie, e poi ci si rinchiudeva nella sua stanza/studio... fascinosa... piena di cose, libri, stampe digitali delle sue fotografie surreali... accendevo il registratore e fermavo nel tempo le nostre lunghe discussioni sulla politica, la fotografia, la Shoah, la resistenza sociale... eretico dell’eresia, sosteneva, a ragione, che per chi scrive o fotografa a un certo grado di qualità è sempre aperto il reparto degli incurabili dell’utopia... quindi — “Meglio ladro che fotografo” — diceva. Le nostre conversazioni, scambi di idee, e-mail quasi giornaliere... sono poi finite in un pamphlet (ancora inedito): “Dio non esiste! La fotografia sì” (MERDE DE PHOTOGRAPHE), il titolo è di Ando. Sin da quando tiravo i sassi alla celere di Scelba che bastonava gli operai in sciopero della città-fabbrica dove vivevo (e vivo ancora), ho sempre pensato che ciò che non mi uccide, mi fortifica.

martedì 20 marzo 2012

IL GOVERNO MONTI E IL CONSENSO BIPARTITICO NELLA POSTDEMOCRAZIA ITALIANA (Seconda parte), di Michele Nobile


4. La complementarietà di centrosinistra e centrodestra nella formazione del regime postdemocratico italiano.

Il nocciolo della questione è che quel che accade in questi mesi è l’epilogo del cambiamento della costituzione materiale della Repubblica verificatosi nel corso degli anni Novanta. Ma a quali forze politiche va attribuito questo cambiamento? Si identifica con la costruzione di un particolare regime berlusconiano? Oppure, se ad esso hanno contribuito sia il centrodestra sia il centrosinistra, come si ripartiscono le responsabilità?

È utile un minimo di periodizzazione. Nell’ultimo decennio del secolo scorso il centrodestra governò per complessivi 286 giorni, ma il centrosinistra nel senso stretto governò per 1816 giorni, che salgono a 2211 se si conta anche il governo «tecnico» di Dini (appoggiato dal centrosinistra, dalla Lega nord e dal centro democristiano, con l’astensione del berlusconiano Polo delle libertà). Dal 1994 al novembre 2011 il centrodestra ha governato per complessivi 3300 giorni, il centrosinistra per 2538 giorni, o 2933 contando Dini.
Se si ha il coraggio di guardare in faccia «l’arido vero», questi numeri, ai quali si potrebbero aggiungere quelli dei governi nelle singole regioni (dove Prc, Pdci, Verdi, Sel hanno avuto o hanno consiglieri, assessori e anche un Presidente regionale in governi di centrosinistra), ci dicono che negli ultimi anni l’Italia è stata governata in modo quasi equivalente da entrambe le coalizioni. A fronte di questi dati di fatto elementari solo la stabilità della leadership del centrodestra e la continuità di governo nel 2001-2006 (un’intera legislatura, ma la precedente era stata tutta del centrosinistra) possono spiegare come il buon elettore di sinistra masochisticamente rassegnato al meno peggio possa vedere in Berlusconi il nemico assoluto. 
Il cambiamento è stato dunque opera tanto dei partiti del centrodestra quanto del centrosinistra: il sistema dei partiti ha più che mai agito come l’autentico sovrano, decidendo in piena autonomia (con l’attiva tutela del Presidente Scalfaro) su questioni della massima importanza e in assenza di un processo costituente di natura democratica. Nei partiti la funzione di governo ha del tutto soverchiato quella rappresentativa: ciò sia dal lato borghese, con la fine della vecchia Dc, sia e in modo ancor più determinante, con la mutazione dell’ex Pci e dei suoi frammenti.

sabato 17 marzo 2012

LA IEROCRAZIA ATEA DEL «COMPAGNO» STALIN, di Pier Francesco Zarcone

Alla ricerca di analogie
Non è difficile individuare analogie, o tratti similari, fra il sistema di potere realizzato da Stalin (utilizzando anche presupposti e materiali frutto dell’azione di Lenin, come la mitologizzazione del partito bolscevico) e le teorizzazioni di matrice religiosa che furono parte dell’ideologia a sostegno dell’assolutismo zarista. L’influsso dell’esperienza fatta durante gli anni giovanili nel seminario ortodosso di Tiflis è importante dal punto di vista della genesi formale, poiché in quel periodo Stalin fece la conoscenza di certi moduli linguistici ecclesiastici, poi utilizzati nel culto della sua personalità. Tuttavia non si trattò solo di influsso formale, giacché anche taluni moduli strutturali finirono assimilati dal nostro personaggio.
Le analogie di cui parliamo rivelano il rovesciamento di simboli e strutture del precedente contesto religioso/politico in funzione di un nuovo assetto di segno contrario sì, ma speculare, per realizzare come punto di arrivo un maggiore potere di controllo sulla società. 
Un rovesciamento che, prima ancora di essere considerato arbitrario, è semplicemente possibile, e non rappresenta una novità. Si pensi a ciò che accade in simbologia con la famosa stella a cinque punte: con un solo vertice in alto, rappresenta l’Uomo Universale; ma rovesciata è simbolo demoniaco del caprone.

L’ideologia religiosa e politica dello zarismo: modello “moscovita” e modello “pietrista”
Dovendo qui fare un discorso comparativo, è utile illustrare - sia pure in sintesi - l’ideologia dello zarismo russo, giacché esso non fu una qualunque monarchia assoluta, non riscontrandosi nulla di simile nell’Europa occidentale. Le connotazioni particolari presentate dallo zarismo erano dovute a un mix di elementi bizantini (l’ideologia del monarca - Βασιλέυς - sacralizzato, una sorta di vescovo laico pari agli Apostoli) e orientali (desunti dai khanati tartaro/mongoli dell’Orda d’Oro costituitisi in terra russa dal XIII secolo): la risultante di ciò fece dello zar un autocrate a sé stante nell’insieme delle monarchie di diritto divino, quanto meno per la maggiore pregnanza qualitativa.

venerdì 16 marzo 2012

GLI SCACCHI DI MARX… O LO SCACCO DEL MARXISMO?, di Riccardo Vinciguerra (Mongo)

Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
(San Carlos)

San Carlos è ovviamente Karl Marx.
Nel 1998 un intellettuale inglese, Lord Skidelsky, disse che Marx si era sbagliato nell’aver predetto l’imminente rivoluzione e per tale motivo le opere di Marx non meritavano più alcuna attenzione. La storia però è andata un po’ diversamente, infatti la rivoluzione scoppiò l’indomani della pubblicazione del Manifesto del partito comunista: dapprima a Parigi, per poi diffondersi rapidamente in gran parte dell’Europa. Fu tuttavia domata rapidamente e la borghesia ebbe così modo di dare inizio al suo lungo regno. Possiamo dire allora che l’ottimismo di Marx fosse fuori luogo, ma non che la sua visione del mercato globale fosse errata, tanto si è dimostrata straordinariamente preveggente.
Possibile che Marx avesse preso una cantonata del genere e nello stesso tempo, per molti versi, avere così ragione? Ebbene Marx si comportava, talvolta, come un giocatore di scacchi che progetta con 6 o più mosse d’anticipo un attacco a tenaglia fatale al re nemico, senza rendersi conto che nel frattempo l’avversario può anticiparlo dandogli scacco matto. Strategia brillante e tattica fragile, così sono i giocatori di scacchi e per Marx era la medesima cosa; imbattibile a dama, mancava però dell’astuta pazienza richiesta dalle infinite complessità della scacchiera. Giocava in modo rumoroso, polemico, quasi collerico. Dopo il 1850, stabilitosi a Londra, era abitudine che terminasse molte serate in preda all’ira dopo che qualche altro esule tedesco aveva costretto in un angolo il suo re. Scrisse Wilhelm Liebknecht: «Un giorno Marx annunciò trionfante di avere scoperto una nuova mossa, con la quale ci avrebbe sbaragliati tutti quanti. Accettammo la sfida e, detto fatto, ci mise fuori combattimento uno dopo l’altro. Ma, a poco a poco, la disfatta divenne maestra della vittoria, e riuscii a dargli scacco matto. Era già molto tardi e allora Marx chiese la rivincita per l’indomani, a casa sua».
La mattina dopo Liebknecht si presentò, come convenuto, all’appuntamento e scoprì che Marx era rimasto alzato tutta la notte per rifinire e perfezionare la sua “nuova mossa”. I due iniziarono a giocare e, come già successo in precedenza, all’inizio questa sembrò funzionare a meraviglia e Marx volle celebrare la vittoria ordinando da bere e da mangiare. Nel pomeriggio i due continuarono a sfidarsi fin quando a notte fonda Liebknecht riuscì a dare scacco matto all’avversario in due partite consecutive. Marx voleva la rivincita ed era disposto a giocare sino all’alba del giorno dopo, ma l’inflessibile governate ordinò ai due di smettere di giocare. Il giorno dopo Liebknecht ricevette questo messaggio dalla signora Marx: «La prego di non giocare più a scacchi con mio marito di sera. Il Moro, se perde, diventa insopportabile».

giovedì 15 marzo 2012

LETTERINA GIOCOSA 2 (DAL CONGO), di Pino Bertelli

ai miei amici
(scritta in Congo in una notte senza luna, la luce di candela,
 con un topino che danzava sulla zanzariera e un ragno curioso
che  entrava in una scarpa per tessere una tela d’immaginaria bellezza).

“Fotografa come un poeta maledetto e morirai perseguitato come un bandito di strada,
copia o fai della fotografia il bordello senza muri della civiltà consumerista e vivrai felice come un idiota”.
(Dal taccuino di un fotografo di strada).


È  la fotografia bellezza, e nessuno non ci può fare niente!

Ho visto ancora un pezzo d’Africa, una parte del Congo, quella più in fiamme... avevo viaggiato (sovente con la dolcezza nobiliare di Paola che tracciava rotte degne dell’apostolo dei Gentili, Paolo di Tarso) in Egitto, Tunisia, Sharawi, Kenya, Etiopia, Uganda, Burkina Faso, Algeria, Palestina, Israele... ovunque ho trovato popoli assoggettati dall’impiego della forza, dell’astuzia, della forca (mezzi abituali delle economie criminali, delle multinazionali, dei governi occidentali e dei regimi comunisti)... dappertutto ho conosciuto uomini asserviti, schiavizzati, umiliati e non ho mai compreso bene perché il monopolio della costrizione (il potere politico e del mercimonio globale) continua a tiranneggiare sull’intera umanità, impunemente. L’uomo è nato libero eppure ovunque è in catene, diceva. Tuttavia fuochi di resistenza sociale nascono dappertutto e incrinano la legittimità del dominio. In molti si legano all’idea libertaria di non volere comandare né essere comandati. Il dolce gusto della giustizia planetaria passa da qui. La possibilità di essere liberi significa pensare in libertà.
Così sono andato in Congo... a sostenere (per quanto posso, con le mie fotocamere) i progetti di un amico prete (congolese) e un’associazione in difesa dei bambini (tutta gente perbene)... dalle parti del lago Kivu... la zona infestata dai “ribelli” rwuandesi e ugandesi (bande armate, mercenari, banditi inclini al saccheggio e al tiro a segno su quanti circolano da quelle parti, anche se vanno a caccia di farfalle)... i militari della Repubblica Democratica del Congo che sorvegliano quei confini non scherzano... in pochi giorni mi hanno arrestato tre volte... e questo è disagevole per un fotografo di strada che non prende paesaggi, cartoline illustrate della miseria locale o  il “negretto” che usa il telefonino e ride con le labbra bagnate dal latte in polvere di una multinazionale diffuse su ridicoli cartelloni pubblicitari... la galera mi fa male, non la sopporto... ho  bisogno del mio bagno, dei miei libri, di vedere un certo cinema (magari muto) mentre fumo la pipa con il tabacco alla vaniglia... in galera dovrebbero metterci quelli che stanno al governo, senza distinzione... le gerarchie ecclesiastiche... i mercanti di armi... i responsabili della Banca mondiale,  del Debito estero, dell’Onu, della Croce Rossa, i criminali della finanza globale... non i fotografi in Utopia che hanno solo l’ardire di lavorare dalla parte degli esclusi, dei violentati, degli offesi... e cos’è l’Utopia? Nient’altro che camminare in avanti senza mai raggiungere l’orizzonte del sogno... questa è l’Utopia. Camminare insieme agli ultimi, a chi non ha voce né volto e accogliere il diverso da sé, fare della fraternità e dell’uguaglianza un ponte verso una società di liberi e di uguali.
I militari congolesi non volevano comprendere perché ero lì a fare un “atlante di geografia umana”... eppure cercavo di spiegarmi alla meno peggio in italiano (quel poco che conosco) e loro mi rispondevano in swahili, francese, inglese... mi chiedevo, ma come è possibile che siano così ignoranti, conoscono solo tre lingue e non comprendano il dialetto toscano (che tanto fa ridere al mio paese)... così la prima volta che mi hanno fermato si è risolta con il pagamento di quattro euro (donati dal mio risoluto accompagnatore, misterioso, dignitoso e incisivo quanto il capo tribù di un film che non ho mai dimenticato, Le nevi del Kilimangiaro, tratto dal racconto omonimo di Ernest Hemingway, diretto da Henry King nel 1952) in cambio di fotografare la “spiaggia pubblica”. Lì donne e bambini ridevano ancora, e i giovani pescatori mi lasciavano riprendere i loro volti affogati in reti blu, bianche e qualcuno mi ha offerto del pesce appena arrostito sul carbone. Muzungu (bianco) mi ha detto e poi mi ha tirato in faccia un paio di pesci affumicati... sono cose che non si fanno nemmeno nelle migliori famiglie borghesi... mi ha sporcato anche la sola maglietta bianca (Lewis) che avevo portato e quell’olio fritto mi è rimasto addosso per giorni (visto che non era facile lavarsi senza acqua calda, quando c’era).
La volta successiva mi hanno sequestrato in un villaggio che si chiama “Rubare”... insieme al mio amico prete (che è di quelle parti) e ci hanno scortato in una sorta di Hotel Rwanda (dodici militari armati fino ai denti, due con il bazooka, e un capitano)... c’era da morir dal ridere se non dalla paura... però è intervenuto san Bakunin o qualche altro santo, forse Giordano Bruno... comunque il maggiore (un Watusso alto quanto un fusto di banane) era stato a scuola dal mio amico prete che aveva insegnato in quel villaggio dimenticato da dio e dagli uomini... come si sa i buoni allievi non dimenticano mai i bravi maestri e così siamo stati a parlare per quasi sei ore (senza un filo di luce)... non capivo niente di quanto dicevano il capitano, il maggiore, il colonnello e il prete nero-nero (vedevo solo i loro denti bianchi-bianchi, davvero invidiabili)... guardavo i ragazzi armati che ci circondavano e pensavo che sarebbe stato davvero un peccato non poter più vedere un film di Buñuel, Vigo o Pasolini... le stanze in basso erano transitate da ragazze e uomini in camice e occhiali assurdi (Dolce& Gabbana, Armani, Gucci... tutta roba per sottoproletari con l’inclinazione all’imitazione divistica dei calciatori o degli attori da soap-opere mafiose hollywoodiane)... una scala di latta traballante ci ha portati al piano superiore... lì era il quartier generale... si vedevano le baracche, i maiali, le capre e i camion affollati di merci, uomini, donne e bambini che andavano chissà dove)... ovunque c’erano soldati (nemmeno ventenni, armati di ottimi fucili a ripetizione, con la faccia non proprio di lavoratori che cantavano la Marsigliese)... abbiamo bevuto non so quante birre, infine li ho fotografati tutti in pose napoleoniche... ci tenevano che si vedessero i gradi in giallo... in fondo erano simpatici, nello loro smisurata imbecillità, tuttavia non mi sentivo a mio agio, mi ricordavano certi nazisti che si occupavano di  “pulizie etniche”... caricavano gli ebrei senza un filo di grazia sui treni per Auschwitz (che arrivavano in perfetto orario) e facevano pagare a tutti (zingari, omosessuali, sovversivi...) il biglietto di sola andata... alla fine della festa ci hanno scortato nel villaggio del prete, Ntamugenga (Luogo senza capi)... hanno detto al mio amico che l’intelligence locale era venuta a conoscenza di un agguato lungo la strada (preparato da alcuni simpatici giovani del villaggio che avevo anche fotografato) per prenderci i pochi soldi che avevamo e quel che era più grave, derubarmi della mie fotocamere... ora, siamo d’accordo che fondare un banca è un atto criminale quanto (e certo più) di rapinarla, come diceva Bertold Brecht, ma sottrarre le fotocamere a un fotografo di strada è qualcosa di inaccettabile... roba da andare direttamente all’inferno senza passare dal tribunale sui crimini contro l’umanità.
L’ultimo giorno è stato il più difficile... ho fatto una fotografia a delle lavandaie sul lago Kivu... mi ricordavano certi quadri impressionisti... in un attimo mi sono trovato circondato da rigidi poliziotti in borghese... poi una piccola folla vociante mi si è fatta intorno... gridavano in francese, inglese, swahili... cercavo rispondere in piombinese corsaro... capivo che non conoscevano la lingua nemmeno qui... cosa imperdonabile nella società della comunicazione globale (erano proprio degli ignoranti, mi dicevo)... allora ho chiamato al telefono l’ambasciatore italiano a Torino (che in effetti era mio figlio) e gli ho detto se spiegava loro che ero lì per una missione umanitaria (che era vero)... il mio autista tremava come una foglia di fico... la mia paura era celata bene, credo... mi sudavano anche i coglioni dal terrore, però facevo finta di essere John Wayne quando sparava negli occhi agli indiani in Sentieri selvaggi... i poliziotti chiedevano soldi, il passaporto e la fotocamera (ci risiamo dico dentro di me, si vede proprio che ce l’hanno con la Nikon e i giapponesi)... volevano che li seguissi in caserma... il capo-manipolo aveva urlato (in un inglese da baronetto, alla Beatles, per intenderci) nel telefono a mio figlio-ambasciatore (in effetti lavora come grafico in una grande azienda) che mi mettevano in galera e dovevano venire a prendermi... porca miseria! Penso... stai a vedere adesso che mi portano in una cella senza acqua né luce e mi danno da mangiare qualche patata e un po’ di riso... il che è disdicevole per un fotografo di “fame internazionale” come sono io (che lavora a un certo grado di qualità, riconosciuta soprattutto nelle più malfamate osterie di porto, nei lebbrosari o nei manicomi... e al mio gatto Piff poi chi ci pensa... e Myriam, i miei nipotini, i duelli  al computer con Pier Paolo, gli spaghetti col peperoncino di Paola, i tramonti malinconici in Piazza Bovio... il mio covo foderato di libri in via dei gatti in amore... i miei amici in anarchia... insomma non è davvero possibile che possa passare non so quanti giorni in una galera che nemmeno conosco (nella mia vita ho frequentato solo persone che avevano visitato prigioni di mezzo mondo, per crimini di diritto comune o fatti politici, ho quindi conosciuto soltanto poveri, poeti e ribelli)... infine un poliziotto si è staccato per andare a chiamare il camion dei militari dove dovevo salire... ho cominciato a bestemmiare  (in toscano stretto) e quando ho visto passare un ragazzo su una motocicletta... gli ho fatto cenno con gli occhi (che sono una sorta di esperanto internazionale) e sono saltato in sella... ho indicato al mio autista di montare sulla moto di un altro ragazzo (ho dovuto urlare molte volte prima di vederlo salire, voleva aspettare i militari)... e ho detto al ragazzo — “Caritas” —... in quel momento mi sono scoppiate le emorroidi e ho cominciato a perdere sangue... ho chiesto “asilo politico” alla Caritas... quando alla Caritas hanno visto che ero imbrattato di sangue sono stati caritatevoli e mi hanno aperto le porte del paradiso... il mio autista (temendo che i militari entrassero nella Caritas) ha cominciato a correre verso il lago e si è nascosto sotto un cespuglio, poi è scivolato nell’acqua e gli ho allungato una mano... tremavo dalla paura... ho acceso un sigaro alla vaniglia in attesa che accadesse qualcosa... poi è venuto il mio amico prete e il monsignore di Goma e abbiamo pranzato con il pesce del lago (però alcune verdure mi hanno regalato la diarrea... due padri, non so a quale ordine appartenessero, mi hanno dato un paio di pastiglie vaticane e ho retto, non proprio bene, fino al ritorno a casa, avevo comunque in tasca  le schede con quasi duemila immagini). Quell’ultima notte in Congo, bagnato di sudore freddo, ho detto al solito topino che veniva a giocare tra le mie cose: è  la fotografia bellezza, e nessuno non ci può fare niente!
Il Congo è territorio di guerra, di saccheggio, di colonizzazione delle potenze occidentali e dei regimi comunisti... a Goma (una delle principali città del Congo) non ci sono strade asfaltate né fognature... non c’è illuminazione né rete idrica... i profittatori, i conniventi, i trafficanti con i criminali governativi (come in certi paesi dove la mafia siede in parlamento) si fanno case grandi e belle in mezzo a baracche fatiscenti e tutto senza un minimo di urbanizzazione accettabile... ci sono tre vulcani e l’ultima volta che uno ha eruttato è stato nel 2002... molte vittime (naturalmente i poveri) sono ancora seppellite sotto le pietre con le quali costruiscono le nuove dimore degli arricchiti... tra le baracche c’è ancora la lava dell’‘800... quando piove, anche se per breve tempo, tutta una fanghiglia nera compre la città... il traffico è intenso... non ci sono però auto comuni... solo fuori strada, motociclette o piccoli pullman... le buche sono profonde... la strada principale è colma di rifiuti, massi, palazzi diroccati... i morsi della guerra degli anni ’90 sono sempre evidenti... si respira l’odore di morte che è passato di lì e il genocidio dei Tusti è nell’aria, sulla pelle e negli occhi dei vecchi... quando alzi la fotocamera sui bambini, molti si buttano a terra come per ripararsi da un colpo di fucile... le donne fuggono... i ragazzi offendono o si mostrano in  pose derivate dalla società dello spettacolo (che passa nelle immagini tremolanti dei televisori). La birra e una specie di liquore ricavato dalle banane e mescolato con altro... sono responsabili di molte ubriacature e violenze... decine e decine di soldati dell’Onu, Croce rossa, Fao, comitati internazionali della povertà scarrozzano nel territorio in camionette, camion, suv... proteggono un popolo che non si sa proteggere, dicono... tuttavia appare chiaro che sono lì per approfittare della valanga di soldi che piovono nei loro conti correnti... il solo bianco buono è quello morto.
Le donne e i bambini sono la vera speranza del Congo... testimoni di una bellezza antica, deflorata, annichilita, bastonata, mai vinta però... c’è amore in quella gente, ricerca del sé, dell’appartenenza a qualcosa che è stato e che non è più... quando  le donne africane avranno tagliato il cazzo a tutti gli uomini, allora e solo allora conquisteranno il diritto  alla felicità... e non ad essere comprate per qualche capra e destinate solamente al lavoro nei campi, a portare l’acqua nelle capanne e alla riproduzione di figli... quando gli africani prenderanno a calci in culo i bianchi e li butteranno nell’oceano, allora e solo allora la libertà inciderà senza fine su un presente interminabile fino agli ultimi passi dell’umanità. I colonizzatori si sono accorti degli africani soltanto quando è stato sgozzato il primo bianco.
In quella terra fertile, ricca di molte cose (il Coltan, ad esempio... che come sappiamo è quasi solamente in Congo e permette la comunicazione delle nuove tecnologie in tutto il mondo... o i diamanti, merce di scambio dei “signori della guerra” per  nuovi saccheggi del continente africano), il potere politico impone un sistema di deprivazione e carcera o uccide l’immaginario sociale... Fabrizio De Andrè aveva compreso tutto quando cantava: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”... la critica radicale del dominio dell’uomo sull’uomo è passata per le armi... organizzare la vita collettiva diventa difficile... la sovranità del popolo (ma in ogni parte della terra è la medesima cosa) è seppellita nell’assassinio dei Lumumba africani e gli uomini (non solo africani) non potranno conoscere la bellezza della democrazia partecipativa finché tutti i beni non saranno messi in comune, finché non ci saranno né villani né nobili e finché con le budella dell’ultimo massacratore non sarà impiccato l’ultimo padrone. Il raggiungimento di una società di liberi e uguali è tutta qui. Sia lode ora a uomini di fama.  
Congo, 10 volte marzo 2012


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mercoledì 14 marzo 2012

LETTERINA GIOCOSA, di Pino Bertelli

ai miei amici,
a Pier Paolo, mio figlio,
e al mio amico e maestro Don Andrea Gallo...

Devo ancora incontrare un folle, un emarginato, un escluso, un violentato, un “quasi adatto”... le cui radici non affondino nel mio cuore. Il fotografo di strada è colui che, una volta viste le sue fotografie, ti dà la sensazione che le sue migliori immagini siano già state fatte o ancora da fare... il fotografo dei fotografi è quello che si guadagna l’amore del povero in cambio di un sorriso sdentato... chi è ricco, troppo ricco, vuol dire che ciò che ha l’ha rubato a un altro, diceva mio padre, che sia beato nel vento di scirocco africano...
sono in partenza per il Congo... mi hanno detto che c'è un bel clima, bella gente, buoni amici... incidentalmente ci sono anche i ragazzi soldato, orfanotrofi, scuole da costruire... insomma è una bella vacanza-studio... le “escort” sono tutte impegnate con i parlamentari, così vado solo con un mio amico prete nero-nero... il mio compagno di viaggio ha già perso l'aereo un paio di volte e al posto del visto di transito per il Rwanda gli hanno venduto la réclame della cipria di Carla Bruni (moglie anoressica di Sarkozy, presidente rampante di Francia) ed è scampato a un paio di massacri tribali per distrazione... però ha un bel sorriso, di quelli che non si vedono in televisione e ti fanno pensare che un bel morso al nemico è sempre meglio di qualsiasi consiglio per gli acquisti...

martedì 13 marzo 2012

SVEGLIATEVI ITALIANI (Despiértense italianos)


Una serata a Santa Fe, Argentina, all'insegna della canzone d'autore italiana (De André, Conte, Jannacci, Battiato, V. Rossi ed altri) sotto il titolo di un brano di Alessandro Mannarino:
«Svegliatevi italiani, brava gente,
qui la truffa è grossa e congeniata...»
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lunedì 12 marzo 2012

IL GOVERNO MONTI E IL CONSENSO BIPARTITICO NELLA POSTDEMOCRAZIA ITALIANA (Prima parte), di Michele Nobile


(Riflessioni su postdemocrazia e statalizzazione dei partiti della sinistra, 2)


1. Dall’appello allo stato d'emergenza contro Berlusconi alle chiacchere sul colpo di Stato del professor Monti.

Quando il Presidente della repubblica Napolitano conferì l’incarico di formare il governo a Mario Monti si gridò al colpo di Stato, alla democrazia sospesa e all’avvento del «governo delle banche»; curiosamente, pasdaran berlusconiani, leghisti e sinistra hanno usato e usano toni e idee simili. Ma questi sono gridi che dal lato sinistro stridono con altri già sentiti per anni. Le banche e la Confindustria non erano forse già al governo? Marchionne non praticava già una sorta di fascismo aziendale spalleggiato dal governo? E il «blocco reazionario di massa» che fine ha fatto? È con Monti o con Berlusconi? E che ne è di quel presunto specifico «regime» berlusconiano che per essere tale doveva pur mostrare di disporre di qualche muscolo? E che nuovo genere di colpo di Stato o imposizione da parte dell’oligarchia straniera è mai questa che ha il sostegno parlamentare dei due maggiori partiti nazionali che nella logica maggioritaria dovrebbero alternarsi al governo? Cos’è, un golpe ultraparlamentare invece che antiparlamentare?
Oppure, l’ascesa di Monti è forse la realizzazione del sogno putschista di Alberto Asor Rosa? Si ricorderà che un anno fa, oltre a paventare come tanti «la creazione di un nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra civile) uscire», Asor Rosa riteneva «incongrua una prova di forza dal basso»; auspicava, invece, l’intervento del Colle, lo «stato d'emergenza», il ricorso a Carabinieri e Polizia di Stato, il congelamento delle Camere (1). Il tutto a difesa della democrazia...
Se ci si ferma al caso individuale, si potrà dire che l’invocazione putschista di Asor Rosa fosse la senile espressione di quell’autonomia del politico che negli anni Settanta legittimava il compromesso storico tra i grandi partiti popolari, il Pci e la Democrazia cristiana. Ovvero dell’operazione che neutralizzò l’espansione della democrazia di base per convogliarla in morti canali istituzionali, attuò una politica consociativa nella quale veniva meno il ruolo dell’opposizione parlamentare (e quindi del normale funzionamento del parlamento), diede inizio alla legislazione d’emergenza antigarantista (la Legge Reale, l’antiterrorismo all’insegna del fine che giustifica i mezzi), accelerò la statalizzazione dei partiti (d’opposizione, oltre che di governo), impose ai lavoratori l’austerità che d’allora non ha più avuto fine, creò le basi per l’offensiva padronale gestita in proprio (i licenziamenti Fiat del 1980); dell’operazione, insomma, durante la quale si posero le basi dell’attuale regime postdemocratico.

domenica 11 marzo 2012

Presentazione dei libri INSORGIAMO!, di Pino Bertelli, e MEMORIE DI UN RIVOLUZIONARIO, di Victor Serge

23 marzo / VIAREGGIO   
 24 marzo / PISTOIA
(Click sulle date per ingrandire le immagini)
        
 INTERVENGONO Pino Bertelli e Roberto Massari

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 5 marzo 2012

CRISTIANESIMI III, di Pier Francesco Zarcone


TRIONFALISMI E PREOCCUPAZIONI IN SANTI “IDEOLOGI”:  ESEMPI  DA OCCIDENTE E ORIENTE

Introduzione

Un discorso critico sulla santità non può prescindere dal fenomeno di quelli che possiamo considerare “Santi ideologi”, e non solo teologi. Ci rendiamo conto della sottigliezza della distinzione qui introdotta, e forse della discutibile precisione del termine “ideologo”; tuttavia non ne abbiamo trovati di migliori per indicare quanti abbiano elaborato sistemi di pensiero la cui portata vada al di là della sfera speculativo/teologica, in quanto finiscono con l’incidere sul modo di essere e sull’agire della Chiesa di appartenenza, tra le insidie e le lusinghe del mondo, cosicché hanno una rilevanza “politica”, in senso ampio.
Iosif Volokolamskij
Siamo pure consapevoli della possibilità di raggruppare  i Santi di questo tipo secondo classificazioni ispirate a più criteri, ma in questa sede abbiamo scelto quello del trionfalismo contrapposto alla preoccupazione spirituale per i cosiddetti “andazzi correnti”.
Poiché in questa ottica non c’è la necessità di soverchi chiarimenti sui “Cristianesimi sconosciuti” da chi proviene da ambienti di matrice cattolica, questa volta possiamo parlare anche di Santi ortodossi, cioè dell’Oriente cristiano che ha fatto propria la teologia bizantina (che storicamente precede quella della Chiesa di Roma) e l’ha ulteriormente sviluppata: nella specie si tratta della Chiesa russa. Naturalmente, sull’opposto e conflittuale versante, si è dovuto collocare il Santo cattolico considerabile il principe degli ideologi trionfalisti: Tommaso d’Aquino. Per comodità cominciamo da lui.
Il nobile Tommaso, non a caso membro dell’ordine dei Domenicani, è noto come autore della monumentale Summa Theologiae. L’essere poco o per niente conosciuta dalla gran massa dei laici (cattolici, agnostici, atei o di altre religioni) è solo segno di una grave colpa culturale, in quanto si tratta - oltre che di opera filosofica di rilievo - di uno strumento fondamentale per la comprensione della fenomenologia religiosa del Cattolicesimo, insieme ai maggiori scritti di Agostino di Ippona (qui l’autore del testo confessa un atto di ribellione in quanto, secondo le regole redazionali, avrebbe dovuto premettere “San” a questo nome, ma la ripugnanza è tale che ha preferito la dissidenza).

sabato 3 marzo 2012

COMUNISTI OGGI?, di Alessandro Gigli


Ho letto con grande interesse gli articoli che da Rossana Rossanda in poi sono usciti sul giornale, ma anche con un po’ di noia e disappunto: perché? Perché non ho mai visto andare alla radice del ragionamento: quale comunismo?
Nel Novecento il cosiddetto Socialismo che si è riusciti a realizzare è stato la dittatura di un partito comunista (unico) sul proletariato, sul popolo spiato, imprigionato, ucciso (ventotto milioni di internati nei gulag molti dei quali erano comunisti autentici!). Su questa mostruosità, antimarxista in primo luogo, si è costruito un sistema sociale che ha prodotto paura, terrore, povertà materiale e spirituale, su cui hanno scritto soprattutto storici e politologi borghesi, intellettuali di sistema, e non, come avrei voluto, i comunisti autentici che secondo il mio modesto parere sono i comunisti libertari e anarchici.

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.